
Conoscenza tradizionale: Verità e Principio di Autorità
Ogni esposizione di contenuti metafisici tradizionali pone la questione del metodo, della forma e naturalmente delle fonti della certezza, del criterio di verità, del principio di autorità. Inoltre, apprestandosi a formulare i principi della metafisica tradizionale integrale e le loro applicazioni, si pone la questione dell’oggettività e quindi della totalità e onnicomprensività delle dottrine esposte.
Vervs e Veritas sono termini che indicano, se applicati all’operazione intellettuale, la conformità completa della conoscenza al suo oggetto o, meglio, l’identità essenziale del conoscente e del conosciuto. Le radici var- o ver- indicano il chiarore, la chiarezza, la limpidezza, la desinenza –vs indica la potenza dell’vr, cioè la capacità di “ustionare”, “ignificare”, quindi, in senso metafisico, il potere proprio dell’essenza spirituale, della causa formatrice. Perciò vervs è l’essere evidente, senza oscurità o limitazioni, l’essenza dell’ente, mentre veritas è “lo splendore dell’essenza”, è l’atto effusivo del vervs, per il quale l’essenza dell’ente conosciuto si rende presente all’essere del conoscente. Per mezzo della statuizione della veritas nell’intelletto, si produce la perfetta unione del conoscente e del conosciuto nell’Essere.
Vervs e veritas sono termini analoghi ai greci alethes e aletheia, i quali esprimono bene uno stato di assenza di oscurità. Infatti la “a” privativa, posta di fronte a lethe e a letheia, ossia a ciò che indica rispettivamente il “velo”, il diaframma, l’oblio, e l’effetto di tale velo, il velamento, l’oscurità, la malia, specifica lo stato di ciò che è privo di tali impedimenti e riguarda la natura dell’essere nudo, l’essenza della cosa. Per cui la composizione Alethes Nous indica lo stato di assenza di oblio, di limitazione e velamento, del Nous-Intellectvs, il quale coglie la nuda evidenza dell’essenza “svelata” senza mediazioni o riflessioni. Questo coglimento costituisce la Sapientia Divina nell’Intelletto che accoglie la Luce dell’Essere Vero, Apollo, l’evidenza della Diana Nuda, la Veritas Divina, splendore del Vervs.
Alethes è lo stato dell’Essere dell’Intelletto Divino nel quale non esiste alterità fra la conoscenza e il conosciuto, fra l’essenza dell’oggetto e l’essente, l’aletheia invece indica la Luce emanata dall’Essere Divino nell’Intelletto. In senso metafisico, dunque, è vero ciò che è l’essere dell’ente, perciò il vero attiene a ciò che è eminentemente reale, a ciò che dell’ente è immutabile, non cangiante e, dunque, sempre identico a se stesso. Il Vero per Eccellenza è perciò l’Essere Puro, assolutamente indeterminato e non costituito, mentre l’Ente, l’Essere Intellegibile, costituisce l’evidenza determinata dell’Essere, nel quale l’Essere conosce Se Stesso come Essere autoevidente unitario e privo di alterità, Apollon.
L’Intelletto è della stessa natura dell’Essere Intelligibile, esso contempla in modo permanente e immutabile l’Idea dell’Essere Puro, quindi il suo essere è coessenziale ai principi eterni della manifestazione, i principi universali oggettivi, i quali sono colti dall’Intelletto in Lui medesimo, attraverso la conoscenza di Sé. Il coglimento delle essenze avviene per intuizione intellettuale, l’illuminazione ideale originaria del vervs-alethes che si compie nello stato privo di ogni lethe, la quale produce la episteme, in cui non sussiste alcuna alterazione soggettiva relativa all’individuo.
A differenza dell’episteme, che è scienza pura della natura intelligibile degli enti, la doxa-opinio è la conoscenza della natura sensibile degli enti, la quale non porta mai sull’essere, sul vero, ma si limita a recepire gli accidenti dell’esistenza, perciò, pur non essendo totale ignoranza, non è nemmeno conoscenza vera, è un misto di conoscenza-ignoranza, nella quale tende a predominare l’ignoranza quanto più la doxa si adegua alla materia o al non essere, mentre tende a dominare la conoscenza quanto più la doxa si eleva all’Essere, senza poterlo però mai raggiungere. La doxa-opinio è sempre qualcosa di teoreticamente negativo, non è ciò che esplicita il vero, ma, al meglio, tratta del verosimile, essa è sempre apparenza di verità, anche quando si riferisce ai principi, in quanto è espressione del soggetto finito e illusorio, perciò la doxa è illusoria quanto il sensibile-divenire. Qualsiasi doxa-opinio relativa alla sfera intellegibile dell’Essere risulta “errata”, è un’illusione derivata da un intelletto ebbro di sensibilità. L’opinione fonda sempre sulla percezione sensibile, perciò tratta di cose che sono e non sono, cose che appaiono, perciò non è una conoscenza vera, ma una falsa conoscenza, la conoscenza apparente dei molti, delle ombre, dei riflessi effimeri dell’Essere. La doxa deve essere considerata quindi come un grado di conoscenza relativo, ma, in definitiva, una falsa conoscenza, perché la conoscenza vera attiene solo all’Essere:
Come già all’inizio avevamo concordato, il sapere di primo grado lo chiameremo noesis, quello di secondo dianoia – cioè conoscenza mediana – , quello di terzo credenza (pistis) e quello di quarto congettura (eikasia): di queste, le ultime due forme le chiameremo opinione (doxa) e le prime due scienza (episteme). Inoltre, siamo anche d’accordo sul fatto che l’opinione ha per oggetto il mondo del divenire e la scienza il mondo dell’essere, talché, come questi due mondi stanno fra di loro, così la scienza sta all’opinione; e come la scienza sta all’opinione così la intellezione sta alla credenza e la conoscenza mediana alla congettura[1].
