La “medicina scientifica” quale negazione della vera medicina

L’Associazione Igea è una istituzione di medicina tradizionale occidentale, la cui identità è specificamente pitagorico-platonica e italica, pertanto la sua opera è conforme alla tradizione medico-filosofica che ha trasmesso nei secoli la via all’autentica e integrale salute. Prima che la medicina fosse ridotta a semplice “cura del corpo” e dunque fosse separata dalla filosofia, l’arte di curare il corpo era integrata nella filosofia e prima ancora nella religione.

La pietas religiosa originaria è fondata sulla cultura integrale dell’uomo, la quale si occupa, fin dalla nascita corporale, dello sviluppo armonico dei veicoli di esistenza, del corpo e dell’anima, affinché l’uomo raggiunga la sua perfezione, nella prvdentia prima e nella sapientia poi, fino alla pienezza della divinizzazione. La cultura religiosa tratta sempre integralmente l’uomo nella sua essenza e nella sua esistenza, e ordina l’educazione del corpo all’anima, e quella dell’anima all’intelletto, sulla base della conoscenza sacra della relazione e delle reciproche influenze esistenti fra i principi causali e i veicoli, le facoltà e le azioni. Secondo l’igiene sacra tradizionale, un corpo di ottima costituzione favorisce una disposizione perfetta dell’anima, la quale a sua volta rende possibile la migliore attività intellettiva. Va inoltre tenuto in considerazione che l’igiene sacra, nelle civiltà religiose tradizionali, mirava a mettere in condizioni l’uomo di svolgere pienamente i suoi uffici civili e religiosi, in quanto solo uomini perfetti possono essere cittadini perfetti, costitutori e conservatori della Salute Pubblica, della pienezza della Pax e della Ivstitia nella città, secondo l’Ordine Divino.

Con la costituzione della filosofia, e con la rielaborazione delle discipline religiose su basi dialettiche, il filosofo o il religioso-filosofo hanno acquisito un ruolo di guida nell’educazione dell’uomo alla sapienza e alla giustizia, perciò fin dal principio, le scuole filosofiche hanno difeso l’unità della cultura integrale dell’uomo.

Così anche quando le diverse discipline dell’educazione fisica, morale e intellettuale della persona furono distinte, non vennero mai considerate separate e indipendenti, ma strettamente unite per il fine unico di sapienza.

In particolare alcune discipline relate al corpo, come la ginnastica e la dietetica, furono conservate, in generale, all’interno della medicina. In particolare, in Ippocrate, la gymnastike, quale disciplina integrale dell’esercizio corporeo, bilanciata con il regime alimentare, in funzione della realizzazione dell’ottima costituzione fisica, rimase integrata nella Hygieine. L’igiene, in senso lato, ha lo scopo di mantenere e sviluppare la salute, costituisce una parte della Iatrike, della scienza e dell’arte della salute, intesa secondo la sua accezione arcaica, utilizzata ancora da Platone, nella quale è inclusa anche la therapeutike, la quale si occupa del ripristino dello stato di salute.

Nell’ottica religiosa, e poi filosofica, la salute è assiologicamente primaria, perciò è antecedente allo stato di malattia, dunque la sezione della medicina che si occupa di preservare la salute o accrescerla, nella misura del possibile, è superiore alla seconda sezione, quella che si occupa del recupero della salute.

In ogni caso la filosofia deve essere considerata come la vera medicina, perché rappresenta realmente l’arte della salute, e costituisce i modi per realizzarla nella sua pienezza. Il filosofo è vero medico, perché è il solo che possiede la sapienza e può condurre alla sapienza, egli sa ordinare adeguatamente  il corpo e l’anima alla salute intellettuale, non riduce mai la scienza della salute alla sola anima, o peggio al solo corpo, ben sapendo che in tal modo toglie consistenza ontologica alla salute, e la limita all’impermanenza, cioè, di fatto, alla inconsistenza, al non essere.

Se lo scopo della medicina è la salute, la filosofia è l’autentica medicina e il filosofo il vero medico. Il filosofo-medico è il solo che conosce veramente la scienza dei fattori salutari e dei fattori morbosi, egli non direbbe mai che l’uomo è sano se il corpo si trova in condizioni tali da svolgere le funzioni naturali senza impedimento, oppure se l’uomo si trova in uno stato di “benessere”. Egli non si occupa di custodire la vita ad ogni costo, perché la vita, in sé, è un elemento dal valore indifferente, può essere buona se ordinata a sapienza-virtù o malvagia se ordinata a ignoranza-vizio, perciò il vero medico preserva la vita per la sapienza e riorienta la vita alla sapienza. Il filosofo è essenzialmente un igienista, orientato all’igiene intellettuale, alla quale subordina l’igiene dell’anima e del corpo, diventa terapeuta quando deve recuperare l’uomo che ha deviato dalla via della salute. Il filosofo-medico prende in cura l’uomo fin dalla nascita e lo educa nella triplice igiene finalizzata alla sapienza-salute. Se non può fare altrimenti, prende in cura l’uomo in altre fasi della vita, un uomo deviato, limitato, sviato, che ha smarrito la via di salute, e lo riconduce ad essa. Allora la sua azione consiste nella rettificazione dei vizi del corpo e dell’anima che affliggono l’uomo a causa di una vita condotta fuori dalla misura, e distolta dal fine di bene a cui è destinata, questa azione riposiziona l’uomo nello stadio dell’igiene integrale inerente al suo stato di malattia-vizio, affinché riprenda correttamente la disciplina di realizzazione della salute.

