
La formazione dialettica
Perciò anche coloro i quali sono giunti ad una forma di conoscenza inferiore della realtà e del Principio, una conoscenza che trascende i sensi, tuttavia essi non contemplano la Realtà e il Principio direttamente, attraverso il puro intelletto, il nous, ma li vedono solo a partire dalle ipotesi, diremmo dalle loro ipostasi, perciò non hanno piena conoscenza degli oggetti reali, che sono perfettamente metafisici. Coloro che hanno un’imperfetta conoscenza si sono soffermati su determinati oggetti che riflettono le Idee e i principi, questi oggetti hanno un carattere intelligibile, perché hanno una connessione con i veri principi, ma rispetto ad essi risultano essere solo delle immagini. Questa conoscenza elevata, ma sempre limitata, è propria dei matematici o dei geometri tradizionali, essi hanno in atto la dianoia e non il nous, e la dianoia è una facoltà che opera in un dominio intermedio fra quello sensibile e quello puramente intelligibile, perciò la loro scienza poggia nel sensibile, ma, allo stesso tempo è una scienza riflessa dell’intelligibile puro.
Il dominio della realtà, delle cose in se stesse, si può cogliere solo con l’intelletto, con il nous, perciò la conoscenza intellettiva è quella più elevata, subito sotto di essa si colloca la conoscenza dianoetica, che ha un carattere razionale e discorsivo, una conoscenza separata dal sensibile nella misura in cui questa deve essere separata, sotto di essa si trova il dominio della credenza o fede, della pistis-fides, e al di sotto ancora si trova la congettura, la eikasia, l’esperienza sensibile delle forme immerse nella materia, le eikones, senza che vi sia di esse alcuna conoscenza attiva. Vi è da dire che gli oggetti appartenenti ai diversi gradi dell’esistenza universale hanno ciascuno un grado di partecipazione relativa all’Essere e alla Verità, quanto più la loro esistenza è relativa, tanto più partecipano della materia e perdono misura e consistenza nell’essere. Al contrario, quanto più gli enti sono separati dalla materia tanto più hanno parte all’Essere e alla Verità, allo stesso modo le conoscenze che attengono a questi oggetti partecipano dell’evidenza e del vero in misura crescente, man mano che si approssimano a ciò che è totalmente separato da ogni materialità, l’oggetto assolutamente invariabile e sussistente in se stesso, totalmente indipendente da qualsiasi alterità. Tutti i gradi della conoscenza hanno perciò una minore o maggiore relazione con la realtà, fino al punto in cui la perfetta conoscenza coincide con la Realtà, con l’Essere Assoluto.
L’anima ascende ai diversi gradi della conoscenza a seconda del livello dell’essere che riesce a raggiungere. Gli enti sono sempre più conoscibili nella misura in cui partecipano dell’essere, fino all’Essere Integrale stesso, che dà realtà a tutti gli enti, la cui conoscenza ha un carattere perfetto e supremo. Ciò che partecipa del non essere è conoscibile in modo incerto, quanto più l’ente partecipa del non essere, tanto più si rende inconoscibile, fino al non essere relativo stesso, che è “assolutamente inconoscibile”. Il non essere è totalmente inintelligibile e perciò è correlato all’ignoranza integrale, mentre l’Essere Intelligibile è compreso dalla perfezione della conoscenza intelligibile, invece ciò che partecipa dell’Essere e del non essere, il sensibile, è mescolanza di intelligibilità e inintelligibilità, scienza e ignoranza in diverso grado, a seconda che lo si osservi dal lato della forma o dal lato della materia. Il domino del sensibile partecipa della scienza se è assunto a partire dall’Essere Intelligibile, mentre partecipa dell’ignoranza quando è assunto a partire dalla materia inintelligibile. La doxa è il grado della conoscenza che attiene al dominio del sensibile, in tal caso avremo una doxa alethes, un’opinione vera, quando essa fonda sull’Essere Intelligibile e partecipa della episteme, mentre avremo una doxa pseudes, falsa, ingannevole, una kenodoxa, vuota, quando fonda sulla materia inintelligibile.
