
La disciplina dialettica non può che essere anagogica, la sua pratica produce l’anagoghè e l’ascesa, anodos, porta l’anima verso ciò che vi è di più alto ed elevato, nel senso di più consistente nell’essere, fino a farle raggiungere il Principio di ogni essere. Attraverso un ascendere che è anche un progressivo trascendere, l’anima si costituisce via via in livelli superiori dell’esistenza fino a che raggiunge la realtà autosussistente. Il procedimento dialettico, come sappiamo, può partire solo quando l’anima ha compiuto una totale conversione e quindi una concentrazione in se stessa che la sottrae da ogni moto centrifugo verso l’esteriorità, l’erranza sensibile e il molteplice. Questa concentrazione stabile può essere ottenuta solo con l’impassibilità che segue alla perfetta separazione dell’anima dal corpo, in condizioni inferiori non è possibile che in modo accidentale, quindi, per mettere in condizione il logos e l’attività dianoetica di elevarsi all’intelligibile, senza perturbazioni o senza coinvolgimento nel sensibile, occorre che l’anima sradichi completamente da sé ogni passione. Vi sono condizioni tecniche oggettive ineludibili che rendono possibile il vero filosofare, che ha il suo vero principio quando si è compiuta la rettificazione morale e dunque la purificazione, quando la catarsi dell’anima rispetto al sensibile è avvenuta interamente, solo a questo punto l’anima, ritornata in se stessa, attinge alla sua immaterialità, al suo essere permanente e all’operazione conoscitiva separata dalla corporeità. Il “ritorno” dell’anima all’Uno, o, se si vuole, il procedimento che costituisce lo stato enstatico dell’anima nel proprio Fondamento, possono avere principio quando l’anima è stata distolta da qualsiasi visione volta verso l’esterno, perciò l’anima deve cessare di occuparsi di tutto ciò che non la riguarda se vuole mettere il piede sulla via che la condurrà all’altezza suprema del Divino Integrale. Noi sappiamo che il principio della conversione equivale al moto di autoconoscenza che viene innescato dal Dio, o da chi per il Dio svolge la funzione protreptica, ironica e convertiva, nell’anima. Attraverso la costituzione del moto rivolto alla conoscenza di sé l’anima accende quell’eros filosofico che la conduce all’autentica conoscenza del suo vero essere.
La disciplina filosofica è una disciplina iniziatica costituita dal Dio Apollo a far principio dalla sua teofania in Pitagora, perciò chi pratica la via filosofica si adegua a ciò che è stato disposto divinamente dal Dio, e, allo stesso modo, adempie al comando del Dio, quindi si distoglie liberamente e serenamente dal divagare esteriore nell’inessenziale e nell’illusorio, per fare ritorno a sé, e poi, attraverso questo ritorno, si ricostituisce nell’essere integrale di Apollon. Ciò comporta che l’anima dapprima conosca la sua essenza determinata, poi il suo fondamento intelligibile universale e infine la propria natura metafisica sovraessenziale. Il primo innesco dell’eros è fondamentale, in esso vi è il primo risveglio dell’ “Apollo in noi”, ovvero dell’Uno in noi, il Fiore di tutto il nostro essere. Attraverso la costituzione in atto dell’Apollo immanente nell’essere individuato dell’anima, essere semplice che trascende tutte le articolazioni delle potenze determinate dell’anima, è possibile costituire stabilmente l’anima nel Dio, creando l’assetto della disciplina unificante che permette di giungere alla henosis suprema, allo svelamento dell’identità sempre presente dell’Uno dell’anima con l’Uno stesso. Essendo presente in noi, fin dal principio, la verità dell’essere e della nostra essenza, perché “noi” siamo l’essere presente nell’immanenza dell’uomo, l’innesco dell’autoconoscenza costituisce l’inizio più sicuro di ogni pensiero filosofico terapeutico. Fin dal principio si tratta di astrarre attraverso l’aphairesis, la ablatio, l’unità suprema da qualsivoglia molteplicità, procedendo per via di conversione, purificazione, assimilazione e semplificazione, fino al raccoglimento dell’anima nella sua essenza intelligibile. Così dapprima si realizza l’illuminazione divina, successivamente si produce l’unificazione con l’Essere Intelligibile, nel quale l’anima riconosce la sua essenza universale e costituisce la sua unità divina originale. Da questo stato l’anima può trascendere anche la sua determinazione essenziale per attuare la perfezione della henosis.
Attraverso l’autoindagine l’anima procede a fare emergere l’essenza del suo essere, dapprima si astrae dal corpo, poi procede, attraverso la disciplina dianoetica, ad astrarsi anche dal tempo e dal mondo, detemporalizzando così le sue attività e semplificandole nel loro essere pretemporale. Questa astrazione di carattere ascensivo e anagogico concretizza la “fuga dal mondo” dell’anima, per il solo amore di costituire il suo essere proprio nell’Unità Divina Suprema. Nulla può però essere ottenuto se l’anima non riesce ad astrarsi dapprima dal corpo, cominciando con l’astrarsi dalle faccende corporee e sensibili, dalle occupazioni esteriori e dalla mescolanza con la folla umana del volgo, che rappresenta esteriormente la folla dei molti appetiti presenti nell’orektikon, nella facoltà desiderativa dell’anima. I molti appetiti smembrano l’anima in molteplici attività inessenziali, così agiscono tutti i desideri che attengono alla dimensione corporea, i quali debbono essere completamente risolti prima di praticare la concentrazione interiore, allo stesso modo deve essere risolta anche la molteplicità delle sensazioni ingannevoli, delle immaginazioni e delle rappresentazioni che poggiano sul sensibile. Senza questa purificazione preliminare l’anima non potrà astrarre nemmeno l’opinione vera, perché tutte le opinioni saranno sempre fondate sulla natura titanica, sulle condizioni del corpo, sulle esperienze sensibili e sulle interazioni con gli oggetti dei sensi, ma nessuna di queste opinioni permette di cogliere la verità, tanto meno l’essere vero eterno e autosussistente.
Tutto ciò che estranea dall’intellezione spirituale e dalla divina unificazione deve essere superato, il distacco dagli elementi che attengono all’identità titanica, mortale e temporale, deve essere completo, altrimenti nessuna vera disciplina dialettica realizzativa può essere adeguatamente avviata. Dalla condizione tellurica, dalla soggezione letea all’illusione della nascita e della morte, l’anima deve levarsi, affinché una volta vinta la resistenza dei demoni titanici essa possa compiere l’ascesa astraente del pensiero puro e dare compimento alla sua liberazione dal ciclo della generazione e della corruzione. Per prepararsi a cogliere l’essere senza tempo attraverso la statuizione nella presenza immanente dell’essere, l’anima deve porre in atto il suo nous, perché è solo mediante esso che può attingere all’assoluta semplicità dell’Uno. Quando l’anima diventa intima con se stessa, perché si è liberata dall’esteriorità e da qualsiasi appoggio, è pronta a liberarsi compiutamente anche del mondo, così può costituirsi nuovamente nella dimensione iperurania della vita eterna.
(tratto da L.M.A. Viola, Psyches Therapeia, vol. II)
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