Avviamento alla filosofia medica
La protreptica convertiva
L’uomo vivente è composto di corpo, anima, intelletto, nell’intelletto è riposta la sua essenza, perciò in esso si risolve l’uomo, quindi nel composto è il principio più nobile e importante. L’attività di ogni componente secondo la sua natura è un bene, ma l’attività di un principio superiore del composto costituisce un bene superiore e l’atto del principio più alto è il sommo bene del tutto. Il bene ultimo è il più grande, perciò non ve ne sono altri dopo di esso, quindi ogni attività degli elementi che costituiscono il composto deve essere ordinata al Sommo Bene e dunque ogni bene di carattere secondario deve essere considerato relativo e subordinato al bene ultimo, che è costituito dalla virtù dell’intelletto, la sapienza.
Solo quando l’essenza dell’uomo è in atto pienamente, egli realizza la completezza della sua natura, del suo essere, la beatitudine essenziale, che costituisce il suo sommo bene. Ma la beatitudine è coessenziale alla sapienza, perciò si ottiene esclusivamente attraverso la filosofia, dunque l’attività filosofica deve essere considerata come la più alta attività che l’uomo può svolgere, la sola che conduce veramente alla beatitudine che è il termine ultimo di tutte le sue azioni. La beatitudine può essere raggiunta solo attraverso l’attività che attualizza l’essenza dell’uomo, l’intelletto, perciò solo con la filosofia l’uomo raggiunge la sua pienezza estinguendo ogni tipo di desiderio e pena, perché la sophia è fruizione del bene perfetto in sé. Se l’attività perfetta dell’uomo è sophia, possono raggiungere la beatitudine solo i filosofi, quelli che fra di essi sono giunti al termine della via filosofica e dunque hanno ottenuto lo stato veramente beato e compiuto dell’essere umano.
Queste poche righe racchiudono in sintesi l’essenza di tutte le attività protreptiche che, da Platone fino a Boezio, passando da Aristotele, Cicerone e Giamblico, sono state ordinate nei secoli per fare in modo che l’uomo riconosca se stesso, la sua natura e la via della sua realizzazione, al fine di giungere con efficacia al termine di tutti i suoi atti, alla perfetta beatitudine-felicità. Ogni uomo tende, in ogni suo atto, alla perfetta attualità del suo essere e dunque alla felicità, ma ciascun uomo, non conoscendo se stesso, né il modo di rendere attuale il suo essere, non percorre la via che consegue la felicità. La disciplina esortativa alla filosofia si è rivolta ad ogni uomo e ha svolto una funzione preliminare provvidenziale: ha indicato la natura dell’uomo, ha definito il suo fine di bene e il modo per raggiungere la perfetta felicità. Ogni maestro di filosofia ha insegnato come l’uomo può ordinare ogni sua attività al raggiungimento del bene e ha permesso la costituzione di una compiuta conversione alla vita filosofica, l’unica che realizza la vita perfettamente felice.
Protreptikon è un discorso orale o scritto che ha la funzione di esortare ed elevare.
Il termine deriva da pro-traho, o pro-traggo, spingo avanti, tendo avanti, incito, persuado, esorto. L’azione protreptica ha una funzione parenetica pratica, consistente in para-, accanto, –ainein, approvare, ammonire, avvertire, incitare. Perciò la parenesi protreptica spinge a convenire, ad approvare. Mediante la parenesi protreptica, il soggetto è condotto alla comunione, alla condivisione, all’omologia e dunque alla visione concorde della verità relativa al fine della filosofia, della bontà e della fondatezza della vita filosofica, ai principi e ai valori che su di essa fondano.
Quando l’adesione dell’anima alla filosofia avviene con coscienza razionale, la visione profana precedente l’azione protreptica viene dapprima indebolita, poi viene risolta del tutto, quando il processo convertivo è completato. Progressivamente, attraverso l’azione protreptica, emerge una coscienza filosofica, che dà corpo alla completa conversione dell’anima, la quale, una volta compiuta, stabilisce fermamente e definitivamente il soggetto nella exis filosofica, totalmente orientata al fine di sapienza.
La formazione della vera visione del bene avviene gradualmente, mediante un’azione elenchica e rettificatoria che si porta sui contenuti profani con metodi filosofici e misterici precisi, i quali orientano definitivamente tutta l’anima alla sapienza. La protreptica filosofica è finalizzata alla persuasione del soggetto, in vista della sua conversione interiore ed esistenziale, perciò si propone di portare l’anima al compiuto accordo con la verità divina presentata.