L’episteme, che è la conoscenza che attiene al dominio intelligibile, si divide a sua volta in due parti, la conoscenza mediana, discorsiva, la dianoia, e la pura conoscenza intellettiva, la noesis. A questi due gradi dell’episteme si sovraordina la conoscenza ipernoetica infinita e indeterminata, che coincide con l’Essere Supremo. La dianoia consente di astrarre la conoscenza dal sensibile, ma non si colloca nella pura dimensione iperurania dell’intelligibile, infatti si dispiega nell’orizzonte mediano fra il cosmo e il sovracosmo, e raggiunge le scienze intelligibili seconde, come la geometria e l’astronomia. La noesis invece attua la pura dialettica anagogica, che attinge alle Idee nel loro essere trascendente. La dianoia ha relazione con la rappresentazione formale e simbolica, distaccata dalla sensibilità, mentre la noesis è pura intuizione sintetica delle Idee, che si colloca al di là di ogni rappresentazione formale, perciò può giungere a conoscere il Principio di tutte le Idee, ovvero l’Idea del Bene. Dalla comprensione di questa Idea deriva la comprensione di tutti i nessi fondativi e partecipativi delle essenze e di tutte le cose che partecipano delle essenze. Attraverso la disciplina dialettica il filosofo trascende completamente la sensazione, ma anche la discorsività, per raggiungere l’intellezione intuitiva. Poi, di intellezione in intellezione, e dunque di intuizione in intuizione, di Idea in idea, si porta fino al Principio di ogni Idea.
«Dicci, dunque, di che tipo sia la forza di questa dialettica, e in quali generi si divide e quali siano le sue vie. Queste vie, se non erro, dovrebbero essere quelle che conducono là dove chi giunge troverà riposo del cammino e fine del viaggio».
«Caro Glaucone – dissi–, oltre questo punto non sarai più in grado di seguirmi, nonostante io ci metta tutto il mio impegno. Qui non vedresti più l’immagine di quel che trattiamo, ma il suo vero essere, o per lo meno quello che a me sembra tale. Che poi lo sia veramente o no, non è questo problema su cui valga la pena di insistere ma che si debba assurgere ad un tale livello di comprensione, questo va ribadito. O non sei dell’avviso?».
«Come no?».
«E non ti pare che solo la pratica della dialettica potrebbe aprire ad una tale comprensione chi è già esperto nelle discipline sopra indicate, mentre nessun’altra scienza lo potrebbe?».
«Anche di ciò – ammise– si può essere certi».
«Ed ecco allora – continuai– un ulteriore punto che nessuno potrebbe contestarci: non esiste altro procedimento che possa pretendere di cogliere sistematicamente e universalmente l’essenza di ciascun essere individuale. Tutte le altre arti, in effetti, o sono rivolte alle opinioni degli uomini o ai loro desideri, oppure agli esseri che si generano o a quelli che si costruiscono, ovvero per custodire tutte le realtà che si producono in natura o ad opera dell’uomo. Le restanti discipline, quelle che dicevamo cogliere in qualche misura l’essere, come la geometria, e le scienze derivate, le vediamo muoversi in un certo senso come sonnambuli nei confronti dell’essere, di modo che per esse è impossibile vederlo così com’è, in uno stato di veglia, finché almeno si servono di assiomi che lasciano indimostrati, solo perché non sanno darne ragione.
«Effettivamente, a chi assume come punto di partenza un principio sconosciuto, capita che anche il corpo del discorso e le sue conclusioni siano sempre intimamente intrecciate con questa ignoranza; sicché come sarebbe possibile che da una tale artificiosa convenzione scaturisca una scienza?».
«Non c’è alcuna possibilità», ribadì.
“Pertanto – continuai –, solo il metodo dialettico procede per questa via, togliendo le ipotesi fino a raggiungere il principio in quanto tale per conferire solidità, e solleva e porta in alto l’occhio dell’anima invischiato in un pantano barbaro, facendo uso delle arti che abbiamo descritto come ausiliarie per aiutare nella conversione. Queste arti, più che altro per abitudine, le abbiamo spesso chiamate scienze, ma avrebbero bisogno di un’altra denominazione, <che attribuisse loro una forza> chiarificatrice, superiore rispetto all’opinione e inferiore rispetto alla scienza: in tal senso sopra le abbiamo definite con il nome di dianoia, ossia conoscenza mediana. Tuttavia, a mio giudizio, persone che si sono proposte un’investigazione di tale portata, come quella che ci aspetta, hanno ben altri problemi che non quello della scelta del nome”.
“No di certo”, ammise.
