Poiché l’uomo a causa dell’inquietudine spirituale, della debolezza fisica, del bisogno che ha di ogni cosa, conduce sulla terra una vita più dura di quella delle bestie, se la natura avesse assegnato alla sua vita lo stesso limite che ha dato agli altri esseri viventi, nessun animale sarebbe più infelice di lui. Ma poiché non può accadere che l’uomo, il quale, grazie al culto che ha di Dio, più di ogni altro essere mortale si avvicina a colui che è l’autore della beatitudine, sia in assoluto la più infelice di tutte le creature e poiché soltanto dopo la morte del corpo può raggiungere una maggiore beatitudine, appare necessario che alle nostre anime, una volta uscite da questo carcere corporeo, resti una qualche luce. Ma se le menti degli uomini, «chiuse nelle tenebre di un oscuro carcere», non vedono affatto la propria luce, onde sovente siamo introdotti a dubitare della nostra divinità, allora sciogliamo – vi prego! – noi che siamo anime celesti, desiderose di raggiungere la nostra patria nei Cieli, sciogliamo al più presto i vincoli che ci legano ai ceppi terreni, per volare del tutto liberi, sospinti dalle ali platoniche e guidati da Dio, sino alla dimora celeste, dove per sempre contempleremo felici l’eccellenza della nostra natura[1].
Dunque, se l’anima dell’uomo non fosse immortale nessun essere vivente sarebbe più infelice dell’uomo, perciò risulta fondamentale compiere un’azione che renda possibile condurre l’anima all’autoconoscenza, affinché essa possa prendere atto della sua natura e dare principio alla sua liberazione dal carcere mortale, esperendo la propria immortalità e riattualizzando la sua condizione originaria, in modo tale da fruire della beatitudine perfetta a cui l’anima per sua natura è portata.
Da venticinque secoli i difensori della tradizione spirituale originaria lottano nei confronti di qualsiasi oscuramento materialistico della conoscenza relativa alla natura della realtà e dell’uomo, per cui la contrapposizione fra una concezione spirituale dell’essenza dell’uomo, e la sua riduzione in senso materiale, ha ormai più di due millenni di storia. È chiaro che se si ammette l’autentica natura spirituale ed immortale dell’anima dell’uomo, tutta la direzione della vita in ordine alla moralità, alla condotta civile e al fine religioso della sua esistenza, muta radicalmente. Se ciascun uomo fosse presente alla natura del suo essere proprio e sapesse che la sua esistenza non si risolve nel breve lasso di tempo in cui l’anima è associata al corpo, ma continua anche in condizioni extracorporee, ogni suo atto assumerebbe un significato, una portata e un indirizzo assai diversi.
Socrate dice giustamente che, se l’uomo intero cessasse di essere completamente con la morte del corpo, i malvagi dovrebbero esultare costantemente, per loro sarebbe un bel guadagno, infatti si libererebbero con la morte del corpo anche da tutta la loro malvagità, invece, come viene dimostrato da millenni, l’anima dell’uomo è immortale e non le rimane altro modo per sottrarsi al male e salvarsi dalla pena se non quello di diventare buona e saggia, quanto più le è possibile, nella vita presente. Infatti, una volta che si sarà separata dal corpo, l’anima porterà con sé tutta la sua paideia, dunque il modo in cui ha vissuto e le azioni che ha compiuto, perciò al momento in cui darà inizio al viaggio nell’Ade l’insieme della sua condotta esistenziale l’accompagnerà inevitabilmente. L’anima che ha vissuto la sua vita redendosi pura dal corpo, conformandosi alla misura della sua essenza e obbedendo alla sua guida divina, va nel luogo migliore che a lei si addice, mentre le anime che hanno vissuto in senso contrario non potranno che discendere nei luoghi peggiori e patire quanto, a causa della loro esistenza dedicata al corpo, e dunque alla malvagità, dovranno patire inevitabilmente[2].
Perciò l’uomo deve avere ferma fiducia riguardo la natura della sua anima, da questa fiducia deriva la rigorosa disciplina di purificazione nella quale si produce un’apparente rinuncia ai piaceri e agli ornamenti attraenti del corpo. L’anima deve portare la sua intelligenza nella direzione del fine che deve perseguire per natura, perciò deve mirare ad ornamenti e conseguimenti che sono a lei propri, ovvero alle diverse virtù della temperanza, della forza, della prudenza e della giustizia, fino a che, separata completamente dal corpo, possa accedere alla sapienza già nella vita presente, fruendo della perfetta beatitudine che è il suo stato naturale originale.
