Ogni esposizione di contenuti metafisici tradizionali pone la questione del metodo, della forma e naturalmente delle fonti della certezza, del criterio di verità, del principio di autorità. Inoltre, apprestandosi a formulare i principi della metafisica tradizionale integrale e le loro applicazioni, si pone la questione dell’oggettività e quindi della totalità e onnicomprensività delle dottrine esposte.

Veritas e vervs sono termini che indicano, se applicati all’operazione intellettuale, la conformità completa della conoscenza al suo oggetto o, meglio, l’identità essenziale del conoscente e del conosciuto. Le radici var- o ver- indicano il chiarore, la chiarezza, la limpidezza, la desinenza vs indica la potenza dell’vr, cioè la capacità di “ustionare”, “ignificare”, quindi, in senso metafisico, il potere proprio dell’essenza spirituale, della causa formatrice. Perciò vervs è l’essere evidente, senza oscurità o limitazioni, l’essenza dell’ente, mentre veritas è “lo splendore dell’essenza”, è l’atto effusivo del vervs, per il quale l’essenza dell’ente conosciuto si rende presente all’essere del conoscente. Per mezzo della statuizione della veritas nell’intelletto si produce la perfetta unità del conoscente e del conosciuto nell’Essere.

Vervs e veritas sono termini analoghi ai greci alethes e aletheia, termini che esprimono bene uno stato di assenza di oscurità. Infatti la “a” privativa, posta di fronte a lethe e a letheia, ossia a ciò che indica rispettivamente il “velo”, il diaframma, l’oblio e l’effetto di tale velo, il velamento, l’oscurità, la malia, specifica lo stato di ciò che è privo di tali impedimenti e riguarda la natura dell’essere nudo, l’essenza della cosa. Per cui la composizione Alethes Nous indica lo stato di assenza di oblio, di limitazione e velamento del Nous-Intellectvs, il quale coglie la nuda evidenza dell’essenza “svelata”, senza mediazioni o riflessioni. Questo coglimento costituisce la Sapientia Divina nell’Intelletto che accoglie la Luce dell’Essere Vero, Apollo, l’evidenza della Diana Nuda, la Veritas Divina, splendore del Vervs.

Alethes è lo stato dell’Essere dell’Intelletto Divino nel quale non esiste alterità fra la conoscenza e il conosciuto, fra l’essenza dell’oggetto e l’essente, l’aletheia invece indica la Luce emanata dall’Essere Divino nell’Intelletto. In senso metafisico, dunque, è vero ciò che è, l’essere dell’ente, perciò il vero attiene a ciò che è eminentemente reale, a ciò che dell’ente è immutabile, non cangiante e, dunque, sempre identico a se stesso. Il Vero per Eccellenza è perciò l’Essere Puro, assolutamente indeterminato e non costituito, mentre l’Ente, l’Essere Intellegibile, costituisce l’evidenza determinata dell’Essere, nel quale l’Essere conosce Se Stesso come Essere autoevidente unitario e privo di alterità, Apollon.

L’Intelletto è della stessa natura dell’Essere Intelligibile, esso contempla in modo permanente e immutabile l’Idea dell’Essere Puro, quindi il suo essere è coessenziale ai principi eterni della manifestazione, i principi universali oggettivi, i quali sono colti dall’Intelletto in Lui medesimo, attraverso la conoscenza di Sé. Il coglimento delle essenze avviene per intuizione intellettuale, l’illuminazione ideale originaria del vervs-alethes, che si compie nello stato privo di ogni lethe e produce la episteme, nella quale non sussiste alcuna alterazione soggettiva relativa all’individuo.

