La formazione dialettica

 

L’anima è chiamata ad ascendere fino alla scienza integrale dell’Essere, perciò deve procedere nella paideia fino al punto in cui raggiunge la contemplazione immediata dell’Idea del Bene, ovvero della presenza del Bene nel mondo intelligibile, unificando il suo essere a quello del Sole spirituale eterno, il quale è, per l’intelletto e gli intelligibili, quello che è il sole visibile rispetto alla vista e ai visibili. Una volta raggiunto il vertice della contemplazione intellettuale, attraverso un atto di completa distinzione dalla contemplazione essenziale e determinata, l’anima si porta dal fiore dell’intelletto all’Uno in lei e procede ad estinguere ogni atto intellettivo finito, affinché sia colto, nella sua realtà integrale, il Bene. Ma essendo il Bene costituito al di sopra dell’Essenza, è dunque superiore ad essa in dignità e potenza, perciò non può essere colto da una contemplazione determinata che avviene secondo l’essenza dell’anima, ma solo col contemplare puro e infinito nel quale sussiste la trascendenza non duale del soggetto e dell’oggetto. Nello sviluppo della paideia, le discipline matematiche svolgono una funzione astrattativa che permette di sciogliere i vincoli dell’anima rispetto al corpo per metterla in condizione di trascendere ogni relazione con la sensibilità e il mondo temporale, ma questa astrazione non è sufficiente per accedere a ciò che trascende il dominio puramente intelligibile, occorre svincolarsi anche dall’Ente e dall’Essenza.

Al principio della loro conversione le anime si trovano nella stessa condizione degli uomini rinchiusi nella caverna, i quali, fin dalla loro comparsa in questo mondo, hanno le gambe e il collo rigidamente fissati con catene sul fondo della caverna verso il quale sono rivolti, in modo che non possano muoversi in alcun modo e possano guardare solo davanti a sé, senza avere alcuna possibilità di volgere la testa in altre direzioni, a causa delle catene che glielo impediscono[1]. Essi non si rendono conto che, dietro di loro, più lontano, arde un fuoco da cui proviene una luce, inoltre, fra il fuoco che irradia la luce e loro si trova una strada, lungo la quale è costruito un muricciolo, sotto il quale, dalla parte nascosta, vi sono degli uomini che portano con sé attrezzi di ogni genere, i quali sporgono al di sopra del muretto. Gli stessi uomini portano con sé anche delle statue e altre figure fabbricate in legno, pietra e in diversi altri modi, infine alcuni di questi portatori parlano, altri stanno in silenzio, mentre tutti insieme compiono questa processione lungo la strada dietro il muro, lasciando emergere oltre il muro solamente ciò che portano[2]. Gli uomini legati con catene al fondo della caverna rappresentano le anime fissate nei ceppi del corpo dai demoni titanici, i quali mantengono tutte le loro facoltà rigidamente rivolte verso il corpo, perciò, a causa dell’oblio subentrato con l’incorporazione, l’anima ha sempre e solo di fronte a sé il corpo e le sensazioni che da esso provengono, cioè il fondo della caverna e le ombre che su questo vengono proiettate, senza avere mai la minima consapevolezza di come stanno realmente le cose.

L’anima soggetta al corpo è abituata a considerare solo le ombre che si producono sul fondo della caverna, perciò l’unica relazione con le cose che essa ha è di tipo “umbratile”, ciò che essa coglie è solo un’immagine oscura di ciò che sta dietro di lei, la proiezione di ciò che emerge da dietro il muricciolo, la quale a sua volta produce un riflesso perché è illuminata dalla luce che si trova fuori dalla caverna, anche le voci dei portatori sono colte in maniera riflessa, riverberata e confusa[3]. Le anime soggette a questa condizione oscura patiscono la peggiore ignoranza e sono soggette alla più grande sofferenza, e la conversione e la risalita lungo la caverna costituiscono l’unica possibilità per farle riemergere da questa condizione disgraziata e risolvere la loro completa soggezione al male. La liberazione delle anime deve essere graduale, dapprima esse devono essere condotte ad una visione più semplice, costituita dall’oggettivazione delle ombre, poi esse possono acquisire la conoscenza delle immagini da cui derivano le ombre, ossia degli effetti dei riflessi degli uomini e delle altre cose che essi portano sull’acqua, poi le anime prossime a liberarsi possono procedere a conoscere le cose stesse, delle quali, fino a quel punto, hanno esperito solo ombre e riflessi. Rivedere nuovamente le cose per le anime equivale a vedere “… quelle realtà che sono nel Cielo e il Cielo stesso di notte, guardando la luce degli astri e della luna, invece che di giorno il sole e la luce del sole”[4]. Infine, liberate completamente dalla prigionia nella caverna, le anime possono giungere a vedere il sole e non più solo le sue immagini riflesse nelle acque o in un luogo esterno ad esso, ma il sole stesso, di per sé, nella sua sede propria, contemplandolo così come esso è in se stesso[5].