Per cui i filosofi più importanti, da Pitagora a Empedocle, da Platone ad Aristotele, sono stati esperti nell’arte medica, intesa nella sua integralità, quella integralità che in Pitagora viene fondata e in Platone viene sistematizzata, con l’apparente distinzione delle arti che si occupano del corpo e di quelle che si occupano dell’anima, in funzione della realizzazione della sapienza-giustizia. Però, già in Ippocrate, e specialmente nella medicina ellenistica, la distinzione delle due arti si fece più netta e una certa separazione fra di esse ebbe a svilupparsi, senza andare a compimento. Certamente fino a Galeno, nonostante un maggiore rivolgimento dell’attenzione del medico ai piani inferiori dell’igiene, e un certo sbilanciamento verso il corpo, non fu abbandonata l’unità esistente fra medicina e filosofia, così fu anche nei secoli successivi, fino al XVIII, nei quali si sviluppò la fortuna del galenismo.[1]

Secondo Galeno il vero medico non può non essere anche vero filosofo:

Cosa manca dunque ancora perché il medico non sia filosofo, il medico che esercita l’arte in modo degno di Ippocrate? Infatti se per scoprire la natura del corpo e le varietà di malattie e le indicazioni di rimedi occorre essere esercitati nella teoria logica; se, perché persista l’amore delle fatiche nell’esercizio di tali cose occorre disprezzare le ricchezze e coltivare la temperanza, avrà già tutte le parti della filosofia, la logica, la fisica e l’etica. Non c’è timore infatti che disprezzando le ricchezze e coltivando la temperanza commetta qualche ingiustizia: infatti tutte le imprese che gli uomini osano ingiustamente le fanno convinti dell’avidità di ricchezze o affascinati dal piacere. Perciò è necessario che abbia anche le altre virtù: esse vanno tutte assieme e non è possibile che, se se ne conquista una, non si abbiano di seguito tutte le altre come legate ad una sola corda. Pertanto se ai medici è necessaria la filosofia per l’apprendimento iniziale e per il successivo esercizio è chiaro che chi è un vero medico, è sempre anche filosofo. Sul fatto che ai medici abbisogni la filosofia per adoperar bene l’arte non credo abbia bisogno di dimostrazione chi ha visto spesso che gli avidi di ricchezze sono spacciatori di droghe, non medici, e usano l’arte per fini opposti a quelli a cui è destinata per natura.[2]

 La critica dei falsi medici, dedita al denaro e alla lussuria, è costante in Galeno:

Sicché bisogna che la persona che vorrà diventare tale non solo disprezzi le ricchezze, ma che sia estremamente amante delle fatiche. Non è mai possibile che sia amante delle fatiche uno che si ubriaca o si riempie di cibo o si dà ai piaceri venerei o per dirla in breve serve ai genitali e al ventre. Si è trovato perciò che il vero medico è compagno della temperanza come della verità.[3]

Una critica simile, ma ancora più profonda, effettuò Paracelso, dopo tredici secoli, prima di ripresentare una dimensione superiore della medicina che da secoli i “falsi medici” avevano smarrito.

La medicina tradizionale è una scienza e un’arte sacra, di essa va affermata la scientificità integrale, in quanto espressione della scienza metafisica integrale, mentre la cosiddetta “medicina scientifica”, che si contrappone alla medicina tradizionale e si reputa superiore ad essa, non è che un’espressione della più completa ignoranza metafisica. La medicina moderna/postmoderna non è basata sulle “evidenze”, ma è frutto dell’oscurità della conoscenza sensibile ed empirica, alla quale si affidano esclusivamente i suoi sostenitori, dopo aver abbandonato per principio la conoscenza delle cause, la sola scienza possibile, la scienza dell’universale.

Che cos’è ciò che è sempre e non ha generazione? E che cos’è ciò che si genera perennemente e non è mai essere? Il primo è ciò che è concepibile con l’intelligenza mediante il ragionamento, perché è sempre nelle medesime condizioni. Il secondo, al contrario, è ciò che è opinabile mediante la percezione sensoriale irrazionale, perché si genera e perisce, e non è mai pienamente essere.[4]

Dunque ciò che è immutabile ed eterno è propriamente intelligibile, mentre il mutevole e temporale è opinabile, è del primo dominio, universale, che si può avere scienza, mentre del secondo dominio solo opinione.