A differenza dell’episteme, che è scienza pura della natura intelligibile degli enti, la doxa-opinio è la conoscenza della natura sensibile degli enti, la quale non porta mai sull’essere, sul vero, ma si limita a recepire gli accidenti dell’esistenza, perciò, pur non essendo totale ignoranza, non è nemmeno conoscenza vera, è un misto di conoscenza-ignoranza, nella quale tende a predominare l’ignoranza quanto più la doxa si adegua alla materia o al non essere, e tende a dominare la conoscenza quanto più la doxa si eleva all’Essere, senza poterlo però mai raggiungere. La doxa-opinio è sempre qualcosa di teoreticamente negativo, non è ciò che esplicita il vero, ma, al meglio, tratta del verosimile, essa è sempre apparenza di verità, anche quando si riferisce ai principi, in quanto è espressione del soggetto finito e illusorio, perciò la doxa è illusoria quanto il sensibile-divenire. Qualsiasi doxa-opinio relativa alla sfera intellegibile dell’Essere risulta errata, è un’illusione derivata da un intelletto ebbro di sensibilità. L’opinione fonda sempre sulla percezione sensibile, perciò tratta di cose che sono e non sono, cose che appaiono, perciò non è una conoscenza vera, ma una falsa conoscenza, la conoscenza apparente dei molti, delle ombre, dei riflessi effimeri dell’Essere. La doxa deve essere considerata quindi come un grado di conoscenza relativo, ma, in definitiva, una falsa conoscenza, perché la conoscenza vera attiene solo all’Essere:

Come già all’inizio avevamo concordato, il sapere di primo grado lo chiameremo noesis, quello di secondo dianoia – cioè conoscenza mediana – , quello di terzo credenza (pistis) e quello di quarto congettura (eikasia): di queste, le ultime due forme le chiameremo opinione (doxa) e le prime due scienza (episteme). Inoltre, siamo anche d’accordo sul fatto che l’opinione ha per oggetto il mondo del divenire e la scienza il mondo dell’essere, talché, come questi due mondi stanno fra di loro, così la scienza sta all’opinione; e come la scienza sta all’opinione così la intellezione sta alla credenza e la conoscenza mediana alla congettura.[1]

I gradi dell’esperienza sensibile sono relativi ai soggetti individuali che li sperimentano, perciò sono apparentemente veri se esaminati dalla sfera dell’esperienza, ma completamente falsi se esaminati dalla sfera dell’Essere, dalla metaesperienza. L’intelletto soggetto alla sensibilità giace nella “pianura dell’oblio”, allorché, esiliato dalla “pianura della verità”, diviene preda dell’opinione e dell’irrazionale; l’anima, priva dell’intelletto in atto, sprofondata nella sede dell’oblio, è affamata e assetata, perché è alienata dal nutrimento divino eterno, che è la Luce emanata dall’Essere Vero, di cui essa fruiva, grazie all’intelletto, nell’unità con Esso, sul piano dell’Intelligibile. La Luce Divina è la Veritas che ricolma la natura dell’anima, nella pianura dell’oblio l’anima accoglie l’oscurità della materia e perciò patisce il sonno della corporeità e l’ebbrezza ottundente che ne deriva.

Il processo di riattuazione dell’intelletto prende origine dall’atto che il sophos svolge nei confronti dell’intelletto dello a-sophos, un atto iniziatico che dà il via alla reazione che attualizza il principio egemonico dell’anima. Attraverso il metodo ironico, il sophos mette in luce l’illusione della doxa e l’ignoranza relativa che ad essa si associa, la falsità della conoscenza sensibile e il condizionamento che da essa subisce l’anima e le passioni che le induce. Così viene messo a nudo il soggetto essenziale l’egemonikón, l’animvs, il vero essere del soggetto, il quale, riconoscendo l’ignoranza a cui è soggetto, prende atto di non sapere e perciò, con un primo moto di conversione avvia l’in-ire, l’iniziazione, l’andare all’interno di sé, il rientro in se stesso, nell’Essere: è il principio dell’en-stasis. Per liberarsi completamente dalla soggezione all’oblio-malia, l’animo deve poi sviluppare la dialettica maieutica, ascensiva e catartica, articolando il ragionamento causale che elimina ogni dipendenza dal sensibile e produce una progressiva purificazione dal soggetto umano, condizionato e relativo:

… bello diventa l’impegno su queste cose, credo, quando si faccia uso dell’arte dialettica e con essa, prendendo un’anima adatta, si piantino e si seminino discorsi con conoscenza, che siano capaci di venire in soccorso a sé e a chi li ha piantati, che non restino privi di frutto, ma portino seme, dal quale nascano anche in altri uomini altri discorsi, che siano capaci di rendere questo seme immortale e facciano felice chi lo possiede, nella misura più grande che all’uomo sia possibile[2].