L’azione protreptica si svolge attraverso l’esposizione di verità dottrinali certe, trasmesse divinamente dalla tradizione e consegnate secondo il rispetto della regolarità nei secoli, grazie all’autorevole guida dei maestri.
L’azione protreptica produce un contrasto iniziale con le opinioni presenti nel soggetto interessato, affinché egli rifletta sulla sua condizione di ignoranza e di presunzione. L’anima che crede erroneamente di sapere deve attivare una problematizzazione della sua condizione di erranza, perciò deve prendere atto della sua soggezione all’illusione-malia, con tutte le conseguenze che questa comporta. L’esercizio dialettico soggettivo consente di scartare gli errori nei quali insiste la ragione, fino ad accogliere la verità divina trasmessa dalla sapienza apollinea.
Ma l’azione protreptica risulta efficace solo se il soggetto corrisponde all’azione di esortazione ed avvia la riflessione, ponendo in atto una preliminare dialettica oggettiva. Al contrario, l’azione protreptica risulta inefficace se il soggetto rifiuta a priori ogni ascolto e ogni riflessione costruttiva, così come ogni dialettica oggettiva.
In Platone, modalità protreptiche sono presenti in molteplici dialoghi, a partire dall’Alcibiade Maggiore, ma si trovano anche nell’Alcibiade Minore, a seguire poi nel Gorgia e nel Protragora, ma anche nel Menone e nel Teeteto, poi nei dialoghi fondamentali come l’Apologia di Socrate, il Critone, il Fedone. In questi dialoghi, tutto il discorso è volto a mostrare la natura essenziale dell’errore, dell’ignoranza e della presunzione di sapere, caratteri propri del falso sapiente. Così l’anima può prendere atto di ciò che comporta un’attività non conforme all’essere, tanto che, ripiegando su se stessa, può convertirsi al vero bene, perseguendo ciò che costituisce la vera conoscenza delle cose e la corrispondente giustizia, che viene dal fondare su di essa.
Aristotele nel suo Protreptikon cerca di confutare tutte le opinioni riguardanti l’errata interpretazione della filosofia. Non è possibile per l’uomo fare a meno di un’adeguata tendenza al sapere e ogni qualvolta si compie un’operazione razionale, questa non può avvenire se non è fondata su scienza. Ma stabilire se vi è o non vi è scienza nell’anima è già opera dell’autentica filosofia, quindi non tutti possono essere considerati autentici filosofi, in quanto occorre costituire delle condizioni precise per filosofare. Se ogni anima è volta naturalmente a filosofia, non tutti gli uomini possono però costituirsi in atto come filosofi, in quanto devono essere rispettate le condizioni per le quali l’attività razionale avviene secondo i modi dovuti e si orienta realmente alla scienza, o sophia. Se queste condizioni epistemiche iniziali non vengono poste, la ragione potrà divagare, pensando o opinando su molte cose, senza mai procedere filosoficamente, perciò potrà scadere nell’attività sofistica o eristica o in attività ancora più scadenti, scambiandole erroneamente per filosofia.
In ogni caso, Aristotele precisa e dimostra che la filosofia è il fine naturale dell’uomo, ciò a cui tutte le sue funzioni tendono, ma solo in colui che si è fatto vero filosofo le funzioni della sua anima sono adeguatamente ordinate al fine, mentre nell’uomo comune tutto è disposto disordinatamente e impropriamente. Dunque ogni uomo tende alla conoscenza, l’attitudine fondamentale dell’uomo stesso è perciò filosofica, ma tutto l’uomo deve essere orientato alla verità, perché solamente conseguendo la verità si realizza pienamente la tendenza alla conoscenza e perciò si estingue ogni pena, ogni inquietudine. Perciò, la tendenza alla sapienza e la tendenza alla felicità nell’uomo coincidono, quando viene ottenuta la prima si consegue anche la seconda, la via che porta a tanto è filosofia, altre vie non vi sono.
