In sostanza, tutte le scienze assumono aprioristicamente degli archai o delle hypotheseis, come punti di partenza della loro argomentazione-dimostrazione, la quale si sviluppa attraverso una procedura deduttiva, nella quale l’inferenza, costantemente collegata ai principi, assunti attraverso una “discesa”, giunge alle conclusioni necessarie. Nessuna delle scienze particolari, nemmeno la matematica superiore, esplicita la natura e il fondamento dei suoi principi, questi non vengono esaminati ed essi sono oggetto di un’assunzione assoluta quanto arbitraria[8], quindi fra gli pseudoscienziati sussiste un tacito consenso sulle ipotesi a priori, senza alcun esame ulteriore, né sforzo di verifica delle stesse. Il complesso delle conoscenze dedotte da questi “principi ipotetici” provengono dalle premesse ritenute indubitabili, che assicurano la dimostrazione, apodeixis, ma, una volta che è stato assunto un principio di fondo, l’argomentazione deduttiva è determinata dalla cogente connessione che esiste fra l’assunto iniziale e le conclusioni derivate, con questo procedimento si vuole dimostrare la coerenza che sussiste nel discorso argomentativo di tipo deduttivo con i principi posti a priori. I principi così appaiono consistenti solo a partire dalla consistenza delle loro conseguenze, quindi non sono radicati in se stessi, in ciò che non ha la possibilità di essere ulteriormente specificato, dunque nel campo delle “scienze” deduttive non vi è altra verità se non quella dell’assunzione iniziale dell’ipotesi, in ogni caso le ipotesi non diventano mai materia di conoscenza, perché vengono assunte a priori come premesse iniziali evidenti e quindi come materia di certezza stabilita.

La struttura della “scienza” deduttiva presenta maggiore chiarezza rispetto alla mera “conoscenza” doxastica, ma rimane oscura e incerta rispetto all’autentica scienza, all’episteme intellettiva. La dialettica, in contrasto con le scienze astratte, non procede deduttivamente verso il basso a partire da ipotesi e traendo delle conclusioni, ma, al contrario, procede dall’ipotesi verso l’alto, prendendo l’ipotesi come un supporto, non come un punto a cui appendersi, essa procede poi verso l’alto, nella direzione di ciò che non richiede nessun assunto e nessun ulteriore punto di partenza al di là di esso, infatti il Principio di tutte le cose, in se stesso, non richiede nessuna assunzione, ma trascende l’assunzione stessa. Questo Principio, in rapporto all’intelligibile, è l’Idea del Bene, essa è autosussistente rispetto a ogni spiegazione intelligibile e non richiede ulteriori fondazioni.

Nel Fedone Socrate descrive l’uso dialettico delle ipotesi, il punto dal quale il dialettico parte per svolgere il suo ascenso: 

E Socrate allora disse: «Dopo questo, poiché ero stanco di indagare le cose, mi parve di dover star bene attento che non mi capitasse quello che capita a coloro che osservano e studiano il sole quando c’è l’eclissi, perché alcuni si rovinano gli occhi, se non guardano la sua immagine rispecchiata nell’acqua, o in qualche altra cosa del genere.

«A questo pensai, ed ebbi paura che anche l’anima mia si accecasse completamente, guardando le cose con gli occhi e cercando di coglierle con ciascuno degli altri sensi.

«Perciò, ritenni di dovermi rifugiare in certi postulati e considerare in questi la verità delle cose che sono.

«Forse il paragone che ora ti ho fatto in un certo senso non calza, giacché io non ammetto di certo che chi considera le cose alla luce di questi postulati le consideri in immagini più di chi le considera nella realtà. Comunque, io mi sono avviato in questa direzione e, di volta in volta, prendendo per base quel postulato che mi sembri più solido, giudico vero ciò che concorda con esso, sia rispetto alle cause sia rispetto alle altre cose, e, ciò che non concorda giudico non vero.

«Ti voglio spiegare più chiaramente le cose che dico, perché credo che tu ora non mi intenda».

«No, per Zeus – rispose Cebete –, non troppo!».

«Eppure – proseguì Socrate – con ciò non dico nulla di nuovo, ma dico quelle cose che sempre in altre occasioni e anche nel precedente ragionamento ho continuato a ripetere. Mi accingo infatti a mostrarti quale sia quella forma di causa su cui mi sono a fondo impegnato e, perciò, torno nuovamente su quelle cose di cui molte volte si è parlato, e da esse incomincio, partendo dal postulato che esista un bello in sé e per sé, un buono in sé e per sé, un grande in sé e per sé, e così via. Ora, se tu mi concedi e convieni che esistano veramente queste realtà, spero, partendo da queste, dimostrarti quale sia quella causa e di scoprire perché l’anima è immortale»[9].

