Discepolo – Il Dio Apollo ci invita all’autoconoscenza e, secondo la tradizione, questo conoscerci nella nostra natura reale comporta la liberazione da ogni male. È possibile essere avviati correttamente a questa disciplina?

Maestro – Il Dio ha invitato a conoscere se stessi in un modo assoluto. Quando Alcibiade domanda a Socrate qual è il modo attraverso cui possiamo conoscerci, egli invita a conoscere l’anima attraverso l’anima, la quale, essendo sostanza immateriale, può riflettere su se stessa e penetrare nel suo essere, in particolare modo in ciò in cui sorge “la virtù dell’anima”, ovvero la sapientia-sophia, e quindi nell’intellectvs-novs, che costituisce l’immanenza dell’Intelletto Divino Ipostatico nell’uomo e l’elemento attraverso cui l’Uno-Apollo si media nell’individuazione umana. Secondo la tradizione, l’intelletto è “simile al Dio” e chi contempla se stesso mediante l’intelletto “conosce tutto ciò che è Divino, Dio, e l’intelletto stesso, e dunque giunge a conoscere anche se stesso nel modo migliore possibile” (Platone, Alcibiade Maggiore, 133c)

D. – Sarà dunque necessario ripiegare la facoltà conoscitiva su se stessa, sul suo fondamento, per indagare sostanzialmente chi sia l’essere che intellige, e se questo essere coincida con il Divino stesso o se ne costituisca solo una sua determinazione?

M. – Se la conoscenza di sé non portasse sull’essere in qualche grado e, in particolare, sull’Essere Supremo, non sarebbe liberatoria dal male, ma si attesterebbe ad un grado relativo di soggezione al male, di altro genere rispetto a quello a cui sottostà colui che non si conosce. Perciò se vogliamo perseguire la liberazione integrale dal male, l’autoconoscenza deve portare, in ultima istanza, alla costituzione di colui che si autoconosce nell’Identità Suprema dell’Essere Puro, che trascende ogni sovrapposizione, quindi ogni alterità-malia, con tutto ciò che ad essa si associa.

D. – Ma come sarà possibile per chi non si conosce procedere a conoscere se stesso mediante un’azione conoscitiva, senza realmente sapere chi o che cosa dovrà conoscere?

M. – Per questo motivo è necessario rispettare la tradizione magistrale e ricevere da un Maestro un insegnamento su ciò che ha conosciuto di se stesso e su come si è costituito stabilmente nell’Identità Suprema, lasciando che le associazioni e le assimilazioni illusorie con altro da sé svanissero. Solo chi ha svolto effettivamente la prassi che svela l’Identità Suprema può guidare il soggetto nell’autoconoscenza, in modo tale che egli non si smarrisca in false conoscenze. Colui che è immerso nell’ignoranza di sé, ha bisogno di un vero maestro per passare dall’illusione alla realtà, dal male alla liberazione dal male, e dunque per costituire la salute perfetta.

D. – Chiedo dunque a Voi la dottrina che può avviarmi correttamente alla conoscenza della mia reale identità, al fine di perseguire la liberazione perfetta dal male.

M. – Innanzitutto devi tenere presente che ripiegando la conoscenza sul soggetto della conoscenza, per indagarne la natura, si perde progressivamente l’assimilazione a ciò che non costituisce la vera identità del conoscente. La conoscenza di sé non è propriamente una conoscenza del soggetto che si assimila al corpo, non è nemmeno di colui che si assimila all’anima e ai suoi processi psichici riflessivi, ma, nella sua prima realizzazione, è una conoscenza immediata del conoscente determinato in quanto essere determinato privo della estroversione nelle attività delle facoltà dell’anima. Questa autoconoscenza determinata sarà poi approfondita nella conoscenza della propria natura in quanto Soggetto Universale, Dio o Sé, la quale sarà infine trascesa dalla soluzione di ogni conoscenza determinata dell’io o del Sé, che svelerà l’Identità Divina Suprema, e perciò Apollo nella sua natura perfettamente non duale. A quel punto la soluzione di ogni alterità e di ogni determinazione costituisce l’integrale liberazione da ogni distintività illusoria, con il male ad essa connesso. L’identità trascendente che viene svelata non può essere confusa con l’io carnale o con l’io psichico, né, in fin dei conti, con l’io intellettivo spirituale, ma neanche con il Sé Universale, elementi costitutivi determinati che si sovrappongono a ciò che è l’Essere Supremo privo di determinazioni e qualificazioni alteranti. L’Identità Suprema non deve essere cercata come “qualcosa”, né come un’esperienza di “qualcuno”, non ci può essere un’esperienza individuale neanche del Sé Universale, né alcuna fruizione determinata dell’Indeterminato, questi stati esperienziali attengono ancora ai limiti dell’individualità e perciò dell’alterità soggetta a malia-illusione. Alcuni soggetti reputati “maestri”, specialmente “maestri” orientali, danno indicazioni confuse in questo senso. Fai attenzione a chi ti indica di perseguire la tua “realizzazione individuale” o persino “la realizzazione del tal dei tali”, le quali cose sono assurde, in quanto la realizzazione dell’Identità Suprema equivale alla risoluzione integrativa di qualsiasi identità determinata, che sia riferita a quello o a questo, sia individuale o universale. La risoluzione di ogni alterità, per la semplificazione suprema nell’Identità Assoluta, comporta proprio la cessazione di ogni malia relativa al Sé e al non Sé, all’io o a Dio, all’oggetto o al soggetto, ecc.