Il più nobile degli animali esistenti sulla terra è l’uomo, sicché risulta chiaro che l’uomo è generato per natura e conformemente a natura. Se dunque
1) il fine è sempre migliore della cosa (perché tutto si genera in vista dello scopo e il “ciò per cui” è sempre migliore e il meglio di tutto), se poi
2) il fine conforme a natura è ciò che viene raggiunto per ultimo nel processo del divenire, quando questo si sviluppi con continuità fino al compimento; se inoltre assumiamo
3) che nell’uomo prima giunge a compimento il corpo, e soltanto in seguito ciò che concerne l’anima, e che il compimento di ciò che è migliore è sempre successivo alla sua generazione; se dunque assumiamo che
4) l’anima viene all’essere sempre dopo il corpo, e che a sua volta all’interno dell’anima la facoltà dell’intelletto viene all’essere per ultima (poiché vediamo che questa per natura è l’ultima che si origina nell’uomo, e questa è la ragione per cui l’unico bene il cui possesso la vecchiaia reclami);
5) ammesso tutto questo, allora la attualità dell’intelletto è per natura il nostro fine, ed il suo esercizio costituisce lo scopo ultimo, in vista di cui siamo nati. Posto che noi siamo stati generati conformemente a natura, è allora anche chiaro che esistiamo per intelligere ed imparare. [Aristotele, Protr., B17]Vi è da dire che quando l’anima raggiunge ciò che è fine a se stesso, non ha ulteriori oggetti a cui tendere, perciò quando consegue la sapienza giunge al termine di ogni suo atto. Questo termine è il fine supremo dell’azione buona, il quale consiste nell’essere nel vero, ed essere nel vero è atto fine a se stesso, perché non esistono ulteriori atti che possono essere migliori di quello che porta al bene perfetto. Essere nel vero è un atto puramente intellettivo, teoretico, essendo il termine ultimo di ogni atto, è il più desiderabile fra tutti gli atti, perché porta sull’oggetto finale al quale tutte le funzioni dell’anima tendono. Perciò essere nel vero costituisce la perfezione della felicità, la fruizione completa del bene per quanto riguarda l’essenza propria del’uomo. È nell’essere nel vero che si realizza in atto la funzione propria dell’uomo, la pura conoscenza, non ulteriormente finalizzata ad altri oggetti o ad altri atti. Come dice Aristotele “il vivere è per ogni vivente identico al suo essere”, dunque per l’essenza dell’uomo, per l’uomo stesso, vivere è intelligere immediatamente l’essere, dunque il vero e questo vivere equivale a costituirsi nella permanente beatitudine, in quanto il vivere essenziale è identico, per l’uomo, al suo essere in atto, dunque è il termine ultimo di ogni sua azione.
Perciò qualunque critica alla filosofia non è opportuna, chi non la conosce dice che non è utile praticamente all’uomo e non è fruibile nella vita ordinaria, perciò non può essere impiegata per le faccende comuni. Occorre dire, al contrario, che la filosofia si mostra assolutamente necessaria e primaria in ogni caso, perché il soggetto che manca di orientarsi filosoficamente devia sempre la sua azione dal suo fine ultimo, così il suo divenire penoso, il suo desiderio ansioso e la sua inquietudine paurosa non saranno mai estinti.
L’uomo che non si fa filosofo non si rivolgerà mai al vero vivere, ma rimarrà sempre soggetto alla inattualità della sua essenza e patirà inutilmente molte pene. La condizione di colui che vive senza filosofia è miserabile, penosa e senza alcuna felicità, senza la filosofia la vita dell’uomo non ha alcun “senso”.
Solo praticando la filosofia la vita dell’uomo acquista senso, retto orientamento e valore, perché il suo essere viene posto in atto, fino a che, al termine della via, è pienamente realizzato e dunque costituito nell’essere vero; così l’uomo giunge al termine di ogni sua azione e alla piena attuazione del suo essere proprio, solo così può fruire della beatitudine incorruttibile, inestinguibile e non ulteriormente migliorabile.