I fondamenti metafisici della cura di sé, dell’epimeleia heautou, sono centrati sulla natura immateriale e immortale dell’anima, ma un certo tipo di vita sarebbe felice anche a prescindere da queste premesse, perché il coinvolgimento dell’anima in piaceri e circostanze è ricco di afflizioni, preoccupazioni e perturbazioni, di tarachai, tanto che gli stessi epicurei hanno dedicato tutta la loro filosofia a risolvere questo problema. In ogni caso è bene dimostrare dottrinalmente l’immortalità dell’anima, affinché possa essere favorita la pratica della filosofia.
L’anima deve essere convinta della natura puramente spirituale e divina della sua essenza, così tutto l’uomo può compiutamente centrare la sua condotta su questa fede. Agendo in conformità alla sua immortalità, l’anima può dare ordine e fine benefico a tutti i suoi atti, dirigendo la sua vita al vero fine di bene a cui è destinata. Se venisse negata la sostanza spirituale dell’uomo, la cui natura non dipende dal corpo, dal cervello e dai determinismi connessi a questi enti corruttibili e impermanenti, verrebbe negata la presenza nell’uomo della sostanza animica e le prerogative che ne costituiscono l’essenza, dunque la sua spiritualità, la sua immortalità e la dignità che essa conferisce alla vita umana. Se all’uomo viene tolto il fondamento ontologico del suo essere, esso viene ridotto alla dimensione corporale animale, la sua esistenza diviene così fragile, incerta e caratterizzata da un’inconsistenza nichilistica alla quale si associano tutte le pene possibili. Se si nega l’anima, o se si misconosce la sua natura immortale, viene tolto il fine, lo scopo ultimo della vita dell’uomo, quindi ogni direzione trascendente e sovrannaturale dell’azione perderebbe di senso e verrebbe cancellata ogni speranza di poter risolvere i mali che ineriscono l’esistenza materiale, così l’uomo diverrebbe certamente l’essere più infelice del mondo.
Attingendo alla sorgente eterna della vera sapienza dei Maestri, è possibile restituire una chiara esposizione della dottrina relativa alla natura spirituale e immortale dell’anima, in modo tale che, insieme ad altre trattazioni, si possano confutare completamente tutte le riduzioni o le deviazioni in senso materialistico delle concezioni dell’anima dell’uomo. Grazie a quest’azione si confutano indirettamente anche gli errori compiuti dalle scienze neurobiologiche attuali, in modo da evitare le conseguenze rovinose a cui questi errori portano.
Gli pseudoscienziati postmoderni sono soggetti ormai ai gravi errori di un materialismo grossolano, essi non hanno più nemmeno la conoscenza filosofico-religiosa elementare e sono sprovvisti di tutti i mezzi per poter indagare la natura propria dell’anima e giudicarne la sostanza, la costituzione, l’operazione e il fine ultimo. È perciò indispensabile denunciare la falsa scienza dell’anima, risolutamente, perché è principio di ogni corruzione morale, civile e spirituale dell’uomo. Qualsiasi indirizzo “psicologico” che dimostri di non possedere un’appropriata conoscenza dell’anima dell’uomo, che evidenzi addirittura una riduzione dell’anima alla corporeità, assimilando l’uomo all’animale e rinchiudendo la sua vita nel breve spazio della durata del suo corpo, deve essere fermamente rettificato. Ogni indirizzo che favorisca e accentui l’immanentismo edonistico e riduca l’indirizzo morale dell’uomo alla sola soddisfazione dell’esistenza carnale presente, se, in particolar modo, viene promossa la ricerca della gratificazione edonistica del corpo, la sua conservazione indefinita nel tempo, il suo coinvolgimento in un basso piacere materiale, che deve essere conservato, intensificato ed esteso universalmente, occorre condannare il tutto senza riserva, data la rovina che tali moti producono. Questi oscuri processi cancellano completamente la dignità dell’uomo, la sua funzione e il suo fine teofanico, con le conseguenze ormai estremamente evidenti in tutta l’umanità.
Tutti i tentativi di abbattere la verità relativa alla spiritualità e all’immortalità dell’anima, che sono stati prodotti dall’antichità fino ad oggi, tutte le trattazioni della “spiritualità”, confusa con la psicologia e addirittura con la materialità, hanno un effetto nefasto. Perciò è fondamentale conservare, riaffermare ed applicare la dottrina divina dell’anima che da Pitagora, Socrate, Parmenide, Platone, Aristotele, fino a Plotino, Porfirio, Giamblico, Proclo, Damascio è stata trasmessa nei secoli ed è giunta fino a noi. Questa dottrina ha sostenuto e animato la disciplina filosofica, religiosa e soteriologica, che presentiamo in forma sintetica in questo libro.