D. – Pertanto tutti coloro che indicano la realizzazione come “autorealizzazione” o come “consapevolezza del Sé” o come “esperienza del Sé”, sono nell’errore?

M. – Sono nell’errore, perché indicano in realtà degli stati relativi, non la perfezione dell’Essere Puro e dunque la liberazione effettiva dal male. Vi sono “maestri” orientali che parlano di sat-cit-ananda, ovvero di essere-coscienza-beatitudine, ma nell’Identità Suprema questa distinzione non ha alcun senso. Questi elementi attengono a ciò che è propriamente il Sé, alla prima autodeterminazione di ciò che trascende tutte le determinazioni, al Soggetto Universale che è, allo stesso modo, anche Oggetto Universale. Coloro che insegnano che il Sé è consapevolezza soggettiva di “io sono”, completamente priva dell’alterità identificativa “io sono questo” o “io sono quello”, non dicono il giusto, anche quando dicono che nel Sé c’è la consapevolezza di essere e parlano del fatto che questa consapevolezza è conscia, perciò è chiamata anche coscienza, non si riferiscono alla Realtà Assoluta che trascende infinitamente il Sé, e perciò danno indicazioni che non attengono in alcun modo alla liberazione effettiva. Vi sono poi errori nell’affermazione sulla “consapevolezza del Sé”, in quanto nel Sé Universale, che rappresenta una determinazione relativa e condizionata dell’Essere Supremo, l’identità della consapevolezza e della coscienza fa tutt’uno con la sua essenza, perciò il suo essere coincide con il suo scire e, allo stesso modo, con la sua beatitudine, quindi la distinzione della relazionalità e delle parti non deve ingannare il conoscitore. Se qualche “maestro” indica “l’esperienza diretta” di questa coscienza, occorre fare attenzione, perché nel Sé non c’è l’io che fa esperienza di qualcos’altro, che sia “la coscienza del Sé”. Nel Sé sussiste il Sé, un’unità relazionale nella quale si esprime il Mistero dell’Unità-Identità Suprema, la mediazione immediata dell’Uno a se stesso, ovvero a ciò che oggettivamente è Dio e soggettivamente il Sé. Certamente non c’è un io o un tu che fanno un’esperienza determinata del Sé, perché il Sé è svelato dall’estinzione semplificativa di ogni io in ciò che costituisce il Sé. Questa estinzione risolve l’assimilazione al non Sé e svela l’identità permanente dell’essere determinato immanente con l’Essere Divino Universale trascendente, così la presa di coscienza di Sé equivale allo stabilirsi in Sé, nella propria Identità Universale. Alcuni “maestri” tendono a far coincidere l’insegnamento sul Sé con l’insegnamento su Dio, e spesso adoperano la parola Dio come sinonimo del Sé. Ma, sia ciò che noi indichiamo come Dio, sia ciò che indichiamo come Sé, costituisce, da un lato, una sostanzializzazione determinata apparente di ciò che è l’Essere Divino indeterminato, dall’altro lato, costituisce un’essenzializzazione definita di ciò che costituisce la sovraessenzialità infinita. Perciò la pratica dell’autoconoscenza invita a trascendere ogni grado di identificazione determinata da “io sono questo … corpo”, “io sono questa … anima”, “io sono questo … intelletto-spirito”, per risolvere ogni assimilazione dell’io a questo o a quello. Dovrai conoscerti come presenza immanente dell’essere in questo composto transeunte ed effimero, un composto che possiamo chiamare uomo, sei nell’uomo, ma non sei dell’uomo. Ma poi dovrai elevarti da questa conoscenza determinata dell’essere a ciò che costituisce l’Identità Divina Universale, all’ “Io Sono” quale consapevolezza d’essere, identitaria, unitaria e onnipervadente. Questa consapevolezza-identità sarà a sua volta trascesa infinitamente da ciò che costituisce la Consapevolezza Infinita coincidente con l’Essere Infinito, e dunque con la Realtà Infinita, che è Identità Suprema, Vero Essere e Vera Natura, nella quale permaniamo metaeternamente in maniera immodificabile.