L’attività protreptica è stata abbondantemente utilizzata dagli stoici ed anche dagli epicurei, poi è stata rielaborata e ordinata magistralmente dal massimo filosofo romano, Marco Tullio Cicerone, che nella composizione del suo Hortensivs, ha mediato tutta la tradizione filosofica a lui antecedente all’interno della religione romana e ne ha consentito la fruizione anche ai primi cristiani. Cicerone ha approfondito e articolato molteplici aspetti dell’azione protreptica già trattati da Aristotele, ma vi ha infuso un vigore nuovo, dovuto ad un ordine oratorio e giuridico assai rigoroso ed estremamente efficace per tutta la tradizione successiva. Ricco di humanitas, capace di accendere il cuore dell’uomo in modo intenso, l’Hortensivs ha avuto un influsso determinante già sull’Imperatore Augusto, il quale pronunciò su Cicerone il famoso motto di grande elogio. Il protreptico ciceroniano influì poi certamente su Seneca e su Tacito, poi innescò un amore per la sapienza in diversi Padri della Chiesa come Lattanzio, ma in particolare fu determinante per Agostino, il quale deve a Cicerone la sua conversione alla filosofia. Ma molti altri Padri della Chiesa divennero ciceroniani attraverso l’Ortensio e furono a lungo dibattuti fra il cedere all’ascendente di Cicerone e il dedicarsi agli studi biblici. Vi è da dire che precise influenze ciceroniane sono presenti almeno fino a Boezio, la scrittura della sua Consolazione della Filosofia ne è testimone.
In ogni caso i temi protreptici sono sempre i medesimi: la natura del bene, il falso bene, la ricchezza, il piacere, gli onori, l’origine dei mali umani a partire dall’associazione dell’anima con il corpo e dal legame e dal vincolo che essa patisce nella vita carnale, la paura della morte, del dolore, della povertà, del disonore, le pene e gli stati di afflizione che l’anima patisce nell’alienazione da sé e dal vero. La parte esortativa del protreptico indica fermamente come si può porre rimedio alla sofferenza attraverso la filosofia, che è propriamente quella disciplina che consente di ricostituire l’anima nella conoscenza originale del vero, liberandola da quanto si è prodotto a causa dell’incarnazione. La filosofia istruisce l’anima alla patientia laborvm, alla sopportazione di ogni tipo di condizione inerente lo stato carnale, ma poi procede consentendo all’anima di separarsi dalla soggezione alla condizione corporea fino a renderla completamente impassibile. Giunta all’impassibilità, l’anima fruisce già, in figura, ciò che sarà l’esito finale della sua azione filosofica, svincolata dal corpo potrà disporsi completamente alla vita contemplativa, della quale Cicerone fa uno specifico elogio, fino ad attingere alla perfezione della filosofia, la cognitio veri e la beatitudo inerente.
Giamblico compone un’esortazione alla filosofia che costituisce quasi una summa di tutta la tradizione protreptica antecedente il suo magistero divino. In particolare modo il protreptico di Giamblico riassume questi elementi: in verità solo la sapienza è bene e solo l’ignoranza è male. Poiché dunque tutti noi desideriamo essere felici, e d’altra parte abbiamo mostrato che possiamo diventarlo a partire dall’uso, anzi dall’uso corretto delle cose, e che è la scienza che fornisce la corretta la felicità, allora occorre, a quanto pare, che ogni uomo si preoccupi in tutti i modi di essere il più sapiente possibile, perché solo questa condizione rende l’uomo felice e fortunato. È necessario dunque filosofare se si vuole essere felici; e la filosofia è aspirazione al possesso di scienza, non di quella che è solo capace di acquisire dei beni, presunti tali, né quella che li crea, ma non li usa” (mancano “” di apertura) [Giamblico, Esortazione alla filosofia, V, 26].
Secondo Boezio la perfezione di filosofia si trova nella fruizione dell’essere perfetto, che egli chiama anche Dio. Dunque, se il bene è il termine di ogni desiderio e la perfezione del desiderabile è l’Essere, allora una volta attinto l’Essere, che è pienezza di ogni realtà, si esaurisce ogni tendenza desiderativa ad ulteriori oggetti da acquisire o fruire. Perciò la filosofia ha il suo termine nell’attingimento dell’essere vero, che equivale alla costituzione di sophia, la perfezione integrale del conoscere, che si identifica con l’essere plenario. L’Essere, il Vero Essere, costituisce il termine di ogni azione, in Esso la quiete e la risoluzione di ogni determinazione conoscitiva ed anche di ogni determinazione essenziale del ricercatore; in definitiva Dio costituisce la perfezione della fruizione del Bene, la perfezione della conoscenza e la perfezione della felicità, questi tre elementi devono essere identificati. L’unificazione perfetta nell’Essere Perfetto, che secondo la tradizione filosofica pitagorica-platonica è Apollon, costituisce la perfezione finale dell’attività filosofica, l’attività propria dell’essenza dell’uomo. [Boezio, La consolazione della filosofia, III, 10, 110-125].