Il nostro discorso introduttivo sulla psyche potrebbe limitarsi a descrivere la sua natura spirituale, intelligibile ed eterna, ma deve insistere anche sulla sua immortalità, data l’estrema importanza di questo aspetto per lo sviluppo della prassi di liberazione e per stabilire il destino dell’anima al di là della fine del corpo. In rapporto a questo punto occorre precisare che cosa nell’anima sia soggetto al tempo e che cosa invece sfugga completamente ad esso. Tutto ciò ci porta anche a valutare se l’anima, di per se stessa, preesista alla costituzione dell’uomo corporale e se, dopo la sua scomposizione permanga in qualche forma. A partire dalla dimostrazione della natura divina e immateriale dell’anima, e dalla descrizione della sua destinazione finale, l’opera di Socrate acquista fondamenta metafisiche e una giustificazione trascendente. Forte di questi elementi egli può confutare ogni argomentazione proveniente dai sofisti, dagli edonisti e dai materialisti che, al suo tempo, come del resto ancora oggi, sviavano l’uomo, ovvero l’anima, dal suo vero bene e perciò dalla via della sua salute autentica.

Se l’anima ha una natura spirituale e divina non può andare soggetta alla corruzione e alla morte, perciò per essa vivere soggetta ad un corpo mortale, materiale e corruttibile, è vivere contro natura, in quanto un ente immortale, che si sottomette a ciò che è destinato a morire, non esercita l’attività sua propria. Nella sua essenza l’anima è incorruttibile, dunque è libera da tutte le alterazioni che provengono dall’impermanenza e dalla corruttibilità della corporeità. Affinché l’anima possa esercitare la sua attività liberamente deve essere presente nel corpo in modo puro, senza alcuna mescolanza contaminante col corpo, se non è libera dal corpo deve purificarsi, tramite il progressivo distacco e la separazione da esso. Come vedremo più avanti, la purificazione-separazione dal corpo si identifica con la psyches therapeia, attraverso la quale l’anima si prende cura del suo essere immortale e si impone, sovrana, ad ogni mortalità, rimanendo imperturbabile e beata in ogni contingenza corruttibile, nella quale svolge la funzione provvidenziale teofanica a cui è destinata per necessità divina.

Ora, solo a partire dal consistere in un’anima immortale la condotta filosofico-religiosa acquista senso, altrimenti è inevitabile la soggezione alla contingenza della sensazione mortale e alla ricerca del piacere corporale, elementi a cui tutti gli insipienti, che non conoscono se stessi, si dedicano. Ma l’anima è immateriale e le prove che abbiamo sommariamente esposto a tale proposito possono essere accresciute dalle famose prove dell’immortalità dell’anima che Platone fornisce in diverse parti della sua opera, in particolare nel Fedone.

La prima prova riguarda la reminescenza, dimostrata anche nel Menone, per la quale si evidenzia che l’anima conosce cose che non ha avuto modo di imparare nell’esperienza terrena di una singola esistenza, perciò essa deve possedere una certa conoscenza anche prima dell’associazione al singolo corpo e inoltre deve avere una natura immortale, non soggetta alla corruzione corporale.

In seconda istanza l’anima è capace di conoscere cose immutabili ed eterne, quindi deve avere una natura a loro affine, altrimenti queste cose rimarrebbero al di fuori della sua portata, perciò, se essa può cogliere cose immutabili ed eterne, anch’essa deve essere immutabile ed eterna. Dunque l’anima, in sommo grado, è simile a ciò che è divino, immortale, intelligibile, uniforme, indissolubile, sempre identico a se medesimo, mentre il corpo è in sommo grado simile a ciò che è umano, mortale, sensibile, multiforme, dissolubile e mai identico a se medesimo[1].

La terza prova del Fedone è connessa alla dottrina dell’identità della natura dell’anima con l’idea di vita. In quanto principio di vita l’anima non può accogliere in nessun modo il suo contrario, la morte, perciò, in realtà, essa è una sostanza che ha vita senza termine, mentre il corpo invece è una sostanza che ha nascita, perciò è soggetto a corruzione e morte, quindi quando il corpo si dissolve l’anima si separa da esso e non subisce la corruzione.

Un’altra prova è presente nel Fedro, nel quale l’anima risulta essere principio di movimento, attraverso una dimostrazione stringente Socrate evidenzia che ciò che è sempre in movimento è immortale e dunque, dato che l’anima è principio movente e sempre in movimento, di necessità è ingenerata e immortale[2].