Dovrai fare attenzione a certi insegnamenti impropri, che trattano del senso della “conoscenza assoluta” di sé, che dovrebbe essere più chiaramente definita come “conoscenza liberatoria” dell’Essere Supremo quale siamo, in maniera permanente e immodificabile. Costoro parlano di tre stati progressivi della conoscenza di sé e delle relazioni che ad essi si associano. Ora, conoscersi come presenza essere a questo corpo è costitutivo di un grado elementare e relativo, quanto illusorio, di autoconoscenza, ma, come vedremo nella pratica, costituisce il primo grado di rivolgimento della conoscenza a sé in quanto presenza essere nei diversi stati di immanenza dell’Essere Divino Supremo stesso. Se si procede nella semplificazione si dovrà poi lasciare questa presenza essere al corpo per rivolgersi a quella presenza all’anima che permane una volta che ci si è separati dal corpo, poi, successivamente, ci si semplificherà in quella presenza che si costituisce una volta che si sono arrestati tutti i processi alteranti dell’anima, la presenza essere nella dimensione dell’intellezione determinata. La semplificazione nell’essere deve essere poi portata al punto in cui ci si colloca nella Presenza Divina Universale, che di fatto è la prima presenza determinata dell’Essere Supremo al Tutto, secondo il modo dell’Essenza e del Principio dell’Esistenza Universale. Qualche maestro orientale chiama questa costituzione nella presenza essere universale come “stabilimento nel quarto stato” o, se si vuole, nel “Testimone Universale”. Ma dovrai oltrepassare qualsiasi dimensione inerente a qualsiasi “testimone”, sia esso del corpo, dell’anima, dell’intelletto o il Testimone Universale di tutti gli stati esperienziali e conoscitivi. Dovrai risolvere la presenza essere nella sovratestimonianza del sovraSé, in cui non esiste alcuna alterità, né alcuna testimonianza di alcunché, né alcuna presenza referente ad elementi relazionali. Solo in questa Identità Suprema, perfettamente non duale, sussiste la perfezione della Realtà Apollinea Assoluta, in essa quindi anche la Salute Perfetta Infinita, la liberazione integrale da ogni male.

D. – Da quanto possa intendere la liberazione dal male non può essere effettivamente prodotta, ma, allo stesso tempo deve essere prodotta. Se la mia identità è sempre perfettamente statuita e immodificabile, e cioè perfettamente realizzata, deve però esserci qualche cosa per cui si costituisce una sovrapposizione a questa natura per la quale vengono costituiti stati di identificazione e alterazione nell’apparente altro da sé, con l’alienazione illusoria che vi corrisponde, ovvero la malia della determinazione e della limitazione, con tutto ciò che gli inerisce. In ogni caso, mi pare che la liberazione non può essere prodotta da qualche azione esterna e, in estrema analisi, nemmeno dalla conoscenza interna, perché se fosse prodotta da qualche atto determinato sarebbe soggetta alla determinazione, e se non fosse sempre presente sarebbe soggetta all’impermanenza. Come devo intendere dunque questo passaggio?

M. – Noi possiamo dire che la liberazione è sempre presente, ma deve essere prodotta, che non è raggiungibile, ma è raggiungibile allo stesso tempo. Tutto ciò risulta paradossale solo apparentemente, ma queste affermazioni sono di facile spiegazione. In realtà il nostro essere proprio, la nostra realtà permanente, è sempre libera, in quanto l’Identità Suprema non è mai coinvolta realmente nell’alterità, nell’esistenza, nell’impermanenza, così come il Sole rimane sempre inalterato, nonostante le molteplici immagini riflesse a cui può dare luogo a causa della costituzione di supporti di riflessione. È la potenza alterante presente nell’Uno, la Diade, che fa apparire l’alterazione e la moltiplicazione di ciò che è sempre inalterato e uno, perciò per l’Uno non esistono l’alterità e la molteplicità, così come il non essere e il male. Per cui “la liberazione” sussiste sempre e, allo stesso tempo, è qualcosa di cui dobbiamo prendere atto attraverso quegli elementi nei quali l’Essere si rende immanente in maniera determinata nell’esperienza, nell’esistenza, nell’impermanenza. L’astensione attiva dalle operazioni ad extra, rispetto all’unità trascendente dell’Identità Suprema, equivale a “produrre ciò che non può essere prodotto”, corrisponde al realizzare la non realtà dell’esistenza finita, determinata e vincolante, in ultima istanza è la realizzazione della “non esistenza” del male, della sofferenza, del dolore, ecc. Dato che il processo liberatorio costituisce effettivamente una negazione del non Sé, in realtà del non Uno, la liberazione perfetta è l’attestazione della non esistenza del non essere, e perciò, contemporaneamente, è attestazione dell’unica realtà dell’Essere, della permanenza immodificabile dell’identità dell’essere, della realtà, e dunque della libertà-liberazione, in tutti gli stati. Per questo motivo la liberazione può essere “prodotta” ed è “raggiungibile”, tuttavia essa permane eterna ed è sempre presente, quindi “non raggiungibile”; è lo svelamento della Realtà così come essa è sempre, non velata.