“Ma in qualche modo è già motivo di soddisfazione una semplice indicazione, purché chiara, dello stato d’animo”.
“Sì” [1].
Dunque la dialettica porta in atto l’occhio dell’anima, mentre le scienze mediane aiutano l’anima a separarsi dal barbaro pantano della sensazione. Le scienze mediane trascendono il dominio della doxa, che porta sul divenire, ma non sono veramente scienze essenziali, perciò sono di dominio della dianoesis-dianoia, un’intellezione discorsiva che procede diversamente dall’intellezione non discorsiva, la sola che può, a pieno titolo, produrre l’episteme, la vera scienza.
In sintesi i gradi della conoscenza sono due, l’opinativa e l’intellettiva, ciascuno dei quali può essere diviso in due livelli:
“Come già dall’inizio avevamo concordato, il sapere di primo grado lo chiameremo scienza, quello di secondo dianoia – cioè conoscenza mediana –, quello di terzo credenza e quello di quarto congettura: di queste, le ultime due forme le chiameremo opinione [doxa] e le prime due intellezione [noesis]. Inoltre, siamo anche d’accordo sul fatto che l’opinione ha per oggetto il mondo del divenire, e l’intellezione il mondo dell’essere, talché, come questi due mondi stanno fra di loro, così l’intellezione sta all’opinione; e come l’intellezione sta all’opinione così la scienza sta alla credenza e la conoscenza mediana alla congettura. Per quanto, poi, concerne il rapporto di analogia coi loro soggetti e la divisione delle due sezioni dell’opinabile e dell’intellegibile, lasciamo pure perdere, Glaucone, al fine di non accollarci il carico di ragionamenti molte volte più gravosi di quelli già fatti”.
“Quanto a me – disse –, per quanto sono in grado di seguirti, mi dichiaro d’accordo con te”[2].
Al dominio della conoscenza intellettiva sono assegnate le scienze mediane, ma anche la dialettica, la quale, posseduta dal vero dialettico, è la sola che può portare alla fine del viaggio dell’anima, al suo riposo divino nella comprensione-sophia dell’Idea del Bene:
“E anche non definisci tu dialettico chi sa rendere ragione dell’essenza di ciascuna realtà? E chi non ne è capace, in quanto non ne sa dar conto né a sé né agli altri, per tale ragione non diresti che di questo non ha intelligenza?”.
“E come – rispose – lo potrei dire?”.
“E allora così sarà anche per il Bene. Chi non è capace di definire razionalmente l’Idea del Bene, astraendola da ogni altra e come in battaglia non passa indenne attraverso tutte le prove, con l’intenzione di verificarla non secondo l’opinione, ma per quello che è veramente – e per fare ciò egli dovrà esaminarla punto per punto con argomenti inoppugnabili –, date le sue condizioni, non lo chiameresti ignorante del Bene in sé e di ogni cosa buona? E se anche per caso costui dovesse apprendere una qualche immagine del Bene, non è forse vero che gliela imputeresti all’opinione piuttosto che alla scienza, dacché egli sogna in questa vita e prima che qui si svegli finirà con l’addormentarsi di nuovo, e questa volta definitivamente, perché è già in viaggio per l’Ade?”
Per Zeus! – esclamò – dirò davvero tutto questo[3].
Dunque solo l’ascesa che discrimina intuitivamente tra ciò che è reale e ciò che non lo è porta il dialettico ad apprendere l’essere delle cose, fino a raggiungere l’Essere del loro essere. L’apprendimento dell’Essere, che fonda l’identità di ogni ente, costituisce la perfezione della conoscenza noetica, cioè della noesis, il cui culmine è costituito dalla noesis noeseos, l’intellezione autointelligente dell’Essere Intelligibile, nel quale l’intelletto determinato si estingue, conoscendosi come lo stesso essere conosciuto. L’oggetto finale di tutte le intellezioni determinate è costituito dal Primo Ente, quando l’intelletto si ripiega totalmente su di Esso risolve la ragione di essere distinto dal Soggetto che lo ha costituito, perciò si identifica con Esso nell’Unità Divina autocontemplante.
[1] Ibidem, VII, 532d-533e.
[2] Ibidem, VII, 533e-534b.
[3] Ibidem, VII, 534b.
(tratto da Viola, L.M.A., Psyches Therapeia, vol. II)
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