I passaggi descritti nel Repubblica, relativi alla conversione e all’ascesa dell’anima attraverso i diversi elementi, equivalgono ad un’ascesa nei diversi gradi della conoscenza, fino a raggiungere la conoscenza massima, per poi pervenire alla perfezione della conoscenza suprema. Perciò è bene sapere come possa essere attinto il fine della liberazione dal male e dalla malia-illusione che produce, quel male che ha sopraffatto le anime nella loro discesa e le ha costrette alla più completa sofferenza.

 

«Io allora continuai in questi termini: «Considera, pertanto, come dicevamo, che due sono le realtà e una domina sul genere e sul mondo intelligibile, l’altra sul visibile, per evitare di dire “sul cielo” e non lasciarti credere che io voglia fare un gioco di parole sul vocabolo. Hai ben colto queste due forme, il visibile e l’intelligibile?».

«Le ho colte».

«Prendi una linea divisa in due parti disuguali e dividila ulteriormente sia in una parte che nell’altra – ovvero nel genere visibile e in quello intelligibile – secondo la stessa proporzione. In seguito, se ti atterrai al criterio della rispettiva chiarezza e oscurità, una delle parti del genere visibile sarà costituita dalle immagini; e per immagini intendo in primo luogo le ombre, poi i riflessi – sia quelli sull’acqua, che quelli sulle superfici solide, lisce e brillanti – e infine tutti gli altri fenomeni del genere. Mi segui?».

«Ti seguo».

«Per quanto concerne l’altra sezione, ponivi i modelli di queste immagini, ossia gli animali che ci circondano, ogni tipo di vegetale, nonché i prodotti dell’uomo».

«Va bene, la riserverò a queste cose».

«E non saresti tentato di dire – suggerii – che questa parte sia divisa in vero e in falso e che l’immagine sta al modello, come l’oggetto dell’opinione sta all’oggetto della conoscenza?».

«Si che lo dico», affermò[6].

 

Dunque, si tratta di distinguere il livello ontologico di realtà e di conformazione all’essere e al vero dei diversi piani della manifestazione, coi quali l’anima interagisce o è da essi irretita e sottomessa. Nel dialogo viene svolta una descrizione attraverso l’uso dell’analogia e della corrispondenza, le quali permettono di distinguere due piani dell’esistenza, l’uno, definito “visibile”, corrisponde al dominio sensibile, l’altro, che si può dire “invisibile”, corrisponde al dominio intelligibile. I due piani vengono a loro volta distinti in due parti, nel primo campo, quello del sensibile, le due parti sono costituite dalle immagini delle cose e dai modelli di queste immagini, animali, vegetali, uomini e così via. Questa prima distinzione serve per introdurre la polarità che esiste fra ciò che è falso in rapporto all’oggetto reale, dunque l’immagine, e ciò che è vero, ciò che corrisponde all’oggetto reale, il modello che è causa della proiezione dell’immagine, poi si correla l’opinione all’immagine, e dunque anche al falso, e la conoscenza al vero, e dunque al modello. La distinzione in due parti può essere compiuta anche nel dominio intelligibile.

 

«Considera, dal canto suo, anche la sezione dell’intelligibile, in quale modo si debba dividere».

«In che modo?».

«In questo: una parte di essa, l’anima è costretta a indagarla servendosi delle cose di prima come delle immagini, e procedendo per via di postulato non verso il principio, ma verso le conclusioni; l’altra parte, invece – poggiante su un principio che non è più solo un postulato – l’anima la indaga procedendo da postulati e senza immagini riferentesi all’altra sezione, seguendo un procedimento con le Idee e per mezzo delle Idee».

«Quest’ultimo punto – confessò – non l’ho ben compreso»[7].