Questo processo maieutico di estrazione dell’intelletto dalla vita sensibile, avviene tramite la guida dell’alethes logos, del discorso vero del sophos autorevole; fino a quando la dialettica catartica non ha portato l’anima al completo isolamento, concentrando il processo discorsivo sull’Essere, non è possibile che essa attui l’ellampsis, l’illuminazione, il fiat lvx intellettuale, che costituisce l’accesso all’Essere Intelligibile, l’iniziazione al mondo divino. Questo è il processo illuminativo descritto da Platone in sintesi nella lettera VII, un processo che conduce l’anima alla “pianura della verità”, al coglimento diretto delle essenze ideali. La disciplina dialogico-dialettica catartica ascensiva porta l’anima fino a un punto in cui:

… come luce che si accende dallo scoccare di una scintilla essa nasce [la conoscenza della verità] dall’anima [è il passare dalla potenza all’atto dell’intelletto attivo nell’anima, è il fiat lvx iniziatico] e da se stessa si alimenta [riferimento all’autarchia e all’indelebilità di questo stato d’essere].[3]

Pervenire al dominio intelligibile dell’Essere non è però che la prima tappa della via che conduce alla perfezione della noesis-gnosis. La seconda tappa della dialettica, permette all’anima di salire di grado in grado nella sfera intelligibile, fino al suo culmine, nel quale si produce la Gnōsis Divina completa. Oltre a questo risultato vi è solo il compimento della perfetta Hen-stasis, presenza su Presenza, solo su Solo, centro su Centro, Identità Suprema ed Epignosis. Nella vetta dell’Intelligibile, nell’Apex Mentis, nel Nous Anthous, si ricompone la triade noetica nell’Unità Divina Apollinea. Questa è la pianura di aletheia, il prato divino, nel quale l’anima riattinge il nutrimento eterno, l’ambrosia. In questa vetta ontologica si trova la Veritas in sé, l’Aletheia principiale, la cui Luce illumina tutto il Luogo Iperuranio, rimuovendo da esso ogni residuo di oscurità, di qualsiasi ordine e grado. La coincidenza perfetta del fiore dell’anima, psyche anthous, nel fiore dell’Uno, Hen anthous, attua la perfetta Hen-stasis, stazione nell’Uno, Identità Suprema. Solo chi ha riattualizzato l’intelletto nella Verità Divina dispone di una conoscenza immediata e certa a priori, dell’intuizione diretta dei principi universali. Colui che contempla in modo intellettivo dispone di episteme, della conoscenza vera del principio di ogni scienza, perciò è padrone di ogni enunciazione e di ogni dimostrazione conforme a verità:

Poiché degli abiti razionali con i quali cogliamo la verità alcuni sono sempre veri, mentre altri ammettono il falso, come l’opinione e il calcolo, mentre la conoscenza scientifica e l’intuizione sono sempre veri, e poiché nessun altro genere di conoscenza è più esatto di quella scientifica tranne che l’intuizione, e d’altra parte i principi sono più noti delle dimostrazioni, e poiché ogni conoscenza scientifica si costruisce argomentativamente, non vi può essere conoscenza scientifica dei principi, e poiché non vi può essere nulla di più vero della conoscenza scientifica tranne che l’intuizione, l’intuizione deve avere per oggetto i principi. Ciò risulta nell’indagine non solo a chi fa queste considerazioni, ma anche dal fatto che il principio della dimostrazione non è una dimostrazione; di conseguenza principio della conoscenza scientifica non è la conoscenza scientifica. Allora, se non abbiamo alcun altro genere di conoscenza vera oltre alla scienza, l’intuizione sarà principio della scienza. L’intuizione allora può essere considerata principio del principio, mentre la scienza nel suo complesso sta nello stesso rapporto con la totalità delle cose che ha per oggetto[4].

Aristotele limita il processo induttivo del sillogismo a quegli abiti razionali che ammettono il falso, l’opinione e il calcolo, mentre definisce l’intuizione intellettuale come l’unico criterio di verità su cui fonda ogni vera scienza. La vera scienza si afferma per assiomi, ossia per proposizioni vere date dalla conoscenza intuitiva, tali assiomi sono le condizioni incondizionate, i principi a priori di ogni enunciazione o dimostrazione conformi a verità. Se a capo del sillogismo non sussistono tali proposizioni di verità incondizionata, ossia, se le premesse del sillogismo sono solo probabili, e dunque relativamente false, perché fondate sulla doxa e non sull’episteme, il sillogismo sarà falso. Aristotele chiama quest’ultimo “sillogismo dialettico”, la cui forma peggiore è il “sillogismo eristico”, che non è fondato nemmeno sull’opinione probabile, ma su premesse del tutto false che conducono a sillogismi apparenti e del tutto erronei, a paralogismi.

