La Tradizione filosofica pitagorico-platonica fino al Rinascimento

Fin dalla costituzione della teofania apollinea in Pitagora, incarnazione dell’Intelletto Divino e della Sapienza inerente, si definì la dottrina dell’originaria presenza integrale della Sapienza Divina nel principio dell’umanità, e della sua trasmissione in una catena aurea ininterrotta, nella quale dovevano essere inclusi i re divini e i fondatori delle religioni e  delle civiltà. La sapienza originaria si è trasmessa nel ciclo temporale in modo sempre più difficile ed elitario, diverse sono state le limitazioni e le perdite dell’integralità, in diverse linee dell’umanità. Ogni qualvolta si è resa necessaria una restaurazione delle condizioni originarie, una riattualizzazione viva della Sapienza Divina Integrale, per il bene degli uomini, la Divinità, secondo un ordine preciso, ha costituito successive discese provvidenziali, in funzione della rettificazione della decadenza e della deviazione, per la ricostituzione delle condizioni originarie di perfezione, in accordo alle condizioni relative ad una fase temporale specifica dell’umanità.

Empedocle, discepolo divino di Pitagora, disse che la via aperta da Apollo-Pitagora era fondata sulla riattualizzazione della conoscenza metafisica totale, pienamente presente nel principio dell’età aurea dell’umanità, una conoscenza che il Maestro restaurò in accordo alle nuove condizioni dell’umanità.

Platone, come abbiamo visto, svolse una funzione analoga. Secondo i maestri della linea pitagorico-platonica, egli dedicò la sua opera alla rettificazione della decadenza dell’umanità, in particolare agì per la restaurazione della civiltà religiosa tradizionale ellenica, a partire dalla riforma della religione e della politica, definendo la formazione di un’aristocrazia spirituale perfetta, la quale avrebbe dovuto reggere una nuova città apollinea, nella quale il Bene e la Giustizia avrebbero regnato in modo ideale; questo disegno fu esposto nella Repubblica. Ma in rapporto alle specifiche condizioni che gli uomini presentavano al tempo del suo magistero, Platone elaborò un secondo disegno, che espose nel trattato delle Leggi, per dare luogo a una polis che fosse il più possibile in accordo con quella ideale, e dunque con il nomos di Zevs, ma allo stesso tempo, fosse concretamente realizzabile nella situazione ormai presente nella terra ellenica. Le Leggi costituiscono l’esito del magistero platonico in senso politico e rappresentano un’eredità specifica a cui riferire ogni intervento nella società esteriore decadente degli uomini.

Nel periodo ellenistico si definì ulteriormente la dottrina unitaria della Sapienza Divina trascendente, e della sua attuazione formale distinta nelle diverse religioni. Questo orientamento confluì anche nell’élite romana ed in quella egizia, per quest’ultima la “rivelazione” originaria era da attribuire al Dio Toth, equivalente al Dio Hermes o Mercvrivs.

Nell’alveo dei sodalizi sapienziali, dopo l’istituzione dell’Impero Divino Universale, augusto e romano, si precisò il senso dell’universalità della conoscenza trasmessa da Pitagora.

Il neopitagorico Moderato di Gades disse che tutta la rivelazione della Sapienza Divina andava fatta risalire a Pitagora, mentre Platone, ed anche Aristotele, ne avevano “solo” continuato l’opera. Moderato fu seguito da Nicomaco di Gerasa, per il quale Pitagora fu la fonte originale della Sophia Eterna. Numenio di Apamea andò ancora oltre. Secondo le sue parole, tra Pitagora e Platone vi è perfetta unità, la loro conoscenza è totale e universale, e coincide con la Sapienza Eterna, che si è resa immanente al principio di tutte le religioni e di tutti i popoli. Inoltre, la Sapienza di Pitagora va considerata equivalente alla sapienza dei Bramani, dei Magi, degli Egiziani, dei Giudei. Infine, Pitagora è da considerare come Apollo vivente, comparso per riformulare la Sapienza Universale in un modo idoneo all’umanità finale.

Giamblico, e poi specialmente Proclo, portarono a completa formulazione la dottrina pitagorica dell’unità originaria della Sapienza ed affermarono che vi è un unico Intelletto-Spirito Eterno da cui provengono tutti i sapienti divini dell’umanità, che hanno dato origine alle diverse civiltà e ai loro cicli. Proclo tracciò una precisa catena divina della Prisca Theologia, della conoscenza divina originaria, la successione è avvenuta da Hermes Trismegistos a Orfeo, da Orfeo a Pitagora, da Pitagora a Platone. Proprio in quest’ultimo, Proclo disse, la formulazione della Sapienza Universale Integrale è stata completata, dopo questo compimento si sono avuti solo sviluppi particolari e adattamenti parziali.

Dopo Platone e fino a Filone di Larissa, la Scuola di Atene conobbe uno sviluppo particolare fino a patire un grave danneggiamento durante l’assedio di Silla dell’86 a.C., tanto che la linea evidente degli scolarchi si occultò per un certo periodo, specialmente dopo Aristo (60 a.C.). Ma, con Antioco di Ascalona, l’Accademia, dopo la sua fase “scettica”, diede avvio ad una restaurazione dell’originaria e regolare tradizione platonica, operando una sintesi concordante tutte le prospettive filosofiche che si erano sviluppate successivamente al magistero di Platone, a partire da Aristotele, durante tutto il periodo ellenistico, differenziandosi in diverse scuole, spesso in conflitto fra di loro.