 

In questo passaggio si evidenzia il superamento della dicotomia e della relazione dell’anima rispetto al sensibile. Se l’anima si mette ad indagare ciò che è invisibile e puramente intelligibile, in prima istanza essa procede in un dominio che trascende immediatamente la dimensione degli oggetti visibili, però in questo dominio essa si serve ancora, in qualche modo, anche se indirettamente, delle cose precedenti, come se fossero immagini su cui appoggiare il suo procedimento indagativo e conoscitivo, il quale, a questo punto, opera per via di postulati, non verso il principio stesso delle cose, ma verso le sole conclusioni. Nel passaggio conoscitivo superiore, questo tipo di procedura è superato dall’operare non più su postulati per giungere a conclusioni, ma agendo con le Idee, senza immagini, perciò l’anima segue un procedimento che le permette di trascendere anche i postulati, o le ipostasi, aventi entrambi un carattere relativo connesso ancora al sensibile, e, per mezzo delle Idee, può giungere fino ai principi dell’Intelligibile e al loro Principio Supremo. Per chiarire meglio quanto detto, Socrate approfondisce la descrizione del metodo che riguarda la sezione inferiore dell’intelligibile e si esprime in questo modo:

«E allora – dissi – incominciamo di bel nuovo, perché premettendo queste considerazioni certo il problema ti risulterà più comprensibile. Non puoi ignorare, io credo, che chi si occupa di geometria, di matematica e di scienze affini dà per scontato il pari e il dispari, le figure e i tre tipi di angoli nonché altri elementi della medesima natura, variabili da disciplina a disciplina».

«Queste cose, dunque, gli scienziati le fissano come ipotesi, dopo di che non ritengono più necessario rimetterle in discussione né fra sé né con altri, appunto perché assolutamente evidenti; invece, prendono le mosse da questi principi e, passando a trattare quel che resta, con la massima coerenza finiscono per arrivare a quella verità che s’erano prefissi di raggiungere».

«Questo lo so bene», disse.

«E allora sai anche che essi usano modelli visibili e costruiscono su di essi delle dimostrazioni; ma nel ragionamento non hanno per oggetto tali realtà, bensì le realtà a cui queste assomigliano, sicché quando ragionano hanno di mira il quadrato in quanto tale, la diagonale in quanto tale, e non quel quadrato, quella diagonale o quella data figura che vanno disegnando. Delle figure che compongono e tracciano, le quali corrispondono alle ombre e alle immagini che si formano sull’acqua, si servono come di immagini per cercare di vedere le realtà in sé che non si possono cogliere altrimenti che con l’intelligenza».

«Dici il vero», convenne.

«Ora quest’ultimo genere di realtà l’ho chiamato intelligibile; e tuttavia l’anima nella ricerca di esso è costretta a ricorrere a ipotesi, non già per risalire ai principi – dato che la ricerca non può andare oltre l’ipotesi –, ma servendosi come immagini di quelle realtà che corrispondono alle copie della parte più bassa della linea. Resta il fatto, comunque, che in confronto con queste copie, quelle realtà sono ritenute e valutate come oggetti evidenti».

«Capisco – disse – che tu fai riferimento alla geometria e alle arti affini ad essa»[8].

 

Perciò, coloro i quali, nel complesso, hanno raggiunto la disciplina della matematica, nelle sue varie articolazioni, e si sono portati al limite inferiore della dimensione puramente intelligibile, si servono ancora di elementi inferiori, perché si muovono fra ipotesi che essi pongono a priori e che non ritengono più, in alcun modo, di approfondire, né di fondare nell’essere, né di rendere ragione del loro essere in alcun modo, perché sono ritenute da loro assolutamente evidenti. Poi questi “matematici” trattano, a partire da queste ipotesi, di argomentazioni e dimostrazioni che presumono avere il carattere di scienza, fino a raggiungere quanto si sono prefissi. In ogni caso essi, nel loro ragionamento non hanno come scopo conoscere la ragione ultima delle cose a cui si applicano, perciò si servono ancora di immagini in rapporto a ciò che sta al di sopra di esse per cercare di vedere ciò che non si può cogliere altrimenti che con l’intelligenza. Quindi essi rimangono confinati, per via analogica, a un dominio che corrisponde a quello delle immagini nel sensibile, quindi anche a livello intelligibile vi è qualcosa che può essere considerato immagine di qualcos’altro a cui rinvia. Il dominio delle “immagini intelligibili” ha propriamente un carattere psichico-logico, si tratta della dimensione intermedia delle forme razionali immaginali aventi un carattere simbolico, che è separata dalla materia, ma non è puramente astratta da essa, perché con essa confina, perciò ha un carattere mediano rispetto a ciò che è puramente intelligibile. Dunque l’anima che opera nel dominio matematico rimane ancora relegata ad una dimensione inferiore della conoscenza del reale, nel suo dispiegarsi essa ricorre ancora ad ipotesi e quindi è come se si servisse ancora di immagini, come accade per coloro i quali rimangono relegati alla parte più bassa della linea, cioè alle immagini riflesse delle cose corporee. In ogni caso, rispetto ai riflessi sensibili i riflessi intelligibili vengono valutati come “oggetti di per sé evidenti”, questo costituisce il limite della dimensione conoscitiva relativa alla scienza matematica astratta, quindi distinta da qualsiasi relazione con elementi quantitativi, la scienza costitutiva dell’ordine del mondo e fondante l’armonia dell’intera manifestazione universale, una scienza tradizionale che va distinta dalla “scienza matematica” che si è costituita nella modernità. Anche se la scienza matematica filosofica ha un carattere elevato, occorre trascenderla per giungere alle realtà intese in se stesse, le quali hanno un carattere superiore alle ipotesi, alle forme razionali immaginali e a quanto altro derivato da esse:

 

«Sappi, dunque, che io considero l’altra parte dell’intelligibile, quella che il ragionamento stesso attinge con la potenza della dialettica, non trasformando i postulati in principi, ma procedendo dai postulati per quello che essi sono, ossia dei punti di appoggio e di partenza, per arrivare a ciò che non è più solo un postulato [anypotheton], al Principio di tutto. Raggiunto questo e attenendosi a ciò che ad esso consegue, il ragionamento procede verso il termine e, senza far uso in nessun modo di alcuna cosa sensibile, ma solo delle Idee stesse con se stesse e per se stesse, termina nelle Idee».

«Capisco – disse – ma non quanto basta. Mi sembra, infatti, che tu vada disegnando un’operazione complicata, con la quale vuoi chiarire che quella parte dell’essere e dell’intelligibile che è colta dalla scienza dialettica è di gran lunga più evidente di quella colta dalle altre cosiddette arti per le quali le ipotesi fungono da principi».

«In effetti, per quanto coloro che scrutano l’essere per mezzo di queste arti siano tenuti a coglierlo tramite l’intelligenza e non con i sensi, tuttavia, poiché lo contemplano non risalendo al suo principio ma a partire dalle ipotesi, ti sembra che costoro non abbiano piena conoscenza di tali oggetti, per quanto, per via della loro connessione con i principi, essi pure siano degli intelligibili. E mi pare che la condizione propria dei geometri, e quella di coloro che sono simili ai geometri, tu la chiami dianoia e non intelletto, come se la dianoia fosse un alcunché di intermedio fra l’opinione e l’intelletto».

«Hai compreso perfettamente – dissi –. E ora ammetti che ai quattro segmenti della linea corrispondano le seguenti quattro funzioni dell’anima: l’intellezione [noesis] al più elevato, la discorsività razionale [dianoia] a quello che segue, la credenza [pistis] al terzo segmento, e al quarto la congettura [eikasia].

«A questo punto, ordina queste facoltà in modo logico, tenendo conto che tanto più gli oggetti di queste forme di conoscenza hanno parte della verità, tanto più queste medesime conoscenze partecipano dell’evidenza».

«Capisco – disse – e sono d’accordo a ordinarle come tu dici»[9].

 

Dunque, esiste un procedimento che consente di staccare completamente la conoscenza da qualsiasi relazione con il sensibile, e, procedendo dai postulati, dalle ipotesi, tenendoli solo come punti di appoggio, si può giungere a ciò che non è più un postulato o un’ipotesi, al Principio di tutto, che è rigorosamente anipotetico. Questo risultato si ottiene solo se non si fa uso, in nessun modo, di alcuna cosa sensibile o di ciò che ha relazione con essa, il procedimento dialettico deve essere svolto a partire dall’Idea e, passando attraverso le Idee, deve terminare nelle Idee, in particolare nell’Idea delle Idee, nell’Idea del Bene. Questa operazione può essere svolta esclusivamente attraverso la dialettica, la quale è, di gran lunga, la disciplina che conduce alla vera scienza, all’evidenza diretta dell’essere delle cose, un’evidenza a cui nessuna delle altre “scienze” e degli altri procedimenti può giungere.

 

 

[1]  Platone, Repubblica, VII, 115a-b.

[2]  Ibidem, VII, 514b-515a.

[3]  Ibidem, VII, 515a-c.

[4]  Ibidem, VII, 516a-b.

[5]  Ibidem, VII, 516b.

[6]  Ibidem, VI, 509 d-510b.

[7]  Ibidem, VI, 510 b-510c.

[8]  Ibidem, VII, 510c-511b.

[9]  Ibidem, VI, 511b-511e.

 

(tratto da Viola, L.M.A., Psyches Therapeia, vol. II)

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