Vi è un dominio dell’articolazione logica che non è fondato sulla conoscenza intellettiva, che non è mythos, aenigma, mantike, ecc., ma è riduzione del logos naturale a se stesso, perciò al sensibile, è questo il caso della retorica naturale, della sofistica, della eristica. In questo piano è assente l’aletheia, è il luogo orizzontale dell’oblio in cui il logos non aspira mai verticalmente al Logos Alethes e la retorica mira a formulare sillogismi dialettici. La sofistica tende ad utilizzare il sillogismo dialettico o eristico a seconda dello scopo, talora per agitare l’opinione o, talaltra, per attivare l’immaginazione sensibile. L’eristica è basata sul sillogismo eristico, il quale non è che lo sviluppo dell’argomentazione falsa che agita le facoltà irrazionali e sentimentali dell’anima, cercando di persuadere senza alcun fondamento di verità.

Nel piano della doxa-opinio non è presente la verità, non vi è alcuna trascendenza dei contrari, degli opposti relativi nell’unità sintetica, esiste un tentativo ingannevole di mescolare i contrari-contradditori utilizzando artifizi dialettici non veritieri, perciò nel dominio dell’opinione trionfa la parola ambigua, la dialettica discorsiva illusoria, la ragione infatuata di se stessa, lasciata a se stessa, una ragione priva di radicamento nella sua causa incondizionata, nell’intuizione diretta dei principi a priori, una ragione soggetta all’inganno, all’illusione, alla fascinazione ammaliante. L’anima, e la sua facoltà riflessiva così obliata e ottusa, sono sempre lusingate dai sensi, a cui cedono gonfiandosi sempre più di una hybris-svperbia senza pari.

Gli enti distinti possiedono tanto di vero quanto possiedono di essere, il loro essere veri dipende da quanto la loro essenza è in atto e traspare nella loro esistenza, così che la loro natura sia evidente nell’effusione della loro verità. Nell’Essere Intelligibile sussiste sempre l’identità di intellezione e di essenza, in Esso è eternamente costituito il perfetto adeguamento dell’Intelletto all’Essere, e dunque nell’Ente si trova un completo adeguamento del conoscente al conosciuto nella Verità attinente all’Essere Vero. Il vero è presente nell’affermazione assiomatica di ciò che è, ma il fondamento ultimo dell’affermazione assiomatica è sempre e solo l’Essere, il Reale Eminente. Una formulazione veritiera di carattere sillogistico deve presupporre che il sillogismo fondi sulla verità a priori delle premesse, oltre che sulla correttezza del procedimento formale della formulazione sillogistica. Il sillogismo è un’espressione specifica della ragione, è una connessione di concetti logici che si costituisce nell’unità dell’Idea, che è a fondamento del sillogismo stesso, il quale è veritiero e indefettibile se, nel processo deduttivo del suo svolgersi, è costantemente illuminato, fecondato dall’intelletto unitario, stante immobile nella contemplazione dell’Idea. Il sillogismo è “scientifico” se il logos-ratio è irradiato dal nousintellectvs, il quale, operando il coglimento puro dei principi in modo immediato, incide con la sua luce al centro della ragione, come ideazione o concezione pura, permettendo il passaggio dall’essere dell’Idea all’esistenza del concetto logico che si sviluppa nella successione discorsiva, dando luogo all’enunciazione della natura dei principi sintetici in forma dialettico-analogica, secondo concetti veri o logoi puri. Il sillogismo che non rispetta queste condizioni è ontologicamente falso, è semplice sofismo o erisma. La scienza immediata dell’essenza è sempre alla radice del sapere mediato conforme al vero, la dialettica conforme a verità presuppone sempre una noetica, una gnosi a priori.