Si può dire ancora che l’anima è divinamente “cogenerata”, synghenes al Divino, perciò non ha una nascita temporale, dunque non è soggetta alla generazione corruttibile, in quanto è costituita “nel” Demiurgo per quanto riguarda la sua sostanza, e “dal” Demiurgo, immediatamente, per quanto riguarda la sua essenza. Il Demiurgo, in quanto Nous Ipostatico, fornisce la sostanza essenziale della psyche, il nous, quindi nel suo principio essenziale la psyche è divina, eterna e incorruttibile. Non si può dire che l’anima ha una “nascita”, perché ha solo una “generazione causale” nell’essere e perciò con la sua essenza permane nell’Essere, per tutta l’eternità, dunque, per preciso statuto divino, l’anima non è mai soggetta alla morte. In definitiva, l’essenza individuale del singolo uomo coincide con ciò che in esso vi è di eterno, divino, immortale, un elemento che non è solo sovrasensibile, ma è anche sovrapsichico, allo stesso modo non è solo sovracorporeo, ma è anche sovracosmico. Nel nous l’essere dell’uomo partecipa del mondo divino delle Idee, costituito nella sfera iperurania, fruisce della pura spiritualità della dimensione intelligibile, che per sua natura è incorruttibile ed eterna.

In questo modo Platone fonda metafisicamente l’essere, l’identità e la soggettività dell’uomo, inoltre descrive in maniera assai precisa quanto appartiene a ciò che nell’essere dell’anima sperimenta direttamente, da se stesso, l’Essere che è, solo che si raccolga in se stesso e si separi dalla sensibilità e dalla discorsività, per intuire direttamente tutto ciò che Platone ha esposto esteriormente nella sua dottrina, dopo aver dato luogo alla realizzazione metafisica di sé.

Alle dimostrazioni fondamentali dell’immortalità dell’anima, che costituiscono un caposaldo della tradizione platonica, è possibile aggiungere un’altra breve serie di prove ontologiche e logiche, oltreché operative, che dimostrano l’immortalità dell’anima.

Possiamo semplicemente affermare che ogni anima avente un carattere intelligente e razionale è immortale, perché si muove per se stessa e sempre in circolo, svolgendo il suo moto circolare compie perpetuamente l’atto del muoversi su se stessa, conchiuso in se stesso, senza perciò essere mai annientata.

Va detto poi che l’anima, nel suo intimo, è essere, perciò è sempre stabile, per la sua sostanza, nell’essere. Quindi, per questa sua natura essenziale l’anima non si modifica mai, perciò non smette mai di esistere, ne deriva immediatamente che, essendo l’anima, nella sua sostanza, perfettamente priva di passività, perché partecipa dell’essere, non può essere mai soggetta alla corruttibilità, in quanto solo ciò che è passivo è tale a causa della materia, la quale si rende soggetta a corruzione.

L’anima è altresì immortale perché domina la materia dando ad essa in primo luogo il movimento e poi formandola, non mescolandosi mai con essa, perciò l’anima non ha origine dai corpi, non ha parti e dunque non si dissolve con la materia, né con la scomposizione dei corpi, essendo il principio che presiede alla scomposizione. L’anima trascende ogni forma di mutamento dovendo essere il principio che governa il mutamento e il substrato materiale nel quale il mutamento si dispiega. Dunque l’anima, non avendo bisogno di alcun fondamento corporeo per operare nel corporeo e sul corporeo come suo principio formale, motore e finale, non perirà mai e non può essere turbata nella sua natura, ad un certo punto del tempo, dal mutamento degli elementi e dalla loro trasformazione dell’uno nell’altro.

L’essenza dell’anima è sempre completamente separata dalla materia ed è dunque in qualche modo sempre incorruttibile, sempre inalterabile e non ha alcuna possibilità di assumere in sé qualcosa di estraneo e ostile alla sua natura, tanto da esporla effettivamente all’affezione. L’anima è immortale anche perché è indivisibile e non assume in sé qualità divisibili e corporee. Infatti ciò che è divisibile non tocca mai ciò che è indivisibile, dunque l’anima non può essere mai distrutta perché è il principio che governa la distruzione e, in quanto tale, rimane indistruttibile. Si deve sempre affermare, dunque, che la forma separata dalla materia, sotto ogni aspetto, sia secondo la sua essenza che secondo le sue operazioni è sempre immortale, perciò, in quanto tale, l’anima permane sempre nel proprio essere e non si separa mai dalla propria forma. In quanto forma pura l’anima non è composta da materia e forma e dunque non è mai realmente mescolata in modo inseparabile dalla materia e non giace mai sottomessa alla materia nel suo essere proprio.

Vi è poi il fatto che l’anima di per se stessa si fruisce come essere e costantemente si rapporta a se stessa come essere, allo stesso tempo questo rapportarsi a se stessa come essere è, indirettamente, un rapportarsi all’essere in quanto Essere. Perciò l’Essere è la fonte, il fondamento, la sostanza inesauribile dell’essere dell’anima, del quale essa partecipa in modo determinato e al quale continuamente attinge per fondare la sua realtà. Quindi, laddove l’anima è essere, e partecipa dell’incorruttibilità eterna dell’Essere stesso, permane immortale e assolutamente immodificata. Da questo ultimo discorso deriva il fatto che l’anima, in se stessa, non possiede la potenza di non essere, non essendo altro che forma semplice sussistente, perfetta e integra nella propria essenza, con ciò contribuendo alla realizzazione della specie dell’essere vivente e dell’atto di costituzione della forma nella materia. L’anima non può cogliere in se stessa la potenza di non essere, dunque non potendo non essere permane sempre nell’essere e, in quanto tale, è incorruttibile e immortale.

