Dunque, secondo Socrate, solo la dialettica è vera scienza, perché trascende i presupposti limitati e inconsistenti di tutti gli altri tipi di pseudosapere e indirizza adeguatamente l’occhio dell’anima, il nous, che comunemente si trova sepolto nella palude fangosa e barbarica della natura titanica, umida e corruttibile, attraverso le arti propedeutiche, fino al limite della separazione dell’anima dall’intero mondo sensibile, giunta al quale essa deve compiere il salto al di là dell’apparenza per attingere a ciò che è veramente reale.

Occorre intendere adeguatamente ciò che ripetutamente viene indicato con il nome di dianoia o conoscenza mediana, perché la vera dianoia può essere attinta effettivamente, nella sua completezza, solo attraverso una disciplina che richiede a priori un’astrazione dai sensi, una separazione dalle rappresentazioni sensibili, sia che provengano dall’esterno, sia che provengano dall’interno dell’anima. Una precisa disciplina di attenzione, concentrazione e diciamo pure di meditazione, prepara il soggetto alla visione di oggetti astratti dalla materia, ma non completamente irrelati rispetto ad essa, oggetti che si collocano in una dimensione intermedia fra le pure Idee intelligibili, ineffabili e informali, e gli oggetti corporei, nei quali queste Idee sono rese immanenti come icone, attraverso la mediazione delle forme intelligibili seconde, coglibili con la pura dianoia. Giustamente Socrate ridefinisce in sintesi i diversi gradi della conoscenza ed indica chiaramente lo stato dell’anima relativo ad ogni disposizione conoscitiva. Il vero sapere, quello di primo grado, deve essere definito scienza, episteme, mentre il secondo va definito solo dianoia, conoscenza mediana, la quale non costituisce la vera scienza, al di sotto di essa si può parlare esclusivamente di opinione, doxa. Le prime due forme di conoscenza riguardano la dimensione dell’essere, quelle inferiori il divenire, la parte superiore della disciplina della conoscenza attiene all’intellezione, la prima di tipo immediato, la seconda di tipo mediato, va detto poi che l’intellezione sta all’essere come l’opinione sta al divenire ed inoltre la vera scienza presenta un’analogia con la pistis, perché entrambe trattano degli oggetti in sé, intelligibili e sensibili, mentre la conoscenza dianoetica e la congettura, la eikasia, sono analoghe, perché entrambe si relazionano ad immagini, intelligibili e sensibili.

Per completare il discorso Socrate individua chiaramente la natura del dialettico e quale sia la sua capacità e perciò anche il risultato della disciplina dialettica[7]. Il vero dialettico sa rendere ragione dell’Essere e dell’Idea del Bene, quindi sa dimostrare per scienza reale l’essenza di ciascuna realtà, chi non è in grado di fare tutto questo non ha un’effettiva esperienza delle cose reali, perciò non è dialettico e dunque ignora il Bene e ogni cosa buona. Il dialettico deve dimostrare che ha un’intelligenza radicata in modo stabile e immodificabile nell’Essere, che è il vero oggetto finale di ogni scienza, egli perciò può rendere ragione, per il possesso della vera scienza, dell’Essere in Sé e del suo essere in rapporto alle cose come Bene. Chi non è capace di definire l’Idea del Bene, astratta compiutamente da ogni altra Idea, non sa passare indenne attraverso le diverse prove confutatorie, perciò non può essere definito come un autentico dialettico realizzato. Fino a quando l’anima non è stabilmente operante con intellezione non può disporre della conoscenza inerrante del Bene, prima della visione intellettiva diretta del Bene essa conserva, in qualche modo, qualche grado di ignoranza del Bene e di ogni cosa buona, anche se è ormai prossima ad eliminare ogni traccia dell’ignoranza. Tutti coloro i quali apprendono per partecipazione accidentale o metodica una qualche immagine del Bene, ma non riescono a rendere ragione di ciò che hanno appreso, sono imputabili di sostenere discorsi basandosi solo sull’opinione invece che sulla scienza. Essi sono come uomini immersi ancora nel sonno psichico, perciò sono soggetti al sogno e, se non escono da questo stato, attraverso la disciplina dialettica, rimarranno sempre addormentati e non potranno svegliarsi, rischiando di giungere all’Ade in questo stato.

Occorre tenere ben presente che la dialettica è l’unica disciplina che permette realmente all’anima di giungere alla sapienza, e che solo grazie a questa sapienza è possibile comandare nella città, prendere decisioni giuste e regolare la vita degli uomini secondo la norma universale, quindi, se si vuole essere veri politici, non vi è modo di eludere l’educazione esemplare che conforma l’anima in modo perfetto all’Essere. Applicando rigorosamente il metodo dialettico come metodo autentico che conduce alla scienza metafisica e al conseguimento della certezza inerrante, e dunque anche alla conoscenza della verità assoluta, la paideia, la cultura e la formazione integrale dell’uomo vengono completate, nessun’altra forma di studio può portare a questo risultato, perciò non permette la realizzazione della natura divina integrale dell’uomo.