Alla fine del secolo I a.C., in concomitanza con la costituzione dell’Impero Divino Romano e della restaurazione da parte di Augusto del Regno Aureo originario, Eudoro, nella città di Alessandria, diede avvio ad una restituzione integrale della metafisica platonica. Questa opera, attraverso successivi apporti di importanti esponenti della tradizione pitagorico-platonica, favorì la grande sintesi plotiniana, una sintesi capace di integrare le concezioni morali e cosmologiche degli stoici con le concezioni cosmologiche e ontologiche dei peripatetici, nella “prospettiva” metafisica integrale platonica, avente un carattere henologico assoluto. E’ bene precisare che l’opera di Plotino, così come quella dei Maestri successivi, che da essa è derivata, non può essere considerata “neoplatonismo”, perché sia il Maestro della Scuola di Roma, Plotino, che gli ultimi scolarchi visibili di Atene, continuarono ad identificarsi semplicemente come platonici. Plotino, in special modo, diede un taglio di tipo strettamente realizzativo alla sua esegesi delle scritture platoniche ispirate, perciò tutta la sua esposizione fu finalizzata alla prassi filosofica operativa, capace di svelare l’henosis, l’Identità Suprema.

Il periodo antico della tradizione pitagorico-platonica si conclude con la chiusura della Scuola di Atene nel 529, compiuta dall’Imperatore Giustiniano. Dopo quella data i maestri della Scuola, a partire da Damascio continuarono a svolgere la loro opera, fino al principio del VII secolo. Con il 641, anno della morte dell’Imperatore Eraclio, il ciclo ellenico entrò in una nuova fase, gli ultimi maestri visibili della scuola platonica di Atene, che avevano vagato in diversi luoghi dopo la chiusura dell’istituto, occultarono la loro azione per continuare la tradizione. Allo stesso modo si concluse la fase patristica della chiesa cristiana orientale. Con questi eventi si entrò nel Medioevo greco, con l’inizio del quale si ebbe anche l’ascesa dell’Islam nel mediterraneo, un’ascesa che portò il cambiamento definitivo degli equilibri politici e religiosi dell’area geografica specifica e delle civiltà ivi stanziate.

Dopo due secoli di decadimento intellettuale e civile, con il periodo della dominazione della dinastia macedone, fra l’867 e il 1025, ebbe luogo una prima rinascita della tradizione ellena classica. A fare principio da Fozio (810-893), che recuperò la filologia greca classica, una serie di intellettuali si applicò alla restaurazione della cultura antica fino al magistero di Psello (1018-1079). Psello portò avanti il recupero di Platone e di Aristotele, ma fu accusato dalla chiesa ortodossa di infedeltà, perciò fu minacciato di scomunica, una scomunica che egli evitò, ma non il suo allievo Giovanni Italo, che la ricevette nel 1082, per essere andato ancora oltre. Per tutto il Medioevo vi è testimonianza di una continuità nella pratica dei culti ellenici antichi [Sathas C. N. Documents inédits, relatifs à l’histoire de la Grèce au mojen age. Paris 1888], e della conservazione di linee di trasmissione della filosofia platonica [Klibansky, R., The continuity of the platonic tradition during the middle ages, Londra 1939]. Attraverso queste persistenze la tradizione divina giunse fino a Giorgio Gemisto Pletone.

Psello fu una figura fondamentale per la trasmissione e per la ricezione medioevale, in contesto cristiano, della sapienza ellenica, ma per la ricezione completamente purificata da pregiudizi ermeneutici, in funzione di un autentico Rinascimento ellenico, fu necessario attendere l’opera autorevole di Pletone. Psello fu accusato di volere rovesciare la chiesa con il suo richiamo eccessivo a Platone, la cui filosofia, seppur valida, andava mantenuta entro i confini della fede. Psello ebbe riguardo, si portò al limite, sconfinando solo eccezionalmente, Pletone invece procedette senza particolare riguardo per la fede ortodossa. Al momento in cui occorreva scegliere fra la fede cristiana e la filosofia greca e la religione ellenica, molti entrarono in conflitto, così accadde anche a diversi umanisti in Italia e in Europa, con diversi esiti. Un conflitto di tale natura è ben presente in Petrarca, ma non in Pletone, che scelse di porsi nettamente al di sopra della fede cristiana, che egli riteneva adatta ad un uomo inferiore, al popolo semplice. Questa posizione non fu presa da Giovanni Italo, che rimase incerto al guado, così non fu accettato dagli elleni e fu rifiutato anche dai cristiani. Il tentativo di conciliare le due linee religiose, rimanendo sul piano dell’exoterismo della fede, non gli riuscì.

Queste tendenze conflittuali si svilupparono per tutto il periodo dei Comneni (1081-1204), nel quale comunque si definì propriamente il nuovo classicismo greco. Ma, per vedere emergere progressivamente una propensione non conflittuale per la tradizione ellenica, si dovette attendere l’epoca dei Paleologi (1261-1453), periodo entro il quale Pletone svolse il suo magistero.

Da Planude, attraverso Moscopulo, Tommaso Magistro e Demetrio Triclinio, che si applicarono al recupero dell’eredità antica per un vero Rinascimento greco, si giunse a Giorgio Gemisto Pletone (1355-1452), nel quale tutte le linee di restaurazione e di rinnovamento ebbero il loro compimento. In Pletone il ripristino della religione antica, compiuto attraverso il recupero integrale del platonismo, ebbe piena attuazione, in funzione della salvezza della Grecia, per evitare la perdita del suo patrimonio spirituale, culturale, e per ridarle lo splendore delle origini.

Per il Maestro di Mistrà, il platonismo rappresenta la Sapienza Eterna nella sua purezza, in accordo con la misura delle nozioni divine comuni a tutta l’umanità. Platone è il Divino Maestro della religione del Bene, è l’autentico rappresentante dello spirito ellenico, perciò occorre recuperare la filosofia platonica nella sua completezza, nel suo rigore, nella sua intransigenza.