L’ignoranza consiste in una mancanza della cognizione del Vero Essere, dell’Essere Reale, e l’alienazione dell’anima dalla verità, sia in senso ontologico, sia nelle sue conseguenze psicologiche e morali, la costituisce in un’illusione ingannevole. Soggetta all’ignoranza l’anima non può che produrre opinioni vuote, false, inconsistenti e incoerenti, opinioni che si contraddicono l’un l’altra e che pongono in conflitto le facoltà animiche. A partire dunque dall’errore metafisico principiale si produce un’erranza in tutte le disposizioni dell’anima, da cui seguono disordine e ingiustizia generale in tutta la sua struttura. Questo stato alterato è la condizione propria della “follia morale” dell’anima, la aphrosyne, dalla quale procede ogni tipo di perversione morale. In particolar modo l’ignoranza, in quanto amathia, va considerata come una forma di dissennatezza, anoia, dementia, allo stesso modo della follia, mania, che si associa sempre alla aphrosyne[1] .
L’anima ignorante è captiva in quanto è soggetta ad una prigionia, al potere altrui, ed è ridotta ad una condizione di continua sottomissione alla malia, al potere del maligno. L’anima captiva continua a pensare di essere buona, crede di possedere qualche tipo di bontà, si reputa capace di giudicare, di scegliere rettamente la giusta vita, di agire onestamente, essa persiste, a causa di un’abitudine superba reiterata, nella presunzione di sapere, perciò preserva il suo vano orgoglio e si stabilisce in una condizione misera, completamente disgraziata. Il suo nous non è in atto, essa è mentem capta perché la sua mente è stata “rapita”, occultata dal demone hypnos. Nell’anima priva di senno e di senso non si svolge alcuna operazione illuminata e fondata sul Vero, in questa anima nemmeno la ratio opera rettamente, perciò essa è sconvolta, alterata e allucinata, giace in una “bolla di illusione” e percepisce esclusivamente fantasmi, i quali si trovano solo nel suo piccolo luogo di alienazione, nella sua condizione temporanea di soggezione all’ubriachezza sensibile, alla broteia. È molto arduo cercare di far rinvenire il soggetto che continua ad essere immerso nella sua “droga” e cerca di farne continuamente uso, la sua unica inclinazione è costituita dal drogarsi di piacere esistenziale, tutto ciò che egli crede di conoscere, tutto ciò in cui egli ritiene di consistere, non è altro che l’effetto allucinatorio prodotto dalla sua droga.
L’ignoranza incatena e imprigiona la mente[2], e, allo stesso tempo, intomba l’anima nel corpo[3]. Il bene per l’anima consiste nella liberazione da quest’alterazione dovuta all’ignoranza, nella quale l’attività della mente è di fatto soppressa. Nella condizione incarnata la mente, ovvero l’intelletto inteso nella sua funzione misuratrice, in quanto occhio dell’anima, è invischiata in un pantano barbaro[4], un pantano nel quale l’anima insipiente si avvoltola come un maiale[5]. Il maiale rappresenta propriamente lo stato del soggetto sprofondato nel borboros, nel fango della condizione carnale sensibile, l’anima che si comporta come un maiale è insensibile a qualsiasi richiamo della conoscenza e continua, nella sua insipienza, ad avvoltolarsi nel fango oscuro della carne mortale, come se ciò fosse per essa il suo massimo bene.
In ogni caso, anche l’anima ridestata e riconvertita al bene deve mettere in atto un’ascesi fondata su un eros interamente polarizzato verso l’Uno, l’Essere, al fine di vincere la concupiscenza, la gravitazione dell’anima verso il basso, il corpo, il fango. Perciò fino a quando non ci sarà una piena risoluzione delle passioni che derivano dal corpo, l’anima non potrà acquisire la vera conoscenza, quindi essa rimarrà sempre imperfetta e ogni rivolgimento all’Essere Vero, alla Realtà, sarà imperfetto. Una volta che si è costituito l’habitvs carnale, nell’anima si crea una tendenza perversa che si oppone alla soluzione dell’anima dal corpo. L’anima ignorante ed incolta lascia crescere a dismisura la sua facoltà appetitiva, a discapito delle altre, perciò essa è dominata da amori irrazionali, desideri concupiscenti e paure di vario genere, in tal modo le presenze demoniche oscure sono accolte senza ritegno nel suo spazio interiore. Queste affezioni, pathemata, alterano continuamente l’esercizio della ragione, che dovrebbe essere tutta orientata all’attingimento della verità, per cui, se si vuole esercitare rettamente la ragione, dall’anima deve essere rimossa integralmente ogni preoccupazione per le cose materiali e sensibili, altrimenti essa non può isolarsi in se stessa e dedicarsi alla liberazione dal corpo, per restituirsi al suo atto originale. Allo stesso modo, una volta che essa si è liberata dal desiderio e dalla concupiscenza carnale, deve liberarsi anche da ogni opinione che sia fondata su di essi, così come su ogni circostanza corporale individuale, così sarà veramente pura e capace di dedicarsi alla dialettica e alla contemplazione.
