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Tradizionale

L’Associazione Igea ha un’impostazione rigorosamente tradizionale ed osserva una fedeltà completa al Principio dell’Autorità Divina, Pitagora, e alla tradizione del Verbo pitagorico effettuata dai Maestri nei secoli.

Il termine traditio, tradizione, indica l’atto del tradere. Il termine tradere, tradire, è composto dalla particella trans– indicante ciò che sta oltre, al di là, al di sopra, e dal verbo dare, da-re, che definisce l’atto procedente da un soggetto attivo reggente.

In senso lato tradire equivale a trasferire un oggetto, o una sostanza, da un soggetto ad un altro, da un ente ad un altro, è dunque far passare in altro, assegnare, attribuire, ecc.

A seconda dell’applicazione, il termine assume molti sensi, tra i quali consegnare, passare, affidare, cedere, tramandare, trasmettere, comunicare, insegnare, riferire, ecc. Trans-dare è un atto che implica un “dare oltre”, un’azione che, pur svolgendosi fra due poli consegna un dato che proviene da una dimensione che si trova al di sopra dei due poli, in quanto il principio dell’azione primaria e originaria del tradire trascende gli “anelli” del trans-dare. Nel lessico religioso romano, da cui il termine traditio proviene, questo significato è evidente.

Il termine greco paradosis è strettamente analogo al termine traditio, in quanto la paradosis è atto del para–didomi, del ‘dare a lato’. Il prefisso para– esprime il collocarsi a lato, il porsi accanto ad un altro, ad un oggetto, ad un segno, ad un testimone. Collocare a lato equivale anche a porre l’oggetto a lato, perciò definisce una traslazione, una trasmissione orizzontale, la consegna di un dato da un soggetto ad un altro lungo una linea posta nello stesso piano. Quindi il termine paradosis assume una connotazione più limitata rispetto al termine traditio, perciò il paradotos, ciò che è trasmesso con la paradosis, si media nella linea dei riceventi in modo orizzontale, pur essendo di natura trascendente. Il termine paradosis è associato ai termini ebraici qibbēl, ‘ricevere da’ e a masar, ‘trasmettere a’, parole integrate nel termine unico qabbaláh, la ricezione e la consegna della parola, un insieme di significati che rinvia alla tradizione orale di un insegnamento.

La conservazione del dato originario della tradizione richiede il mantenimento della presenza, nella tradizione, dell’attualità del dato originale stesso, nella sua pienezza. Il dato originario, nella fattispecie della tradizione religiosa o filosofica, non è una sostanza o un contenuto oggettivo, distinto dal datore, ma è lo stesso stato ontologico o henologico del datore primario originario.

Questo stato equivale allo stato del Principio Divino trascendente della tradizione e comprende in sé la disposizione della Sapientia Aeterna, e la sua immanenza attuale nella Sapientia Primordialis.

La presenza attiva dell’Intelletto Divino nella Persona Divina Primordiale, costituisce da un lato l’atto terminale della tradizione verticale discendente della Sapientia Aeterna e, dall’altro lato, l’atto iniziale della sua trasmissione nella dimensione spazio temporale.

La Persona Divina Primordiale è il primo costitutore originario della tradizione nell’“umanità”, allo stesso tempo essa presentifica la Religio Primordialis, immanenza della Religio Aeterna.

Il primo iniziatore della tradizione orizzontale è dunque la Persona Divina Primordiale, o ciò che costituisce la sua presenza al principio di una data religione. L’iniziatore divino originale è anche la presenza del Bene e il possessore della pienezza dell’autorità efficace, per cui è capace di determinare l’iniziazione al mistero, che coincide con la sua natura divina eterna.

Attraverso l’iniziazione al suo mistero, alla sua essenza, la Persona Divina Integrale consente l’attualizzazione della semente spirituale, latente nel corpo-anima, perché essa sia “intellettualizzata” e “risorga dalla morte”, fino alla restituzione della stessa all’integrale vita eterna, mediante lo svelamento della sua identità con l’Essere Eterno stesso.

