
Nella tradizione sapienziale pitagorico-platonica la perfetta realizzazione metafisica e la perfetta realizzazione della Salute coincidono, questo risultato è il frutto della Divina Filosofia Medica, costituita dal Dio Apollo in Pitagora.
Pitagora rappresenta la presenza immanente del Medico Divino, egli è il perfetto sapiente che esprime la parola di verità, la parola che costituisce la misura dell’Essere, per questo egli è med-dicvs, in quanto definisce il med-, il medio, la misura divina. Il sophos-sapiens è il solo che, in quanto conoscitore del meson e del symmetron, può indicare la via di vita che consente la realizzazione della Perfezione, quella via che attua la Salvs-Hyghieia, ovvero la piena conformità-unificazione dell’animo-intelletto all’Essere Divino, alla Misura Suprema di tutte le cose, Mégiston Máthema, il Sommo Bene di tutti gli enti.
Nella metafisica platonica della Misura, métron è nozione strettamente connessa a máthema, ‘scienza misurante’. Sia métron che máthema condividono la radice ma-, affine a mt- o a md–, nella quale è riposto il duplice senso di conoscere e misurare, intelligere e determinare con ordine, da cui il senso di ‘misurare con l’intelligenza’, ovvero far corrispondere l’ente misurato all’Essenza Divina.
Ma il Principio di ogni Misura è l’Unità Divina Suprema, la cui immanenza radicale si evidenzia nell’attuazione dell’ordine della Scienza Misurante Suprema, Mégiston Máthema, la quale coincide con l’Idea del Bene, agathou idea mégiston máthema[1]. La “Scienza Massima”[2], la più alta scienza metafisica, fonda sulla “pre-scienza” dell’Uno, dalla quale procedono tutte le conoscenze e tutte le azioni giuste, divine e umane.
L’Idea del Bene, in sé, trascende la scienza e la verità determinate, perché è la loro Causa, in quanto è principio imprincipiato di ogni scienza misurante, anche della stessa scienza dell’Ente Essenziale. La Suprema Misura di tutte le misure si trova dunque nell’Uno, il quale perciò è Supremo Bene, Uno-Bene, Misura Principiale del Tutto, che Platone identifica con Apollo, Fondamento Supremo di ogni verità, conoscenza e bellezza.
L’Uno perfetto è Aploun, A-Pollon, ovvero privo di molteplicità, dualità, relazione, distinzione, l’Uno perciò è assolutamente semplice, senza parti e senza alterità. Pitagora e Plotino lo identificano con l’Ineffabile Assoluto:
Ma noi siamo travagliosamente incerti sulle parole che dobbiamo adoperare e parliamo dell’Ineffabile ed escogitiamo dei nomi con il desiderio di denominarlo, come ci è possibile, a noi stessi. Forse, anche il nome «Uno» non è altro che la negazione del molteplice. Perciò anche i Pitagorici, fra loro, lo chiamarono simbolicamente Apollo, per significare la negazione della molteplicità <a-pollon>: infatti, se l’Uno, sia come nome che come cosa significata, avesse un senso positivo, esso sarebbe meno chiaro che se non gli si desse alcun nome[3].
Poi, per indicare la relatività presente anche nel nome Uno e nella sua “visione”, Plotino dice:
Forse il nome «Uno» gli fu dato affinché l’indagatore, cominciando da ciò che significa la massima semplicità, finisse poi col negargli anche questo, pensando che esso, benché scelto felicemente dal suo inventore, non era degno di rivelare quella natura, poiché Colui non può essere compreso né con l’udito né da chi ascolta, ma, se mai, da una visione. Ma nemmeno la visione, se volesse contemplare una forma [eidon], potrebbe conoscerlo[4].
Il sapiente divino deve prima giungere alla intellezione diretta dell’Idea del Bene, ma poi deve oltrepassare la visione della prima forma intelligibile dell’Uno-Bene, partecipabile dagli enti determinati, per giungere alla “visione dell’Uno”, in quanto Bene in Sé. Questa visione coincide con la Scienza Divina Principiale, che coglie nell’identità la Verità dell’Essere-Uno, su cui ogni verità determinata fonda.
«E così anche ai conoscibili dirai che proviene dal Bene non solo l’essere conosciuti, ma anche l’essere e l’essenza provengono loro da questo, pur non essendo il Bene essere, ma ancora al di sopra dell’essere, superiore ad esso in dignità e potere»[5].