Chi è giunto al compimento della paideia filosofica presenta una forza nell’interrogazione e nella risposta che è tipico del vero sapiente, perché egli si trova nello stato di veglia perfetto dell’anima, nella vigilia assoluta dell’Essere, dalla quale comprende lo stato proprio dell’immediata presenza a sé dell’Essere Divino, con tutto ciò che questa comporta. Nel buddismo, il perfettamente realizzato è indicato come “il perfettamente svegliato”, tanto che prende il nome di Buddha, perché rappresenta la perfezione della buddhi, dell’intelletto spirituale in atto e, quindi, dello spirito onnicomprensivo dell’Essere, nel quale sono fondate, comprese e risolte tutte le cose. Il supremo stato di veglia spirituale è il risultato finale della disciplina dialettica e rivela la realizzazione dell’Identità Divina Suprema, nella quale l’anima filosofica si risolve trascendendo ogni distinzione, alterità e tensione. Chi ha perfezionato la disciplina dialettica è giunto al vertice supremo dell’ascesa conoscitiva, nella quale l’anima si estingue e, con essa, ogni pena e ogni sofferenza del male, oltre a questo risultato non vi è niente altro da cercare o realizzare, né si può aggiungere altro sapere, perché ogni ulteriorità, oltre la pienezza assoluta dell’Essere, è un’impossibilità.

Dunque la peculiarità, il potere intrinseco della dialettica, è propriamente quello di dischiudere l’accesso alla verità in se stessa, fino alla piena apprensione, catartica, risolutiva e sanante, della stessa. Solo l’ascenso dialettico immette alla pura conoscenza separata dell’Essere e dunque del Bene, indipendente da qualsiasi relazione, alterità e finitezza. Le scienze particolari inferiori rimangono in qualche modo coinvolte con l’attuazione applicativa immanente degli oggetti della loro conoscenza, perciò non insistono mai sulla purezza essenziale dei loro fondamenti, né tanto meno rendono ragione dei principi ultimi sui quali questi stessi fondamenti poggiano. Perciò la scienza astronomica, quella armonica del moto delle sfere universali, quella geometrica che indaga sulla natura delle forme, fino a quella matematica, sulla quale tutto l’impianto della scienza cosmologica fonda, attengono certamente a ciò che è eternamente esistente, ma si attestano solo a ciò che, in questa dimensione, ha il carattere di riflesso, partecipato e mediato, mentre la dialettica si pone direttamente nella realtà eterna autosussistente, quindi fonda sull’eternità stessa, senza mediazione o relazione con le cose esistenti nella dimensione del divenire sensibile. È importante comprendere la differenza che esiste fra l’eidos e il logos, fra ciò che è Idea autosussistente, principio fondante ogni costituzione mediata dell’essere, e ciò che invece è la sua articolazione formale, mediatrice e rappresentativa. Il logos, la ragione formale dell’ente, nella sua dimensione intermedia è coglibile con la dianoia, mentre nella sua immanenza negli oggetti materiali è coglibile con l’aisthetikon, perciò anche la matematica rimane una disciplina intermedia, relata, per il suo aspetto esterno, con le cose sensibili, mentre la dialettica si sviluppa nel dominio puramente noetico ed agisce totalmente distaccata da ogni rapporto con il sensibile e la costituzione formale delle Idee che si rapportano col sensibile.

In seconda istanza, la dialettica trascende il dominio delle scienze fisiche e il dominio delle scienze intermedie, per il metodo che adotta e per lo statuto che l’anima deve possedere per praticarla, inoltre la conoscenza dialettica pura equivale ad una visione intellettiva, essenziale o sovraessenziale, la quale deve essere chiaramente distinta dalla conoscenza logico-dianoetica, si tratta di due atti della conoscenza che avvengono in stati dell’essere diversi, su due piani dell’esistenza universale ben distinti. Il vero sapere, la vera sophia, è dato dalla visione noetica e trascende qualsiasi tipo di scienza dianoetica o di dimostrazione argomentativa di carattere inferiore e discorsivo. Perciò non vi è altro mezzo per attingere alla realtà in se stessa, all’ultimo oggetto dell’autentica conoscenza, se non la disciplina dialettica, col suo metodo, che costituisce il fondamento di tutti i metodi scientifici e il principio di tutte le scienze.

 

[7]  Ibidem, VII, 534b-535a.

 

(tratto da Viola, L.M.A., Psyches Therapeia, vol. II)

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