In ogni caso, le passioni non possono essere rimosse completamente dall’anima fintanto che in essa permane l’ignoranza, la agnoia-amathia, perché è proprio a causa della follia patita dall’anima che ad essa appaiono interessanti ed appetibili cose che, di per sé, producono la sua rovina. Certo, come sappiamo, l’ignoranza è di due tipi:
“…quella semplice che può considerarsi all’origine dei reati meno gravi, e quella duplice che si verifica quando uno manca della conoscenza non solo per ignoranza, ma anche per la presunzione di sapere, a causa della quale uno crede di sapere tutto proprio riguardo a ciò di cui non conosce assolutamente nulla. Orbene, se a questa disposizione dell’anima si aggiungessero il potere e la forza, ecco venir fuori i più terribili e brutali crimini; se invece si aggiungesse la debolezza si otterrebbero i peccati dei bambini e dei vecchi…”[6].
Come abbiamo visto, la duplice ignoranza è l’ignoranza più riprovevole, essa consiste nell’ “…essere convinti di sapere le cose che invece non si sanno…”[7], su di essa interviene la conversione filosofica, attraverso la quale l’uomo risolve la presunzione di sapere e giunge alla condizione indispensabile per avviare l’ascesi della conoscenza che conduce al vero sapere. Quando l’anima ha raggiunto stabilmente il “sapere di non sapere” ha eliminato il primo grado di presunzione umana e ha costituito la prima modestia, grazie alla quale comincia effettivamente a commisurare la dimensione umana a quella divina trascendente, per elevarsi alla reale conoscenza del vero. Senza questa conversione, senza risolvere la hybris-svperbia fondamentale, non è possibile compiere nulla di buono e la psyches therapeia non può avere inizio.
Fino a quando l’anima crede di sapere ciò che realmente non sa, fino a quando presume di sapere con sicurezza e vanità ciò che gli è realmente ignoto, se si atteggia come se sapesse, senza ritenere di avere dubbi, mentre in realtà è radicalmente ignorante, rimane malata e non può dare inizio alla sua cura. L’anima deve giungere con convinzione e certezza a riconoscere la sua ignoranza duplice e la soggezione alla pena radicale che questa comporta [8]. Essa deve prendere atto che, rispetto all’ignoranza semplice, la duplice ignoranza è vera e propria follia, colui il quale ne è affetto si trova nella massima distanza dalla sapienza e, a causa di ciò, incorre in tutti gli errori che è possibile commettere con il pensare[9].
La radice della duplice ignoranza, come sappiamo, è costituita dallo strutturarsi del sensvs svi e dunque col trasferimento della presenza ontologica dell’anima a se stessa al senso corporeo. Una volta che il suo essere viene fatto dipendere dalla sensazione carnale, l’anima si costituisce in una falsa identità corporea totalmente vincolata agli accidenti della carne. A causa di questa alienazione, nell’anima viene sovvertita e completamente ribaltata la visione delle cose che essa aveva prima dell’incorporazione, perciò ritiene vera la corporeità e non l’immaterialità dell’Essere Intelligibile. L’anima alienata, oltre ad essere ignorante del vero, ignora il suo essere soggetta all’ignoranza, perciò da questa condizione si producono tutte le deviazioni possibili. La soggezione alla duplice ignoranza, indotta dal principio titanico, dal potere di Titios, l’avversario di Apollon, si costituisce in modo involontario, perché è una pena alla quale l’anima viene relegata per motivi di Giustizia Divina. Essa dovrà soffrire questa pena per purificarsi, fino a quando il Dio non stabilirà che è giunto il momento di liberarla da questo stato disgraziato.
Occorre sempre tenere presente che, fino a quando l’anima non avrà espiato la sua pena, e perciò fino a quando non si sarà purificata completamente, per lei non vi sarà nulla da fare, anche il più grande maestro non potrà avviarla alla psyches therapeia, perché l’anima rimane insensibile o si dispone persino in modo avverso, perciò non potrà accogliere alcuna azione provvidenziale. Il vero terapeuta sa vedere se l’anima è pronta alla cura e può essere avviata alla conversione, oppure se l’anima è destinata a soffrire ancora e non risponderà ad alcuna azione protreptica, le anime del secondo tipo, come dice Proclo: “Soffriranno tutto ciò che devono soffrire a causa della loro scelta”[10].