La precisa definizione della spiritualità e dell’immortalità dell’anima è di un’importanza capitale, da essa dipende tutta la vita morale, civile e spirituale dell’uomo. L’esposizione della dottrina sulla natura essenziale dell’anima, e la dimostrazione che ad essa si connette, devono togliere ogni tipo di appoggio alla deviazione e alla riduzione in senso materialistico dell’anima. L’uomo deve essere messo nuovamente in condizione di accedere alla conoscenza liberante, a quella conoscenza che risolve la soggezione al male e alla pena che ne deriva. Questa soggezione è impossibile da risolvere se ogni procedura filosofica e religiosa manca di adeguati fondamenti metafisici e fraintende, sotto diversi profili, ciò che propriamente deve essere considerato come l’autentico fine spirituale divino di tutti gli atti dell’uomo.
L’anima è un’ente puramente immateriale, ovvero è costituito da una sostanza totalmente spirituale e intelligibile, perciò ogni connotazione di corporeità materiale e sensibile deve essere esclusa da ciò costituisce propriamente l’essenza dell’anima, in particolar modo dal nous. L’essenza dell’anima è immateriale, perché è costituita dalla sostanza dell’Essere Divino Puro, che, per natura, non ha determinazioni né modalità di carattere materiale, in quanto è qualità pura indeterminata, perciò Esso si colloca al di sopra di ogni sostanziazione alterata e concreta. All’Essere Puro sono inerenti la Presenza Totale e, allo stesso tempo, il Conoscere Infinito, ciascuno secondo l’indeterminazione e l’assolutezza. L’Essere Infinito è dunque Essere, Presenza e Conoscere senza materialità alcuna, senza limite, senza oggetto né soggetto, perciò non è Qualcuno o Qualcosa, ne può essere costituito da ciò che muta o da ciò che è composto e si corrompe e non ha consistenza in se stesso, come la materia grossolana e sensibile.
L’essenza dell’uomo, l’anima individuale, possiede nel suo essere proprio le qualità dell’Essere Divino Infinito, nell’unità e nella sostanza della sua essenza l’anima è però essere immateriale determinato, presenza a sé individuata, ma immediata, conoscenza diretta e irriflessa della sua spiritualità immateriale. La conoscenza diretta dell’immaterialità della sua essenza è una prova positiva della pura spiritualità dell’anima, inoltre, anche nell’ambito delle operazioni riflesse della psiche, il soggetto è sempre presente all’essere, al suo essere immateriale ed è distinto dalle operazioni psichiche a cui è presente, al fatto che sente, immagina, cogita, vuole, ricorda, ragiona. Questa presenza unificata a sé del soggetto, nel complesso delle molteplici operazioni psichiche, è un elemento di cui non si può dubitare, essendo, in qualche modo, lo stesso dubbio una prova dell’evidenza della presenza operativa a se stessa dell’anima. Al di là delle operazioni del pensare, dell’immaginare, ecc., sussiste dunque un principio unitario delle operazioni, una sostanza immateriale unitaria a cui tutte queste operazioni possono essere riferite.
La sostanza dell’anima può essere presente a sé e, allo stesso tempo, può cogliere le operazioni che da questa sostanza procedono, in quanto l’essere immateriale della stessa sostanza immane in ciascuna di esse. L’essere è ciò che è più presente e intimo alla sostanza dell’anima, e questo stesso essere, la cui qualità di fondo non differisce dall’Essere Divino, è ciò che l’essenza dell’anima, l’intellectvs–nous, conosce immediatamente e intuitivamente, senza operazioni ad extra, come il suo proprio essere identitario permanente. In altre parole l’anima sa di essere sempre, ma l’immediatezza della sua autoconoscenza sussiste solo quando l’essere dell’anima si isola dall’associazione direttiva che opera nei confronti delle operazioni che procedono dalle sue facoltà. Dunque l’essere è la sola costante nel sentire, nell’immaginare, nel pensare, nell’intelligere, ma l’anima è anche esercizio di queste attività. Lo “è” dell’anima non è diverso dallo “È” divino, perché l’immanenza dell’Essere è onnipresente, dunque l’Essere è il solo e lo stesso al centro di tutti gli stati dell’Esistenza.
Nella sua essenza intelligibile-intellettuale semplice l’anima si coglie come principio immediato dell’essere psichico, come presenza permanente all’unità delle sue proprietà, perciò non si conosce come un altro oggetto all’infuori di sé. Ma l’anima può conoscersi immediatamente solo eliminando ogni tipo di conoscenza oggettivante, nell’autoconoscenza essa si conosce come essenza intelligibile-spirituale, come modo determinato ed individuato dell’Essenza Divina Universale stessa, della quale esprime la sua modalità distintiva, fino a quando, nella perfezione della semplificazione, non si risolve in Essa.
[1] Marsilio Ficino, Teologia Platonica, I, I.
[2] Platone, Fedone, 107 c-d.
(tratto da L.M.A. Viola, Psyches Therapeia, vol. I
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