L’ottenimento della scienza immediata e diretta dei principi eterni si realizza facendo passare dalla potenza all’atto l’Intelletto Divino immanente nell’anima, attraverso una regolare ascesi intellettuale che permetta la purificazione dell’anima e la conseguente cessazione di ogni suo moto verso il sensibile. Solo quando l’anima e le sue operazioni discorsive si sono arrestate, mediante la concentrazione nel silenzio dell’intelletto, è possibile che quest’ultimo passi dalla latente potenzialità alla sua attualità agente, costituendo così “l’illuminazione intellettuale”, l’ellampsis dell’anima.

La realizzazione intellettuale prevede due gradi: il primo coincide con l’attualizzazione dell’Intelletto Universale immanente quale centro essenziale dell’anima; l’altro prevede l’identificazione effettiva dell’intelletto immanente nell’anima alla totalità dell’Intelletto Universale trascendente, mediante la quale si realizza l’onniscienza totale inerente l’Intelletto Divino Eterno.

La prima realizzazione coincide con l’attuazione dell’unità trascendente dell’anima individuale, la seconda realizzazione riguarda l’attuazione dell’Unità Trascendente dell’Anima del Mondo. Il primo grado di realizzazione intellettuale coincide con lo stato intellettivo proprio all’uomo divino dell’Età Aurea e costituisce l’anima nello stato primordiale dell’umanità, al centro-cuore della terra luminosa primigenia; il secondo grado di realizzazione intellettuale coincide con lo stato intellettivo proprio all’Uomo Universale, costituito nello stato principiale dell’Essere Totale, nel centro-cuore della Terra Divina, la sostanza gloriosa dell’Essere stesso.

Il primo grado di integrazione intellettiva realizza l’unione partecipativa con il Verbo Divino primigenio, agente alle origini auree dell’umanità, mentre il secondo grado di integrazione attualizza la completa identità col Verbo Divino Universale, Principio di ogni tradizione religiosa, la sede e la scaturigine di ogni conoscenza vera. Il Verbo Universale è ciò da cui procedono le forme spirituali tradizionali nell’insieme del ciclo cosmico, quindi la realizzazione intellettuale universale assimila il conoscente al principio del Logos Eterno e gli consente di acquisire la Sophia Aionia-Sapientia Aeterna inerente. Colui che ha realizzato questa Sapientia conosce direttamente i principi eterni di tutte le cose in Se Stesso, non più per illuminazione, ma per identità, in quanto la conoscenza universale propria del Verbo è priva di ogni relatività connessa all’individualità particolare. Nella Sapientia Aeterna sono presenti i Logoi puri in modo essenziale, quei Logoi che costituiscono poi, nella loro forma riflessa, la presenza immanente delle Idee eterne nel piano della manifestazione cosmica, pure forme neutre e unitarie immesse dall’Intelletto Agente, tramite il Suo Verbo, nell’Anima del Mondo e nell’anima individuale. La realizzazione della Conoscenza Metafisica Universale inerente all’Intelletto Divino Ipostatico porta con sé alcuni effetti, come il conseguimento di una prospettiva centrale, sintetica e universale, perfettamente oggettiva e onnicomprensiva di tutte le cose, che permette di intelligere, dall’interno e nel loro principio, tutte le cose, di conoscere il nome di tutti gli enti e perciò anche i linguaggi molteplici attraverso cui la Verità dell’Essere si manifesta. Colui che dispone di conoscenza divina possiede l’infallibilità della conoscenza diretta dei principi, del Vero che, in quanto tale, è completamente indipendente dai supporti attraverso i quali si esprime e nei quali si manifesta, in quanto il Vero, in sé, è sempre di carattere sovraindividuale, e quindi anche sovraumano e sovrarazionale. Questa realizzazione intellettuale, pur non coincidente con la realizzazione metafisica suprema, costituisce nel realizzato una vera Autorità Spirituale Universale.