L’associazione dell’anima col corpo le fa perdere l’attività noetica, questa perdita è dovuta alla sottomissione all’attività dei demoni che presiedono a questa elisione, la cui conseguenza è una “debolezza” e uno “sfinimento” della contemplazione:
“Tale scelta, nei confronti della sofferenza, avviene a causa della loro debolezza inerente al potere di discernimento, più o meno inebriato dal Lete individuante. Ma proprio a causa del potere di scelta, connesso alla possibile direzione polare intelligibile-sensibile, c’è anche la causa del Bene. Infatti, se l’anima è malvagia a causa del non scegliere il Bene, o per non disporsi secondo la sua natura, può anche mutare tale condizione, cambiando il suo stato verso il meglio. La malvagità è dunque impermanente, non attinente a natura. La benignità è connessa alla natura dell’anima, in quanto ente razionale intelligibile. Essa, conformandosi alla sua essenza, permane nel Bene, girandogli le spalle si dispone al peggio e cade. Essa è superiore all’irrazionale presente nel sensibile-corporeo, su cui essa, per natura, ha statuto di egemonia, ma a causa di debolezza subisce. La caduta di questa anima, infatti, non è dovuta che alla sua debolezza e incapacità di contemplazione”[11].
La debolezza della contemplazione dell’Essere Intelligibile determina l’avvolgimento dell’anima nel vortice del dispiegamento psichico, successivamente l’ascendente del sensibile determina un’inclinazione errata dell’anima, fino a farle perdere completamente la consistenza in sé e la fermezza nell’Essere. Una volta che nell’anima si fanno strada la dismisura e l’illimitatezza essa diviene malvagia e discende fino alla dimensione inferiore della materia, nella quale vi sono la massima illimitatezza e la più grande dismisura. Fattasi simile agli enti corporei, l’anima ne assume il genere di vita, perciò tenta di abbracciare invano le copie caduche ed esteriori delle Idee, che sono più basse di lei per natura, oltre ad essere prive di ordine, numero e misura, quindi sono parodie dei veri beni. Le intelligenze, le ragioni e le potenze non sono le cause produttive dei mali, sono invece la debolezza dell’anima e il suo insufficiente contemplare che producono il cedimento alla smisuratezza e alla sproporzione. Quando l’anima recupera la sua attività contemplativa risolve la sua ignoranza metafisica e trova la forza che la fa consistere in se stessa e nell’Essere.
L’azione malvagia dell’anima si produce per ignoranza, essa tende al Bene, ma lo manca perché non lo vede, indebolita nel discernimento, essa sceglie il male scambiandolo per bene, così si inginocchia alla materia sensibile, invece di dominarla in modo sovrano. L’anima che ha “scelto” il corpo diviene soggetta alla falsa percezione della realtà, rinchiusa nella prigione carnale esperisce l’“allucinazione” prodotta dai sensi. Le parole dell’anima illusa non sono che l’espressione di “deliri”, come quelli patiti da un demente che ha perduto anche la connessione con gli oggetti sensibili e giace in un’alienazione integrale. Nell’anima titanizzata sussiste la presunzione di essere nel vero e di poter giudicare secondo verità. Ma la duplice ignoranza piega l’anima alla concupiscenza per la quale essa si asserve alla sensazione piacevole, la quale è per l’anima, letteralmente, un allucinogeno che presenta diversi gradi di intensità. Se l’anima asseconda continuamente questa inclinazione lussuriosa, la sua proclivitas ad malum si accresce senza sosta, per cui la facoltà della ragione viene completamente decentrata rispetto alla sua retta funzione, asservita interamente al corpo perde ogni capacità di autodeterminazione.
Uscita dal suo essere intellettivo, l’anima afflitta da anoia nega il suo essere eterno e si affida alla sensazione illusoria di essere un corpo. L’anima demente, posseduta dal demone Titios, non sospetta nemmeno quale sia la sua condizione, abbruttita dalla condotta edonistica ed animale, soffre la sua penosa situazione abbandonandosi ad ogni vizio.
L’ignoranza, che costituisce la malattia fondamentale dell’anima, può essere risolta solo con la conoscenza dell’Essere, che costituisce lo scopo della psyches therapeia.
[1] Platone, Gorgia 514 e; Fedone 81 a; Repubblica, II, 382 c; Teeteto 176 d.
[2] Platone, Fedone, 84 a.
[3] Ibidem, 89 c; 82 e.
[4] Platone, Repubblica, VII, 533 d.
[5] Ibidem, VII, 535 e.
[6] Platone, Leggi, IX, 863 c-d.
[7] Platone, Apologia di Socrate, 29 b.
[8] Platone, Menone, 84 a.
[9] Platone, Sofista, 229 c.
[10] Proclo, De Mal. Sub., II, 24.
[11] Ibidem, III, 46.
(tratto da L.M.A. Viola, Psyches Therapeia, vol. I)
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