Va detto che, il Primo Iniziatore non comunica nella trasmissione divina essenziale originaria un dato esteriore alla sua essenza, una dottrina o un’azione, non consegna un deposito, un contenuto oggettivo da custodire ma, al contrario, determina l’attuazione del suo stato essenziale nel soggetto prescelto per la rivelazione-illuminazione-iniziazione.

L’iniziato seguendo l’Iniziatore Divino nei diversi gradi di attualizzazione del mistero, viene divinizzato, reso uguale al Dio, questo stato è “certificato” dall’Iniziatore Divino stesso, che riconosce colui che ha realizzato la sua identità. Il dato della trasmissione originaria del mistero è dunque lo stato divino dell’Iniziatore spirituale, l’iniziazione “trasmette” questo dato-stato e rende attuale l’identità divina dell’animo dell’iniziato. La realizzazione di questo stato garantisce la successione divina, la presenza continua della Luce dell’Essere Divino nel mondo, la quale deve essere custodita e trasmessa nella sua integralità, perchè gli uomini qualificati giungano alla pienezza della verità.

La trasmissione originale del dato-stato dell’Iniziatore Divino, oltre ad attuare la piena iniziazione allo stato perfetto dell’Essere Divino costituisce l’Autorità Spirituale e il Magistero didascalico, ed è caratterizzata anche dalla istruzione sulla regolarità della trasmissione e sulle modalità della conservazione della tradizione stessa.

Ogni autorità religiosa regolare dovrà rimanere rigorosamente fedele alla consegna originale dell’Iniziatore Divino. L’importanza della regolarità tradizionale si pone dunque fin dalla trasmissione divina originaria ed è oggetto di rigorose attenzioni per tutto il corso della trasmissione temporale della sapienza religiosa originale.

Le diverse autorità tradizionali hanno sempre difeso l’esoterismo di metodo, che va attuato affinché la trasmissione del mistero divino avvenga regolarmente. Le autorità si sono concentrate anche sulla questione della selezione dei candidati adatti alla ricezione del mistero, e nella disposizione della disciplina dell’arcano sul modello dato dall’Iniziatore originale.

Inoltre hanno fatto sempre presente quale rigore debba essere tenuto nell’interpretazione delle sacre scritture in conformità alle modalità dell’autentica esegesi trasmessa dai sacerdoti divini.

La tradizione divina originaria deve essere conservata intatta, ad ogni costo, occorre perciò evitare la molteplicità delle interpretazioni parziali, limitate o deviate. Ogni alterazione della consegna divina originaria corrompe l’autentica tradizione esoterica e spirituale, consegnata dall’Iniziatore Divino, ed è foriera di rovina. La tradizione va conservata nel suo autentico spirito e perciò l’exoterismo, e specialmente l’elaborazione umana della stessa tradizione, attraverso il commento esteriore finalizzato alla sua corretta messa in atto, non devono mai sostituire il diretto coglimento del suo Spirito.

È al cuore della tradizione che inerisce il rigore della regolarità di tutto il processo dell’accoglienza-trasmissione del dato-stato. Nel quadro della regolarità della tradizione rientrano diversi elementi che interessano nell’ordine: il Principio costitutivo della tradizione, la presenza immanente dell’Intelletto Divino nel quale è riposta tutta l’originaria Sapienza Divina e quindi la Verità Immutabile; l’Autorità che rende possibile l’attualizzazione del dato-stato del costitutore della tradizione nel ricevitore immediato; il Magistero sapienziale-rituale, ossia il magistero religioso capace di presentificare nella persona, nella civiltà, nell’umanità, nel mondo, l’Essere stesso, nella sua pienezza e, allo stesso tempo, di rendere possibile l’attuazione dell’Essere nella sua integralità; la custodia-difesa della Sapientia originale da ogni degrado e corruzione.

La regolarità della trasmissione filosofica implica l’attuazione, reale ed efficace, nei riceventi, del dato-stato del traditore originario, perciò prevede il rispetto rigoroso di tutte le condizioni, essenziali e contingenti, che rendono possibile questa attuazione.