L’enunciazione integrale della Verità dell’Unità Divina sta al principio di ogni forma religiosa tradizionale, l’enunciazione di gradi diversi dell’unica verità è corrispondente ai gradi di attuazione dell’Intelletto Totale da parte dell’Intelletto Agente. Questa distinzione è alla base della dottrina della gerarchia delle manifestazioni divine e delle autorità spirituali presenti nelle varie tradizioni (avatara, profeti, sapienti, ecc). Anche chi ha realizzato il grado minore dell’illuminazione intellettuale è comunque, nel suo livello, una “manifestazione divina”, con un grado determinato di autorità spirituale. Per l’animo che è in atto secondo l’intelletto agente nell’immanenza, l’intellezione è contemplazione diretta, autorivelazione e svelamento di sé, per gli uomini che entrano in relazione con esso, è enunciazione di verità, eterorivelazione ed evidenza divina. Questo soggetto “illuminato” non poggia più su fede e ragione, è il fondamento stesso dell’autorità e il criterio di verità, in quanto è già assimilato all’Intelletto Divino Eterno. Da nessuno che sia ad esso inferiore può essere più giudicato, ma tutto può giudicare.

Ne consegue che l’enunciazione di una dottrina da parte di un soggetto va considerata veritiera e infallibile nella misura in cui il soggetto la concepisce a partire dall’intelligenza pura, l’argomento reso disponibile al discorso è perciò enunciato dall’intelletto attuale dell’anima in forma simbolica o logica e attesta che il dato espresso è veramente conosciuto per intellezione vera. Perciò questo tipo di formulazione non avrà mai un carattere umano e contingente, ma avviene per l’utilizzo del supporto umano da parte dell’Intelletto Divino che, in tal modo, svolge una funzione provvidenziale precisa, fungendo il supporto umano da mero appoggio, affinché la Verità Eterna si esprima nel tempo. Nel realizzato l’elemento umano è stato trasfigurato dalla presenza dell’Intelletto Divino nell’anima, così la persona rigenerata in Dio esprime le virtù dell’Intelletto Divino in modo evidente.

Ai gradi di attualizzazione dell’Intelletto corrispondono gradi di infallibilità relativi e quindi una disposizione gerarchica di conoscenze di arcani e di misteri minori o maggiori, in ragione del livello della realizzazione. Chi formula una verità tradizionale può porsi in tre posizioni determinate, in tutti i casi non parla mai in nome proprio, ma in nome del Dio o della funzione divina che lo ispira, essendo in realtà una Virtù Divina o un Dio che parla tramite il soggetto personale. L’esponente autorevole può parlare in nome della religione particolare, di cui appare far parte in modo relativo nella contingenza della sua forma personale, può parlare a nome della Religione Primordiale, di cui è espressione in quanto intelletto puro informale nell’immanenza, o, infine, può parlare a nome della Religione Eterna, in quanto Intelletto Divino Universale. L’infallibilità metafisica, nei diversi livelli di esposizione trattati, si applica alla conoscenza dei principi e delle cause, ma in generale, nei riguardi del causato, occorre applicare di volta in volta il discernimento particolare retto, a partire dalla conoscenza dei principi, quindi bisogna esercitare la virtù della prvdentia.

È necessario precisare che non bisogna confondere l’intelligenza essenziale autentica di un ente, con l’effetto illusorio che produce la rappresentazione sensibile dello stesso. Una verità essenziale può essere colta a differenti livelli, in generale può essere colta dalla sensazione o dal sentimento e produrre un’accettazione di tipo istintivo, volitivo e opinativo, dall’esterno, ossia una “comprensione” per fede irrazionale. La verità può essere colta dalla rappresentazione e dalla concettualizzazione e determinare un assentimento volitivo razionale, una “comprensione” mediata dalla teoresi dianoetica. La verità può essere infine colta dall’intuizione intellettiva, per identità immediata con l’oggetto conosciuto, così si produce la certezza infallibile e la comprensione unitaria dell’ente per identificazione alla sua essenza. La “comprensione” per fede o l’assentimento per teoresi dianoetica rimangono confinati nel territorio del dubbio, dell’incertezza, dell’opinione e del soggettivismo razionale relativo, quindi lasciano aperto il campo alle infezioni dell’irrazionale, dell’umano, del contingente e dell’individuale. Chi si confina nell’ambito delle sensazioni irrazionali, e dell’elaborazione orizzontale delle stesse, si allontana dal cuore dell’Idea che la forma razionale o sensibile sottintende, se, invece di innalzarsi nella dialettica ascensiva, catartica e induttiva, si indugia nella dialettica discensiva, deduttiva e catabasica, si alimenta l’illusione chimerica del sapere.