L’anima stessa anche se è impegnata e coinvolta in tutte le sue funzioni ad extra, nell’esercizio di tutte le sue qualità operative, non può essere distrutta, pur perdendo dunque l’esistenza pura in atto, non può perdere l’essere suo proprio, perciò conserva eternamente la propria essenza nell’essere stesso assoluto, nel quale è una sola cosa con esso. Dato che l’essere ultimo dell’anima si risolve nell’Essere Divino, l’anima identifica la sua ultima realtà con l’Essere Integrale stesso, perciò gode di un’assoluta immortalità e manca di qualsiasi alterazione. Tutto ciò che “sopraggiunge” all’anima, al di là di questo suo essere permanente ed eterno, costituisce un’immanenza delle sue qualità essenziali nelle sue attività, è dunque un’operazione funzionale a produrre l’immanenza divina, secondo il modo provvidenziale, nell’ente determinato.

In questo discorso è bene chiarire la distinzione presente nell’anima fra essere, essenza ed esistenza. Il primo termine, “essere”, indica ciò per cui l’anima condivide l’essere stesso della Divinità, il secondo termine, “essenza”, indica ciò per cui l’anima si distingue da tale essere e riunisce le sue qualità determinate, infine il terzo termine, “esistenza”, indica ciò per cui queste qualità sono poste in atto e operano nell’ordine intelligibile, qualità che propriamente l’anima è chiamata ad esprimere secondo l’essenza per la quale è stata costituita, permanendo immodificata nell’essere. In ogni caso, l’anima risulta incorruttibile per ciascuno dei tre termini che in essa si risolvono. Anche se la sua esistenza ha relazione con il mutamento, l’anima non può mai andare soggetta al mutamento, perché ne costituisce il principio ordinante, legale ed efficiente.

Oltre a questi argomenti ontologici, e prettamente causali, possono essere addotti altri argomenti per mostrare l’immortalità dell’anima, esaminando le sue potenze. È possibile evidenziare come ciò che in essa costituisce l’attività eccellente, cioè l’intellezione, si elevi fino all’Essere stesso, permanendo in Esso e mostrando un’affinità precisa con la sua sostanza. Infatti, come abbiamo fatto presente, l’anima si alimenta esclusivamente di verità, di ciò che attiene all’immutabile e incorruttibile sostanza dell’Essere. Va detto, inoltre, che la virtù propria dell’anima non è divisibile, quindi non può essere una qualità corporea, perciò l’anima non può essere soggetta alla corruzione. Allo stesso modo, le specie, i concetti intelligibili e le qualità dell’essere, non possono essere ricevuti da alcun corpo, ma possono essere colti esclusivamente da ciò che è affine ad essi, dunque gli elementi che colgono tali cose nell’anima hanno un carattere immateriale e non sono soggetti alla corruzione della materia.

Un’altra serie di dimostrazioni può essere tratta da evidenze ben precise. Vi è il fatto che l’intelletto nell’anima ritorna in se stesso, allo stesso modo, quanto più l’intelletto è separato dal corpo, tanto più migliora la sua attività conoscitiva e dunque la sua virtù. Infatti l’intelletto si oppone al corpo e l’anima agisce liberamente nella misura in cui si separa dal corpo e perciò permane nell’essere. Va poi considerato lo sforzo che l’anima profonde al fine di costituirsi nell’essere, essa è tutta desiderosa della conoscenza, del vero e della permanenza in uno stato di quiete assolutamente immodificabile e incorruttibile. Nell’anima, una volta associata al corpo, vi è sempre una tendenza a superare ogni limite, a trascendere ogni finitudine, a liberarsi da ogni particolarità, eccellendo al di sopra di tutte le cose e misconoscendo la sottomissione al corpo. L’uomo stesso, in tutti i suoi modi, manifesta il desiderio più o meno distinto di trovarsi ad essere sempre presente, comunque di esistere in eterno, ciò deriva dall’attitudine propria del suo essere immortale. Anche nei suoi atti contingenti l’anima manifesta una partecipazione all’essere e all’incorruttibile, infatti l’anima desidera sempre la pienezza, la somma opulenza e un piacere perenne. Inoltre, anche colui che onora falsamente se stesso come il corpo, onora se stesso come un altro Dio e si attribuisce tutte le qualità dell’essere, l’eccellenza, la perfezione e l’inerranza, in modo inappropriato ma significativo, come moti deviati che procedono, in qualche modo, dall’alto della sua essenza.

[Tratto da Viola, L.M.A., Psyches Therapeia]

[1] Platone, Fedone, 80 a-b.

[2] Platone, Fedro, 246 a.

 

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