Inoltre occorre, dopo la trasmissione-attuazione, una rigorosa conservazione del dato-stato, ponendolo al riparo da ogni corruzione, occorre infine non modificare le modalità, stabilite all’origine sacralmente, per trasmettere il dato-stato, in conformità alla perfezione primordiale. Perciò è necessario evitare ogni genere di degrado della trasmissione dello spirito essenziale del dato-stato, istituendo un esoterismo di metodo per il quale il substrato ricevente della trasmissione viene selezionato a priori, da parte delle autorità religiose o filosofiche qualificate.

Solo l’autorità pienamente qualificata dalla compiuta realizzazione essenziale del dato-stato, ricevuto nello Spirito, che ha costituito la continuità della presenza del costitutore divino originario, garantisce un’assoluta e completa regolarità. Una tale autorità permette che i riconoscimenti, i controlli, le attestazioni, le autorizzazioni, le legittimazioni a trasmettere e a conservare la tradizione nel tempo, siano adeguatamente compiuti.

La trasmissione del mistero, alle origini di ogni tradizione, fonda sulla catechesi dialogica, la quale costituisce il cuore della prassi rituale iniziatica pura, che consente la piena spiritualizzazione dell’animo dell’iniziato, integrando la sua sostanza nella dimensione eterna dell’Essere Divino. Le prime redazioni scritturali sono sempre successive alla tradizione catechetica orale operata da bocca ad orecchio, da Spirito a spirito.

L’esoterismo di metodo, nell’insegnamento dei misteri divini, era sempre rispettato, l’iniziazione avveniva per gradi, perciò l’esoterismo di metodo era funzionale a far procedere il candidato all’esoterismo di sostanza. Un’iniziazione all’essenza del mistero, senza rispettare la “maturazione” operata dai gradi crescenti dell’illuminazione-gnosi, era reputata irregolare, essa produceva disordine psichico e spirituale nel soggetto, travisamenti del mistero, inoltre apriva la via ad una diffusione falsata della tradizione.

La scrittura fa comunque parte della tradizione, ma è più limitata rispetto alla tradizione integrale, la quale nel suo insieme include l’oralità e la scrittura.

L’oralità della tradizione, rispetto alla scrittura, rappresenta il soffio vivente e animato dal Dio, la sua indispensabile presenza, affinché la scrittura non perda ogni genere di voce e divenga muto supporto materiale dello Spirito.

Secondo la sapienza divina originaria, se si ignora la tradizione, l’oralità esoterica e spirituale che trasmette la verità essenziale direttamente, le scritture non possono essere intese pienamente nella loro essenza, perché la verità essenziale può essere trasmessa solo a viva voce, da Spirito a spirito.

I misteri segreti perciò sono ricevuti in Spirito mediante trasmissione orale, chi non li riceve in tal modo avrà la strada sbarrata al momento di passare dalla dimensione psichica, accessibile a tutti, a quella intellettiva e spirituale, accessibile ai pochi qualificati, rettamente iniziati.

Il pieno senso delle scritture può essere ricevuto solo tramite la tradizione orale, o, almeno, attingendo alla “scrittura dell’oralità”, scrittura che alle origini di una tradizione costituisce il supporto testuale della trasmissione orale, ciò è valido in particolare modo per la divina tradizione pitagorico-platonica, specialmente nel periodo tardo antico. Una qualsivoglia riduzione, per non dire perdita, dell’oralità, impedirebbe la penetrazione essenziale delle scritture, perciò limiterebbe il loro intendimento ad un piano minore dei misteri divini che esse veicolano, di conseguenza confinerebbe, nel migliore dei casi, ad una fruizione esteriore ed inessenziale della religione o della filosofia.

Le chiavi dell’apertura delle scritture sacre costituiscono la regola aurea della tradizione scritturale, queste chiavi sono state consegnate direttamente dall’autorità divina originale, attraverso di esse l’animo può aprire le diverse porte simboliche ed avere acceso ai diversi livelli di senso e di realizzazione della scrittura stessa. Ma le chiavi sono state trasmesse solo ai soggetti qualificati, perciò la loro consegna è avvenuta in modo esoterico, come fu per Pitagora e il sodalizio crotoniate e per Platone e l’Accademia ateniese.