È opportuno quindi distinguere, nella conoscenza, la relazione di analogia dalla “a-relazione di identità”, ossia i modi del pensare razionale da quelli dell’intuizione intellettuale. La relazione analogica produce una separazione fra il soggetto ragione, e l’oggetto, l’Idea dell’ente, e sviluppa nell’anima un’immagine o un nome, che sono proiezioni mediatrici dell’Idea. Nella “a-relazione di identità” invece, vi è essenziale unità fra l’Idea e colui che la coglie, non vi è pertanto riflessione, né mediazione, come nel pensiero riflessivo e discorsivo. Nell’intellezione l’oggetto è colto come sé, nella rappresentazione riflessa come altro da sé, come separato e distinto. Ciò valga ancora una volta a mettere in guardia dalle illusioni che si producono al primo assentimento irriflesso che si produce di fronte alla verità annunciata o udita, un assentimento che non va mai scambiato con la conoscenza razionale e, tantomeno, con la conoscenza effettiva del dato nella sua essenza.

Venendo alla questione del metodo di esposizione della verità, occorre mettere il fuoco sul criterio della dimostrazione dei dati enunciati. Ogni conoscenza di ordine intellettuale può essere esposta in modo logico-verbale, a patto di non scambiare l’espressione logico-verbale per il dato a priori della conoscenza, il significato con il significante, il simbolo mediatore con l’Idea da mediare. Che l’espressione sia puramente mitico-favolosa, enigmatico-oracolare, o solamente dialettico-discorsiva, deve comunque essere idonea a trasmettere e comunicare il dato trascendente e fungere quindi da supporto alla ricezione del dato mediato. Ogni certezza o verità di ordine trascendente può essere dimostrata in modo logico e/o ontologico, entrambe le modalità procedono dalla conoscenza diretta, ma la prima si serve del sillogismo, tanto più fine quanto più deve dimostrare principi di ordine primo, fino alla sospensione del sillogismo stesso, quando ciò che deve essere trattato richiede altro mezzo. Questa dimostrazione dovrà fare uso di determinati assiomi o proposizioni vere di ordine intuitivo, posti a priori, dai quali si svolge la dimostrazione successiva, che sarà quindi un sillogismo “scientifico” fondato sulla scienza intellettuale conforme al vero, cosa che non può avvenire se le premesse assiomatiche di verità sono solo premesse probabili, fondate sull’opinione, in questo caso, come abbiamo accennato più sopra, avremo un semplice sillogismo “dialettico”, proprio ad ogni comune apparenza di verità. La seconda modalità della dimostrazione si serve del simbolismo, che costituisce la premessa assiomatica e la dimostrazione ad un tempo, esso tende ad attivare direttamente ed esclusivamente l’operazione intellettuale, mediante un procedimento che sospende l’operazione razionale e l’induzione che procede per ascesi sillogistica. L’enunciazione simbolica della verità mira direttamente al “cuore”, giova ad attuare una conoscenza diretta e immediata per semplificazione intellettuale, senza girare attorno all’oggetto, ma puntando diritto ad esso col centro intellettuale dell’anima, destato contestualmente. La prova ontologico-simbolica è ciò che vi è di più diretto e vicino al dato della conoscenza essenziale, essendo di quel dato la sua espressione migliore sul piano della ricezione umana, la sua presenza reale su quel livello. Questa ultima modalità è assai poco apprezzata dai razionalisti moderni, i quali, inclini al sillogismo discorsivo fine a se stesso e sono quasi sempre manchevoli di un uso effettivo di lingue o nomi sacri, sono avvezzi all’utilizzo di parole ormai sempre più inadeguate ad esprimere il dato da raggiungere con la conoscenza. Essi dunque si trovano in estrema difficoltà ad attivare una facoltà che era viva nell’anima della persona tradizionale, l’aisthetikos nous.