I gradi dell’esperienza sensibile sono relativi ai soggetti individuali che li sperimentano, perciò sono apparentemente veri se esaminati dalla sfera dell’esperienza, ma completamente falsi se esaminati dalla sfera dell’Essere, dalla metaesperienza. L’intelletto soggetto alla sensibilità giace nella “pianura dell’oblio”, allorché, esiliato dalla “pianura della verità”, diviene preda dell’opinione e dell’irrazionale; l’anima, priva dell’intelletto in atto, sprofondata nella sede dell’oblio, è affamata e assetata, perché è alienata dal nutrimento divino eterno, che è la Luce emanata dall’Essere Vero, di cui essa fruiva, grazie all’intelletto, nell’unità con Esso, sul piano dell’Intelligibile. La Luce Divina è la Veritas che ricolma la natura dell’anima, nella pianura dell’oblio l’anima accoglie l’oscurità della materia e perciò patisce il sonno della corporeità e l’ebbrezza ottundente che ne deriva.
Il processo di riattuazione dell’intelletto prende origine dall’atto che il sophos svolge nei confronti dell’intelletto dello a-sophos, un atto iniziatico che dà il via alla reazione che attualizza il principio egemonico dell’anima. Attraverso il metodo ironico, il sophos mette in luce l’illusione della doxa e l’ignoranza relativa che ad essa si associa, la falsità della conoscenza sensibile e il condizionamento che da essa subisce l’anima e le passioni che le induce. Così viene messo a nudo il soggetto essenziale l’egemonikón, l’animvs, il vero essere del soggetto, il quale, riconoscendo l’ignoranza da cui è afflitto, prende atto di non sapere e perciò, con un primo moto di conversione, avvia l’in-ire, l’iniziazione, l’andare all’interno di sé, il rientro in se stesso, nell’Essere: è il principio dell’en-stasis. Per liberarsi completamente dalla soggezione all’oblio-malia, l’animo deve poi sviluppare la dialettica maieutica, ascensiva e catartica, articolando il ragionamento causale che elimina ogni dipendenza dal sensibile e produce una progressiva purificazione dal soggetto umano, condizionato e relativo:
… bello diventa l’impegno su queste cose, credo, quando si faccia uso dell’arte dialettica e con essa, prendendo un’anima adatta, si piantino e si seminino discorsi con conoscenza, che siano capaci di venire in soccorso a sé e a chi li ha piantati, che non restino privi di frutto, ma portino seme, dal quale nascano anche in altri uomini altri discorsi, che siano capaci di rendere questo seme immortale e facciano felice chi lo possiede, nella misura più grande che all’uomo sia possibile[2].
Questo processo maieutico di estrazione dell’intelletto dalla vita sensibile, avviene tramite la guida dell’alethes logos, del discorso vero del sophos autorevole. Fino a quando la dialettica catartica non ha portato l’anima al completo isolamento, concentrando il processo discorsivo sull’Essere, non è possibile che essa attui l’ellampsis, l’illuminazione, il fiat lvx intellettuale, che costituisce l’accesso all’Essere Intelligibile, l’iniziazione al mondo divino. Questo è il processo illuminativo descritto da Platone in sintesi nella lettera VII, un processo che conduce l’anima alla “pianura della verità”, al coglimento diretto delle essenze ideali. La disciplina dialogico-dialettica catartica ascensiva porta l’anima fino a un punto in cui:
… come luce che si accende dallo scoccare di una scintilla essa nasce [la conoscenza della verità] dall’anima [è il passare dalla potenza all’atto dell’intelletto attivo nell’anima, è il fiat lvx iniziatico] e da se stessa si alimenta [riferimento all’autarchia e all’indelebilità di questo stato d’essere[3].