L’esoterismo di metodo, che consente il regolare accesso al mistero divino essenziale, deve essere sempre rispettato, ma nel tempo, a seguito della catabasi a cui va incontro ogni tradizione spirituale, vi è una progressiva negazione dell’esoterismo di metodo, parallela alla negazione dell’ esoterismo di sostanza. Così la fruizione dell’essenza della religione o della filosofia sarà limitata, per i più, alla ristretta dimensione psichica.

Il degrado della tradizione comporta un allentamento del rigore della selezione dei canditati a cui consegnare la sua essenza e una relativa democratizzazione dell’accesso alla stessa.

In seguito a ciò vi sarà un deterioramento dell’autorità e delle personalità autorevoli a capo della tradizione, le quali proporranno poi un indiscriminato accesso al mistero, a tutti gli uomini, giungendo, alla fine della discesa catabasica della tradizione, ad eliminare persino ogni gradualità exoterica nella prassi religiosa esteriore.

L’autorità religiosa o filosofica vivente è capace di iniziare e imprimere una forma all’animo qualificato, con la sua sola presenza, l’iniziando deve accogliere questa presenza nella ricezione unitiva, nel silenzio del cuore.

È nel cuore che si riceve lo Spirito per essenza, è la visione essenziale che “vede” il Dio e consente l’identificazione col suo Essere, questa visione rende poi possibile la trasmissione del mistero da Cuore a cuore.

La presenza del sapiente vivente, la comunione spirituale con lui, permette ciò che la sola scrittura, senza oralità, non consente pienamente. La visione essenziale non è un atto esterno di credenza, ma un atto sostanziale di identificazione col “visto”, che costituisce una fede ontologica, una qualità indispensabile nella regolare assunzione dello Spirito della tradizione.

Questa fede permette di trasfondere il potere del Dio nella sostanza dell’iniziato, il quale riceve così la compiuta comunicazione dell’influsso dello Spirito, tramite il quale la sua essenza viene riattualizzata.

È questo il primo momento efficace della consegna del mistero divino per comunicazione sostanziale, dal quale potrà essere compiuta la successiva consegna del dato-stato, in questo passaggio si trova l’essenziale della tradizione divina.

La consegna del mistero divino secondo l’essenza, si riduce nel tempo alla trasmissione oggettiva di un corpo dottrinale e rituale di fede psichica, al quale il soggetto crede in modo inessenziale. Perciò la consegna della sostanza reale dell’Essere Divino viene perduta nella tradizione exoterica, limitandosi quest’ultima, nella sua migliore situazione, alla comunicazione relazionale dello Spirito del Dio.

Risulta dunque evidente che la scrittura è sempre inferiore alla tradizione integrale, le autorità divine affermano sempre che va custodito in principio quanto trasmesso, quanto detto, quanto insegnato, non quanto scritto, per i diversi motivi che abbiamo addotto, in generale le autorità divine primarie non hanno scritto nulla direttamente. Ma la conservazione della tradizione deve essere completa, in ogni suo piano e aspetto, ciò è fondamentale, il retaggio originale non può essere dunque interamente contenuto, né esplicitato, nella sola scrittura.

L’Associazione Igea compie ogni suo sforzo per conservare la più completa fedeltà alla tradizione, alla consegna originale del Maestro Divino Pitagora e alla tradizione dei successivi maestri sapienti, affinché il candidato che voglia essere iniziato ai misteri divini possa fruire della procedura regolare, sia nella sezione exoterica della filosofia, sia in quella esoterica.

Proclo, nella Teologia Platonica[I, 6], descrive la linea dei Maestri che hanno costituito le autorità di riferimento della tradizione per l’interpretazione della rivelazione pitagorica e della suprema visione apollinea presente nella epopteia platonica.

In testa ad essi vi è Plotino, poi seguono Porfirio e Amelio, quindi vengono Giamblico e Teodoro, questi Maestri, secondo Proclo devono essere come “statue” per i discenti che sono iniziati ai misteri platonici.

Inoltre Proclo precisa le condizioni necessarie per accedere ai misteri.

Il candidato dovrà considerare “… come condizione imprescindibile l’essere stato opportunamente predisposto dalle virtù etiche e di aver sottomesso tutti gli indegni e disarmonici movimenti dell’anima al principio razionale della virtù e di averli ricondotti ad unità sotto la forma dell’assennatezza [prudenza]. Infatti, afferma Socrate, “non è lecito per chi non è puro toccare ciò che è puro”.

