
L’ego sensibile e somatico costituisce la figura inversa dell’Ego Divino Eterno ed è il prodotto finale della catabasi dell’identità ontologica, la quale, al di sotto di questo stato, si dissolve nella completa nescienza e nella caoticità degli accidenti corporei. L’ego psichico, l’“io” di tipo riflesso e individuato, ha una consistenza maggiore rispetto all’ego somatico, la sua genesi è dovuta al principio dell’alterazione, o meglio, all’“uscita” dell’essere intellettuale da se stesso, a seguito della costituzione della polarizzazione diacritica dell’anima. Nell’ego psichico, incosciente della sua condizione di riflesso contingente, si costituisce la soggezione all’ignoranza psicologica, la quale limita la visione dell’Essere alle possibilità della ragione. Da questa ignoranza derivano tutte le passioni psichiche, così come le afflizioni connesse all’illusione dell’esistenza. Come vedremo più avanti, dalla costituzione dell’anima riflessa e dall’immedesimazione dell’essere ad essa, a causa dell’ignoranza ha origine la psicopatologia originaria, dalla quale derivano tutte le altre psicopatologie. L’identità psichica avventizia e accidentale è illusoria se viene separata dal suo Fondamento Divino, l’esperienza dell’isolamento e dell’inconsistenza nell’Essere determina pena e attaccamento al senso psichico di sé, dal quale deriva la sofferenza propria al principio della vita psichica individuale e determinata. Dal falso amore di sé, connesso al logos-ratio, vengono l’attaccamento all’esistenza distintiva e il desiderio di gratificarla fruendo dell’essere in modo ingannevole. Se si mantiene l’attività razionale determinata, si produce la fruizione ad extra degli oggetti sensibili e degli oggetti psichici, che fissa l’anima alienata nell’alterità del non essere, con le conseguenze afflittive inerenti.
La psyche infatuata di sé è affetta da un teras che la sconvolge, la psicoterapia dovrà agire propriamente sull’illusione della falsa sostanzialità esperita dall’ego psichico riflesso, il quale non ha realmente alcuna permanenza ontologica assoluta, ma ha solo una costituzione avventizia, in quanto il suo vero fondamento immediato è l’intelletto, dal quale l’ego razionale è “uscito” perdendo ogni connessione effettiva con esso. L’anima completamente ignara di sé, una volta che viene associata al corpo, si circoscrive al senso. A causa di questa assimilazione al non essere si costituisce il soggetto titanico avventizio, che è un prodotto accidentale della sensazione corporea. L’anima ridotta in questo stato rende possibile il sentire, ma è totalmente ignorante della sua natura propria, così come dell’attività continua dell’intelletto che l’illumina, ma anche della sua ragione essenziale. Il sentire dipende comunque dall’attività di questi elementi superiori, i quali operano anche se l’ego somatico è incosciente della loro azione.
Le facoltà che trascendono la dimensione sensibile dell’uomo corporale sono sempre attive, altrimenti la sensazione del vivente umano non sussisterebbe. Il dianoetikon e il nous sono dunque sempre operanti a loro modo, il nous intuisce sempre le idee e il dianoetikon connette sempre questa intuizione alla radice dell’anima, perciò l’essere razionale del soggetto è sempre “informato” dall’alto e, sebbene non ne sia cosciente, l’ego sensibile poggia su questi principi immanenti, che costituiscono il suo fondamento intelligibile, altrimenti egli non potrebbe esercitare nemmeno la percezione elementare degli intelligibili presenti negli oggetti corporei.
Elevando il senso d’essere alla dimensione del phantastikon e poi a quella del doxastikon, il soggetto avvia il rientro in se stesso, astraendosi dalla dispersione nella molteplicità della sensazione, l’identità psichica si unifica e acquista una consistenza ontologica maggiore. Nell’ascesa a stati superiori dell’essere, il soggetto procede via via a gradi di introspezione e autoconoscenza più precisi, prima attiva il doxastikon e poi, attraverso di esso, prende coscienza del dianoetikon, successivamente abbandona l’opinare e si costituisce nel ragionare, in tal modo diviene cosciente degli oggetti del sentire e può procedere a separarli completamente da sé. Dialogando con se stesso[1] su se stesso, l’ego psichico si enuclea da ogni sensibile per porre l’attenzione al proprio pensiero e riflettere sulle immagini interiori, fino a portare la riflessione dialogica sul solo soggetto che riflette, isolandolo dal ragionare. La riflessione dialogica non è completamente astratta e non porta compiutamente sull’oggetto, ma rimane attorno all’oggetto, perciò il soggetto psichico può essere colto dall’attività dialogica solo in successione e per parti, ma non nella sua unità sintetica. È necessario estinguere l’attività dialogica in quella noetica se si vuole che il soggetto determinato possa cogliersi nella sua unità intelligibile ed intellettuale. La semplificazione introspettiva può anche essere portata più a fondo risolvendo l’intelletto nell’Essere Intelligibile, dunque nel Soggetto Universale che si autoconosce immediatamente come l’unico e solo Essere. Lo stato di autoconoscenza universale, l’autocoglimento di Sé in quanto Ente, può essere infine trasceso attraverso l’estinzione di ogni determinazione della conoscenza soggettiva/oggettiva, in tal modo si realizza l’Identità Divina Suprema e la consapevolezza incondizionata dell’Essere Infinito.
Questo è il termine effettivo della via dell’autoconoscenza indicata dal Dio Apollo. Il culmine dell’aplosis, del toglimento di ogni molteplicità, si produce quando l’essere immanente estingue tutte le sue affermazioni limitative nell’Essere Trascendente inqualificato, questo risultato deve portare, attraverso l’elevazione al vertice dell’attività intelligente del nous, al punto in cui opera il Fiore dell’intelletto, raggiunto il quale si svela l’identità con l’Essenza Divina Universale. Ma al di là di questa Essenza esiste l’Essere Puro Sovraessenziale, che trascende l’autoconoscenza determinata, perciò attraverso l’estinzione di ogni conoscenza finita, ogni relazione e ogni distinzione fra il soggetto e l’oggetto, si attinge alla henosis, all’Unificazione Divina Perfetta. A questo punto la psicoterapia termina, quando l’essere dell’uomo si è stabilito nell’Identità Suprema, al di là di qualsiasi limitazione costitutiva, che pone delle identità avventizie nel non essere, ogni soggezione al male-malia è completamente risolta.
Superati tutti i limiti delle identità relative ai conoscenti avventizi, ai quali si associano diversi stati di ignoranza e illusione, vengono superate anche le diverse limitazioni illusorie relative alla falsa “cura di sé”, presenti nelle diverse filosofie tradizionali riduttive, come l’aristotelismo o lo stoicismo, o nelle filosofie deviate, come l’epicureismo, così come nelle filosofie moderne di carattere completamente illusorio, e nelle psicoterapie contemporanee, che hanno un carattere del tutto parodistico.
[1] Plotino, Enneadi, V, 3, 2.
(tratto da L.M.A. Viola, Psyches Therapeia, vol. II)
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