Dunque il Bene in Sé è epekeina ontos, oltre l’Ente esistente, e perciò anche epekeina tes ousios, oltre l’Essenza dell’Ente esistente, ma è altresì epekeina tou nou, ovvero oltre l’ipostasi dell’Intelletto e della sua attività. Rispetto agli enti il Bene si presenta come Puro Essere Infinito, senza alterità e dualità, ma, in Se stesso, è “Uno-Uno”, dunque si pone al di là dell’Uno in quanto Bene e si colloca anche al di là di qualsiasi Essenza, Conoscenza, Esistenza caratterizzati dall’Unità coglibile anche dagli enti. Risulta perciò chiaro che ciò che è totalmente ineffabile non può essere indicato neanche come “Uno”, come dice Plotino, perché Esso è epekeina tou enos, ciò che si colloca oltre l’Uno, perciò anche oltre qualsiasi visione e qualsiasi vedere unitario.
L’animo perfettamente sapiente è anche perfetto rex, perché si è realizzato come ciò in cui ogni realitas-realtà ha il suo essere, il suo principio. Solo ciò che attiene all’Uno-Uno, o meglio all’assolutamente ineffabile, è propriamente realis, reale, o regalis, regale, colui che si è stabilito nell’Identità Suprema, come nella sua vera natura, ha conseguito la Plenitudine Suprema, la pienezza dell’Essere Ineffabile Integrale.
L’animvs dell’uomo, reso perfettamente magnvs dall’attuazione dell’unificazione col Principio di ogni Misura, trascende il dominio intelligibile ed anche il suo vertice, l’Idea del Bene, perciò oltrepassa anche “la contemplazione di ciò che è ultimo tra le cose che sono”[6]. Quella contemplazione deve essere raggiunta, in prima istanza, mediante la paideia-cultura dell’essere essenziale dell’uomo, l’intelletto, la quale porta al luogo più beato dell’Essere[7], superato il quale l’animvs si risolve nell’Unità Infinita del Bene, perciò comprende in sé tutte le cose dalla sovrapersonalità assoluta dell’Uno-Apollo.
Dunque l’autentica scienza metafisica integrale, la reale scienza sacra, comprende tutte le conoscenze delle essenze, la conoscenza dell’Essenza Unitaria di tutte le cose ed anche la conoscenza dell’unità sovraessenziale dell’Essere Supremo. L’accesso a questa conoscenza avviene mediante l’intellezione pura, l’intuizione immediata di tipo sovrarazionale, la cui natura è descritta con costanza da tutta la tradizione filosofica platonica, la quale è accolta solo in parte dalla tradizione aristotelica, che si è sviluppata in Occidente fino al principio del XVII secolo.
Aristotele ha definito una conoscenza metafisica limitata al primo Ente Intelligibile, la Stoa ha ridotto ancora la conoscenza metafisica, limitandola alla dimensione della Ragione Divina Demiurgica. Quando anche questa conoscenza viene abbandonata, il soggetto conoscente si aliena da ogni trascendenza e limita esclusivamente la sua cognizione alle possibilità della razionalità individuale e temporale. La diatriba filosofica che si è dispiegata fra Seicento e Ottocento, si è risolta nella critica, prima, e nella negazione, poi, dell’intellezione trascendente e dell’intuizione intellettuale connessa. Con Kant e poi con Hegel, questo risultato è stato definito chiaramente. Successivamente, nella filosofia profana dominante, che ha favorito lo sviluppo della modernità, ogni discorso metafisico o religioso è stato abbandonato, a favore della prassi conoscitiva fondata sulla sensazione.
[1] Platone, Repubblica, VI, 505a.
[2] Una tale conoscenza è analoga alla Parāvidyā del Vedanta, la “Conoscenza Suprema” attinente al Parabrahman, da distinguere dal Apara Brahman, o Brahman Saguna, principio analogo all’Ente Divino qualificato.
[3] Plotino, Enn. V, 5,6, 24-30.
[4] Enn. V, 5,6, 30-35.
[5] Platone, Repubblica, VI, 509c.
[6] Platone, Repubblica, VII, 532c.
[7] Ibidem, VII, 526e.
[tratto da: Viola, L.M.A., Sulla Via della Salute]
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