Senza dubbio chiunque sia malvagio è assolutamente impuro, mentre il puro è il suo contrario. Inoltre [il candidato] sia esercitato nei metodi di ricerca logica e gli siano presenti, avendoli considerati, concetti inconfutabili, sia molti casi di ragionamento analitico, sia molti casi di ragionamento diairetico, che sono opposti a quelli atti a risolvere, come, a mio avviso, anche Parmenide ha suggerito a Socrate: infatti prima di tale “divagazione” nei vari tipi di ragionamento è difficile ed inaccessibile la cognizione dei generi divini e della verità saldamente posta in essi. Per terza cosa oltre a ciò [il candidato] non sia ignorante di scienza della natura e delle multiforme opinioni in essa presenti <affinché>, avendo indagato convenientemente per mezzo delle immagini le cause degli enti, proceda più facilmente, a questo punto, verso la natura stessa dei fondamenti separati ed originari. Dunque non resti indietro, come abbiamo detto, rispetto a questa verità insita in ciò che appare, né inoltre “rispetto alle vie poste lungo il percorso educativo” e rispetto alle conoscenze insite in esse. Infatti attraverso queste vie conosciamo in modo più immateriale l’essenza divina.

Inoltre, avendo allegato tutte queste conoscenze sotto la guida dell’intelletto, avendo poi partecipato della dialettica di Platone, indi occupatosi delle attività immateriali ed astratte delle potenze corporee ed avendo indi desiderato contemplare gli enti con intellezione congiunta a ragione, intraprenda con tenacia l’interpretazione delle dottrine divine e beate, da un lato avendo colmato, secondo l’Oracolo, “di amore le profondità dell’anima”- dal momento che non è possibile “ottenere un aiutante migliore di amore” nel cercare di impossessarsi di questa dottrina, come da qualche parte afferma il discorso di Platone, dall’altro lato essendosi esercitato “nella verità” che giunge passando per ogni dove ed avendo sollevato lo sguardo del suo intelletto verso quella che è realmente verità in sé; ed essendosi inoltre saldamente posto accanto alla stabile, immobile e sicura forma della conoscenza della realtà divina, non aspirando più a contemplare null’altro, né a rivolgere l’attenzione in altre direzioni, ma con il pensiero tranquillo e con la forza di una vita infaticabile aspirando alla luce divina e, per dirla in breve, essendosi fatto scudo di questa forma al contempo di attività e di tranquillità, quale è opportuno che abbia colui che è destinato a diventare quell’elargitore di cui parla Socrate in qualche parte del Teeteto [Proclo, Teologia Platonica, I, 2, 10-11].

Non vi deve essere dunque alcun dubbio sulla natura religiosa e misterica della filosofia divina e su quali siano i caratteri del filosofo che si appresta ad ascendere nella conoscenza fino alla perfetta visione epoptica.

Non solo, deve essere chiaro che l’ascenso a ciò che “è realmente verità in sé” avverrà regolarmente solo se l’animo del filosofo sarà costituito in uno stato adeguato di devozione religiosa, nella disposizione di un eros filosofico univoco, un eros che, fin dal principio della via, deve accompagnare l’anima in tutto il suo itinerario, in quanto senza la disposizione amorosa verso il Dio non si costituirà il suo favore e la luce degli Dei non potrà mai essere conseguita. Perciò dopo avere costituito la più profonda gratitudine per il Divino Maestro Platone e per i maestri che ci hanno consegnato il deposito della tradizione, ci si deve impegnare a fare propria la verità divina, accordando ad essa ogni aspetto dell’anima e della persona, nel rispetto della regola filosofica disposta.