In sostanza, l’Essere è sempre identico nella sua Natura Ultima indeterminata, è Essere Supremo Infinito che precede ogni conoscenza, consapevolezza, attività e identità determinate. Questo stesso Essere rimane identico in tutti gli stati dell’esistenza, perciò esiste solo, e sempre in atto, Apollo, il Divino Supremo, il solo agente, sia nella sua realtà infinita, sia nella sua forma determinata. Il Tutto si svolge sempre nella permanente identità dell’Essere, sia che, attraverso la processione, proodos, l’identità dell’Essere si costituisca come presenza essere in tutti gli stati dell’esistenza, sia che, attraverso la conversione-epistrophé, la presenza essere si risolva nell’unità nella sua Identità Suprema. Il duplice moto è fatto risultare dalla potenza diadica, che proietta illusoriamente ciò che rimane sempre non proiettato, perciò la sovrapposizione delle due vie dell’Esistenza Universale e una sovrapposizione illusoria su ciò che permane sempre immodificato, inalterato e libero, privo di qualsiasi reale coinvolgimento in tutte le modificazioni universali.

Quando lo stesso autoamore dell’Uno-Apollo rende presente nella sua costituzione determinata la disposizione al rientro, alla semplificazione in Sé, sorge nell’animo l’amore semplificativo, l’anelito alla risoluzione nella presenza essere qui e ora, la costituzione nella sua identità, nell’assoluto sempre. La manenza dell’Uno sovrasta e comprende ogni cosa ed è assolutamente trascendente al Tutto, allo stesso tempo è anche perfettamente immanente al Tutto, ma l’Uno-Apollo rimane sempre identico in tutto ciò, e mai subisce alcunché, né entra in qualsiasi alterità, dualità, modificazione, e quindi è sempre libero dalla soggezione alla ignoranza-illusione-malia. La perfetta realizzazione attraverso lo spirito-intelletto, prevede anche la contemplazione immediata distintiva delle Idee contenute nell’Essere quale unità ontologica, ma la purificazione perfetta, la semplificazione-aplosis integrale, deve essere verticalizzata in maniera completa. L’ellampis, l’illuminazione che si stabilisce con

la contemplazione immediata sovraindividuale dell’Essere Divino presente al Tutto, per la quale si ha l’evidenza immediata dell’essere eterni, non nati e immortali, e del possedere la stessa natura del Primo o dell’Uno, viene sorpassata dall’intellezione semplicissima, epibolé simplex, per la quale si svela l’Identità Divina Universale, la perfetta integrità nel Sé o Dio. Infine vi è la perfezione dell’autosuperamento e lo svelamento della Perfetta Identità Suprema, Uno-Uno, Apollon, la perfectio o teleiosis o, se vogliamo, anche la completa henosis o apotheosis. Qui la Suprema Identità, sovraintellettiva e sovraessenziale, qui la Suprema Salute, la liberazione perfetta da ogni illusoria alterità, malia e sofferenza, qui la Aposophia e l’Epignosis, una Metasophia che è conoscenza non conoscente dell’Unità Divina Suprema, nella quale si completa la “fuga dal solo al Solo” insegnata dal maestro Plotino. In ultima istanza la presenza essere si risolve nell’assoluta identità metafisica, la quale riprende in sé tutte le sue immanenze determinate, il cui fondo permane sempre immodificato. Ciò che così si è stabilito non è più di qualcuno o di qualche cosa, ciò che è Realtà Suprema non è neanche un sapiens-sophos, un liberato o un perfetto, per allusione lo si può indicare come “il perfettamente unificato” o “l’assolutamente identificato”, ecc., anche se queste indicazioni non sono che relative, non potendosi cogliere l’Essere Supremo in alcun modo, essendo assolutamente non duale, perciò non limitabile a nulla, quindi non è in nessun luogo, né in nessun tempo, ma, allo stesso modo, è in ogni luogo e in ogni tempo, come presenza essere immodificabile. Questa la vera perfezione dell’Apollo Supremo, a cui ci rivolgiamo con lode, pur nell’identità, quale essere permanente della nostra realtà: Have, Unvm!

[Tratto dai documenti interni della Scuola di Filosofia Medica Flos Ignis: Viola L.M.A., La realizzazione dell’Assoluto Apollon.]

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C.so Garibaldi, 120 – Forlì

Tutti i diritti riservati. È vietata la riproduzione anche parziale, se non autorizzata in forma scritta dall’Associazione.

 

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