La vera scienza è metafisica, attiene alla realtà, all’essere, alla verità, l’opinione attiene al domino fisico-cosmologico che è esitenza e apparenza, perciò dipende dal dominio metafisico, come l’opinione dipende dalla scienza, la quale è propriamente dell’universale e non dell’individuale determinato. L’opinione è mutevole, incerta e aderisce all’apparenza-illusione quando è scollegata dalla scienza autentica.

Platone dice magistralmente, nel Teeteto, che è l’anima, e non i sensi, che attinge la scienza[5], e che la scienza attiene alla visione delle idee eterne[6], inoltre afferma che anche le opinioni vere non hanno stabilità ontologica, finché non vengono fissate con la conoscenza delle cause[7].

Pertanto tutto ciò che si limita alla empeiria, all’esperienza sensibile, dunque all’empirismo, alla sperimentazione, non ha alcun valore di scienza, perché attiene alle ombre o alle immagini, e non alla luce[8], all’intelligibile, che può essere colto solo con la pura intelligenza.

Ma la presunta scienza moderna si è proprio costituita negando la realtà metafisica delle cause trascendenti, e allo stesso tempo ha misconosciuto l’intelletto sovrarazionale, che ha la capacità di coglierle, perciò ha eliminato la possibilità di attingere alla verità e di realizzare la scienza vera.

Dopo aver abbandonato la conoscenza metafisica, è stata abbandonata anche la conoscenza fisica tradizionale, non più comprensibile, la medicina “scientifica” moderna ha così sostituito alla certezza della Sapienza Divina, relativa all’origine dell’uomo, alla sua natura, al suo fine, al suo Bene, alla sua salute, una serie di “verità probabili”, di opinioni basate sulla empiria e sulla congettura, che costituiscono il capovolgimento diabolico e parodistico della prospettiva medica, religiosa e filosofica, tradizionale, e del suo fine di autentica salute, basata sulla certezza metafisica della verità eterna.

La medicina sacra tradizionale è per sua natura simbolica, mentre la medicina profana moderna è per sua natura diabolica, la prima fonda sulla conoscenza metafisica dell’Essere Eterno, dalla quale procede la conoscenza seconda delle cause della manifestazione universale e individuale e del fine degli enti esistenti, la seconda fonda sulla negazione della conoscenza metafisica dell’Essere e perciò è condizionata dalla illusione del non essere e dall’ignoranza che da esso procede.

La medicina tradizionale individua nell’opera della Ragione Universale il dispiegamento dell’alterità e la costituzione delle ragioni seminali dalle Idee Eterne, ragioni la cui mediazione rende possibile l’immanenza dell’intelligibile nel sensibile. Per la scienza sacra la natura del sensibile è simbolica, perciò ogni ente fenomenico, per essere compreso, deve essere sempre fatto risalire al suo principio noumenico, al suo referente primario, cioè al suo significante intelligibile, del quale è proiezione. Attraverso il principio dell’analogia e fondando sull’azione anagogica, colui che si applica alla scienza sacra esercita la funzione unificante e rilegante propria alla ragione religiosa, la quale viene accordata alla Ratio universale. Grazie a questa azione di tipo mercuriale-ermetico, ogni effetto è ricondotto alla sua causa, perciò è riletto-rilegato al suo principio causale. La lettura e l’interpretazione anagogica dei fenomeni sensibili, in quanto segni-simboli dell’intelligibile, costituisce il fondamento dell’ermeneutica sacra, per la quale l’intero universo fisico è riletto o rilegato al suo Principio Causale Eterno, che è di ordine metafisico. Questa azione anagogica dell’intelligenza riflessa immanente, costituisce l’essenza stessa della re-ligio tradizionale.

È in virtù di una lettura simbolica, rilegante e religiosa, che unifica l’intera sfera transeunte del divenire con la sfera eterna e trascendente dell’Essere, che è possibile intelligere il senso autentico del segno sensibile. Quando il fenomeno sensibile viene separato dal suo significante trascendente e intelligibile diventa oscuro, la sua ragione d’essere non può essere conosciuta, perciò nemmeno il fine per cui è stato costituito nell’ordine dell’universo.

 

[1]                 Celso, De medicina, Prefazione.

[2]                 Galeno, Il miglior medico è anche filosofo, III, 60-61.

[3]                 Ibidem, III, 59.

[4]                 Platone, Timeo, 27d-28a.

[5]                 Platone, Teeteto, 184c.

[6]                 Ibidem, 203c.

[7]                 Platone, Menone, 98a.

[8]                 Platone, Repubblica, 511a.

 

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