“Ebbene con ciò, se noi intendessimo contraccambiare la spettante gratitudine, non ci basterebbe tutto quanto il tempo nel suo insieme. Ma se non dobbiamo limitarci solo ad avere ricevuto da altri il bene eletto della filosofia platonica, ma dobbiamo anche lasciare a coloro che verranno in seguito memorie delle beate visioni -delle quali diciamo che noi stessi siamo divenuti per quanto possibile spettatori e ammiratori sotto la guida di colui che è il più perfetto dei nostri contemporanei e che è giunto alla sommità della filosofia- allora forse apparirebbe naturale che noi invocassimo gli Dei stessi, perché facciano scaturire in noi la luce della verità, e perché “coloro che sono al seguito” e “coloro che sono al servizio” degli esseri divini dirigano il nostro intelletto, e lo guidino passo per passo al perfetto, divino e sublime fine della contemplazione platonica. In ogni caso infatti, a mio avviso, è inopportuno che “chi è anche in scarsa misura partecipe di temperanza” cominci dagli Dei, e ciò vale in special modo nelle opere interpretative riguardanti gli Dèi. Né infatti è possibile comprendere la realtà divina se non, una volta che si è stati iniziati, per mezzo della luce che da essi proviene, e non è possibile fare conoscere <la realtà divina> ad altri se non ci si fa guidare dagli Dèi e se non si mantiene l’esplicazione dei nomi divini al di sopra delle multiformi credenze e della varietà che si trasmette nei discorsi.

Dunque essendo anche noi a conoscenza di ciò e persuasi dai consigli del Timeo platonico, considereremo gli Dèi come guide dell’insegnamento che li concerne. Ed essi dal canto loro, avendoci ascoltati, venuti a noi “propizi e benevoli”, guidino l’intelletto della nostra anima e lo facciano pervenire all’ “altare” di Platone e alla “vetta” di questa contemplazione. Una volta lì giunti, riceveremo tutta quanta la verità riguardante gli Dèi, e raggiungeremo il migliore compimento del nostro travaglio a cui siamo soggetti in relazione alle realtà divine, poiché desideriamo ardentemente conoscere qualche cosa intorno ad esse, sia cercando di sapere da altri sia mettendoci direttamente alla prova per quanto possibile [Proclo, Teologia Platonica, I, 1, 7-8.].

L’Associazione Igea è impegnata a conservare la regolarità della tradizione pitagorico-platonica e il deposito da essa trasmesso, solo attraverso questo rispetto vi è la possibilità di accedere alla divina sophia e conseguire la epopteia. Ogni allontanamento, degrado o deviazione, dalla regolarità iniziatica saranno dannosi e annulleranno ogni possibilità di riuscita nella via.

Perciò l’Associazione denuncia quanti operano plagiando o deformando la tradizione, sia nelle sue dottrine, sia nelle sue pratiche, sia nel suo ordine strutturale e nel suo iter mistagogico. Nessun soggetto umano, mancante di un’autorità sapienziale adeguata, può porre mano alla tradizione alterandola, adattandola o aggiustandola secondo una quale si voglia profana visione o individualistica direzione.

L’Associazione ritiene inaccettabile l’interpretazione profana dei dialoghi platonici da parte degli studiosi moderni, così come la critica profana dei Maestri del periodo tardo antico, erroneamente definiti “neoplatonici”, reputati non in accordo con l’originario insegnamento platonico. Se vi è qualcuno che si discosta da Platone sono proprio gli “eruditi”, i “professori” moderni , essi non hanno avuto accesso, per esperienza, alla “rivelazione platonica, perciò non hanno compreso la sua essenza. E’ necessario perciò evitare che la filosofia tradizionale sia contaminata da ogni modernismo, dal libero esame razionalistico o sia alterata da riadattamenti di carattere improprio. Da tutti questi indirizzi l’Associazione prende distanza e denuncia gli enti e i soggetti che in questi modi si comportano, rettificando errori e riorientando quanti veramente intendono dedicarsi alla Divina Filosofia, nella sua regolarità e completezza, a partire dal compimento di una rigorosa prassi convertiva per seguire con una successiva pratica purificatoria dalla vita sensibile, due elementi della disciplina iniziale, senza i quali, secondo la regola consegnata dai Maestri, non si può in alcun modo dare avvio all’attività teoretica, la sola che si addice al filosofo.

Perciò solo il rispetto della tradizione divina è valido, le innovazioni, la mescolanza con la profanità e il modernismo devono essere sempre criticati e rettificati, un’azione di tutela della regola originale della Filosofia è un’azione che l’Associazione condivide con i fedeli delle principali tradizioni spirituali dell’umanità.