Pervenire al dominio intelligibile dell’Essere non è però che la prima tappa della via che conduce alla perfezione della noesis-gnosis. La seconda tappa della dialettica, permette all’anima di salire di grado in grado nella sfera intelligibile, fino al suo culmine, nel quale si produce la Gnōsis Divina completa. Oltre a questo risultato vi è solo il compimento della perfetta Hen-stasis, presenza su Presenza, solo su Solo, centro su Centro, Identità Suprema ed Epignosis. Raggiunta la vetta dell’Intelligibile, nell’Apex Mentis, nel Nous Anthous, si ricompone la triade noetica nell’Unità Divina Apollinea. Questa è la pianura di aletheia, il prato divino, nel quale l’anima riattinge il nutrimento eterno, l’ambrosia. In questa vetta ontologica si trova la Veritas in sé, l’Aletheia principiale, la cui Luce illumina tutto il Luogo Iperuranio, rimuovendo da esso ogni residuo di oscurità, di qualsiasi ordine e grado. Innalzandosi ulteriormente, il fiore dell’anima, psyche anthous, viene fatto coincidere col fiore dell’Uno, Hen anthous, così si attua la perfetta Hen-stasis, stazione nell’Uno, Identità Suprema.
Solo chi ha riattualizzato l’intelletto nella Verità Divina dispone di una conoscenza immediata e certa a priori, dell’intuizione diretta dei principi universali. Colui che contempla in modo intellettivo dispone di episteme, della conoscenza vera del principio di ogni scienza, perciò è padrone di ogni enunciazione e di ogni dimostrazione conforme a verità:
Poiché degli abiti razionali con i quali cogliamo la verità alcuni sono sempre veri, mentre altri ammettono il falso, come l’opinione e il calcolo, mentre la conoscenza scientifica e l’intuizione sono sempre veri, e poiché nessun altro genere di conoscenza è più esatto di quella scientifica tranne che l’intuizione, e d’altra parte i principi sono più noti delle dimostrazioni, e poiché ogni conoscenza scientifica si costruisce argomentativamente, non vi può essere conoscenza scientifica dei principi, e poiché non vi può essere nulla di più vero della conoscenza scientifica tranne che l’intuizione, l’intuizione deve avere per oggetto i principi. Ciò risulta nell’indagine non solo a chi fa queste considerazioni, ma anche dal fatto che il principio della dimostrazione non è una dimostrazione; di conseguenza principio della conoscenza scientifica non è la conoscenza scientifica. Allora, se non abbiamo alcun altro genere di conoscenza vera oltre alla scienza, l’intuizione sarà principio della scienza. L’intuizione allora può essere considerata principio del principio, mentre la scienza nel suo complesso sta nello stesso rapporto con la totalità delle cose che ha per oggetto[4].
Aristotele limita il processo induttivo del sillogismo a quegli abiti razionali che ammettono il falso, l’opinione e il calcolo, mentre definisce l’intuizione intellettuale come l’unico criterio di verità su cui fonda ogni vera scienza. La vera scienza si afferma per assiomi, ossia per proposizioni vere date dalla conoscenza intuitiva, tali assiomi sono le condizioni incondizionate, i principi a priori di ogni enunciazione o dimostrazione conformi a verità. Se a capo del sillogismo non sussistono tali proposizioni di verità incondizionata, ossia, se le premesse del sillogismo sono solo probabili, e dunque relativamente false, perché fondate sulla doxa e non sull’episteme, il sillogismo sarà falso. Aristotele chiama quest’ultimo “sillogismo dialettico”, la cui forma peggiore è il “sillogismo eristico”, che non è fondato nemmeno sull’opinione probabile, ma su premesse del tutto false che conducono a sillogismi apparenti e del tutto erronei, a paralogismi.
Vi è un dominio dell’articolazione logica che non è fondato sulla conoscenza intellettiva, che non è mythos, aenigma, mantike, ecc., ma è riduzione del logos naturale a se stesso, è questo il caso della retorica naturale, della sofistica, della eristica. In questo piano è assente l’aletheia, è il luogo orizzontale dell’oblio in cui il logos non aspira mai verticalmente al Logos Alethes e la retorica mira a formulare sillogismi dialettici. La sofistica tende ad utilizzare il sillogismo dialettico o eristico a seconda dello scopo, talora per agitare l’opinione o, talaltra, per attivare l’immaginazione sensibile. L’eristica è basata sul sillogismo eristico, il quale non è che lo sviluppo dell’argomentazione falsa che agita le facoltà irrazionali e sentimentali dell’anima, cercando di persuadere senza alcun fondamento di verità.
Nel piano della doxa-opinio non è presente la verità, non vi è alcuna trascendenza dei contrari, degli opposti relativi nell’unità sintetica, esiste un tentativo ingannevole di mescolare i contrari-contradditori utilizzando artifizi dialettici non veritieri, perciò nel dominio dell’opinione trionfa la parola ambigua, la dialettica discorsiva illusoria, la ragione infatuata di se stessa, ma, una ragione lasciata a se stessa, priva di radicamento nella sua causa incondizionata, nell’intuizione diretta dei principi a priori, è una ragione soggetta all’inganno, all’illusione, alla fascinazione ammaliante. L’anima, e la sua facoltà riflessiva così obliata e ottusa, sono sempre lusingate dai sensi, a cui cedono gonfiandosi sempre più di una hybris-svperbia senza pari.
[1] Platone, Repubblica, VII 533e-534a.
[2] Platone, Fedro, 277a.
[3] Platone, Lettera VII, 341c-d.
[4] Aristotele, Analitici Secondi, Β19, 100 b 5-17.
(tratto da Viola, L.M.A., Sulla Via della Salute)
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