La formulazione logica di verità noetiche fonda sul sillogismo scientifico, la forma perfetta del sillogismo. Quando si formulano proposizioni, ossia quando si enunciano giudizi, attraverso la sola unione di termini fra loro con nome, verbo e aggettivo, che affermano o negano qualcosa di qualcos’altro, non si ragiona ancora, né effettivamente si giudica. La base del ragionamento è il nesso fra le proposizioni enunciate, di modo che da certe premesse ne derivino necessariamente e logicamente certe conseguenze, ossia si produca il sillogismo. Le premesse non sono mai la causa della verità o della falsità dei dati, ma solo della sequenza logica del sillogismo, tanto da far sempre seguire un conseguente, posto l’antecedente; le premesse che si compiono rettamente nelle conseguenze esprimono solo la coerenza logica del sillogismo, ma non dicono nulla del suo fondamento ontologico. Perciò la struttura del sillogismo, o dell’inferenza, è indipendente dal contenuto di verità delle premesse e delle conseguenze, mentre il “sillogismo vero”, o scientifico, fondato su episteme o scientia, non riguarda solo il carattere formale dell’inferenza, ma anche la verità essenziale delle premesse, premesse il cui contenuto deve sempre essere frutto di intuizione intellettiva e non di opinione. Aristotele afferma:

Aver scienza è sapere per dimostrazione. Dico dimostrazione il sillogismo scientifico, dico scientifico quel sillogismo in base al quale, per il fatto di possederlo, abbiamo scienza[5].

Il sillogismo scientifico deriva sempre dalla conoscenza dell’essenza per intelligenza, la sua articolazione è dimostrazione logica di verità sovralogiche, le sue premesse sono ontologicamente vere, sono prime, ossia non necessitano di altre dimostrazioni anteriori, più universali rispetto alle conclusioni, in quanto ne contengono la ragione. Tali premesse possono essere formulate solo da chi dispone della scienza, dalla quale, per deduzione sillogistica, si dimostrano verità particolari a partire da verità universali, attraverso un processo di discesa provvidenziale. Tale discesa epifanica del Verbo è funzione propria del metodo di esposizione inerente alla sapienza metafisica tradizionale che tratta delle verità eterne.

Il metodo tradizionale di esposizione della scienza sacra dispone di principi suoi propri e peculiari, di modalità dimostrative ed enunciative centrate principalmente sul simbolismo e sulla lingua sacra, ma fa anche uso della dialettica discorsiva generale per produrre dei concetti contingenti, funzionali all’avviamento dell’operazione intellettuale, per condurre alla scienza dei simboli sacri, a partire da una precisa conversione della ragione. La dialettica discorsiva ascendente è atta a costituire un ponte mediatore nei confronti della ragione ordinaria, la quale utilizza queste proiezioni in guisa di appoggio temporaneo e occasionale, solo per stabilire un primo aggancio con la verità essenziale dimostrata con modalità più appropriate.

Quanto abbiamo esposto deve consentire di evidenziare, attraverso l’esposizione scientifica di carattere metafisico, che vi è Unità essenziale e corrispondenza ontologica fra tutte le forme religiose tradizionali e la Religio Primordialis e la Religio Aeterna, in quanto sussiste l’identità essenziale delle loro forme, dei loro miti, riti, simboli, discipline e leggi. L’unità occulta e permanente esiste oltre le molteplici espressioni, oltre gli apparenti contrasti ed opposizioni che talora appaiono risultare da un superficiale approccio alle singole religioni storiche.

L’evidenza dell’Unità Essenziale nello Spirito Divino, del Verbo Universale, deve servire a liberare ogni religione particolare dal suo esclusivismo, dal suo isolamento particolaristico, recuperando in se stessa ciò che vi è di più essenziale e trascendente, di veramente comune ad ogni religione, riportando ogni aspetto determinato al principio generatore universale delle singole forme tradizionali, le quali saranno così intelligite nell’Unità Metafisica di cui sono espressione. Le varie forme spirituali possono essere dunque rivitalizzate, per la riattuazione integrale in esse dello Spirito Divino e per un recupero integrale della divina presenza nel loro cuore, così potranno difendersi senza problemi da ogni azione antireligiosa e antitradizionale e, allo stesso tempo potranno contribuire alla realizzazione di quella Pace Divina che riunisce tutti i popoli e le religioni nell’unità divina comune, altrimenti impossibile a prodursi con altri mezzi.

 

[tratto da: Viola, L.M.A., I principi della Sapienza Eterna]

 

[1] Platone, Repubblica, VII 533e-534a.

[2] Platone, Fedro, 277a.

[3] Platone, Lettera VII, 341c-d.

[4] Aristotele, Analitici Secondi, Β19, 100 b 5-17.

[5] Aristotele, Analitici Secondi, ∆2, 71 b, 16-17.

 

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