 Quanto Socrate espone in questo passaggio è assai affine a quanto espone nel Menone[10] , nel quale dice che la dialettica utilizza ipotesi, ma non deduce le conseguenze rigorosamente dalle premesse, in quanto esplora approfonditamente con cura le implicazioni presenti nei principi posti nelle conoscenze antecedenti, mentre le scienze comuni muovono da un punto di partenza e giungono a delle conclusioni, quindi applicano principi generali a conclusioni particolari meno generali. La deduzione veritiera è il retto metodo per relare ciò che è sconosciuto con ciò che è ritenuto conosciuto, ma non è il metodo utilizzato dalla discriminazione dialettica della conoscenza, la validità della scienza deduttiva dipende dalle sue premesse, se queste sono infondate, anche le conseguenze risultano infondate. Come si sa, la struttura della deduzione è stata codificata da Aristotele nei Primi Analitici egli ha trattato delle regole del sillogismo e dei canoni che legittimano l’inferenza.

Ma il metodo deduttivo non ha niente a che vedere con la disciplina dialettica, la quale, nella sua forma elementare, può essere vista come quel metodo di ricerca scrutinante, mediante le questioni formulate, il principio posto. Nel metodo dialettico dell’elenchos viene approfondito ciò che viene posto a principio del discorso, lo si esamina in tutte le modalità secondo le obiezioni e le affermazioni, in modo tale da verificare la sua consistenza nell’essere, nel vero, nella realtà. La dialettica di carattere elenctico ha la funzione di esaminare l’apriori, l’opinione, la convinzione che ciascun uomo porta in sé, dalle quali deduce poi pensieri, giudizi, delibere ed azioni, e Socrate pone immediatamente un’attività esaminatrice di tipo dialettico a principio della via che conduce alla sapienza. In questo modo egli elimina, fin dal principio, tutto ciò che non consiste nell’essere, e quindi le contraddizioni, le aporie e ciò che deriva da un pensiero acritico, questa sua impostazione si ritrova a tutti i livelli della via filosofica, fino a che, nella sua perfezione, consente di accedere alla pura dimensione metafisica e al Principio di tutte le cose.

Nella sua funzione inferiore la dialettica permette di stabilizzare le diverse opinioni nell’essere costituendo così la doxa alethes, poi essa procede al di sopra del dominio della doxa, e si dispiega nel campo dell’episteme, svolgendo in esso un processo analogo a quello che essa svolge fin dai suoi primi sviluppi, andando a fondare l’episteme alethes. Applicandosi a fondo in tutte le ipotesi le scava a fondo, le lavora e le tratta secondo il metodo dialettico preciso dell’analisi e della divisione, della composizione e della riunione, fino a giungere a ciò che trascende tutte le ipotesi e quindi tutte le premesse che non consistono in se stesse, ossia al principio anipotetico, che non ha necessità di ulteriori fondazioni e che presenta in se stesso una coerenza e un’autofondazione che non richiedono ulteriori esami e sviluppi. Se lo scopo dell’elenchos è quello di muoversi attraverso opinioni, concetti e assunti di fondo per verificare approfonditamente se essi sono fondati nella realtà, e se esiste un accordo fra l’assunto e il pensiero, fra il discorso e l’azione che il singolo uomo esprime, a livelli superiori la dialettica si applica invece sugli stessi principi delle scienze, stabiliti dai diversi soggetti come fondamenti autoevidenti e autofondanti la stessa scienza, senza che essi ne abbiano dato effettiva ragione, portando il processo di approfondimento della natura delle ipotesi fino alle sue conseguenze più estreme. Tutto in sostanza viene discusso, criticato e dialetticamente ricondotto ad una dimensione superiore, la quale deve rendere ragione di quella inferiore in modo che essa si fondi su ciò che è più prossimo all’essere, fino a raggiungere la dimensione dell’intelligibile, dell’universale, nella quale si trova la fine di questo tipo di procedimento e nel quale è possibile attingere alla vera conoscenza nella misura in cui si raggiunge il Principio di tutti i principi, che non ha possibilità di essere ulteriormente fondato ed esaminato al di là di se stesso.

 

[8] Ibidem, VI, 511c.

[9]  Platone, Fedone, 99d-100a.

[10]  Platone, Menone, 86e-87b.

 

(tratto da Viola, L.M.A., Psyches Therapeia, vol. II)

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