Vi sono precisi motivi per cui si dice che il modo di procedere dell’autentica filosofia tradizionale è riassumibile nella sentenza: akolouthein to theo, la quale significa “seguire il Dio”, obbedire al Dio, alla quale si associa strettamente la therapeia to theo, l’aver cura di Dio, osservare il servizio di culto di Dio, il tutto in funzione della homoiosis theo, ovvero della “assimilazione” a Dio. Pertanto il filosofo tradizionale è essenzialmente e integralmente religioso e ha come unico scopo la completa estinzione della sua volontà, e anche del suo intelletto, nella Volontà e nell’Intelletto di Dio, per fare una sola cosa con Lui, perciò egli mette ogni impegno per trascendere ed eliminare qualsiasi cosa provenga dalla sua individualità, al fine di risolverla completamente nella Personalità Divina. Per cui il filosofo ha cura che ogni suo pensiero, ogni sua parola e ogni sua azione non provengano da lui, ma, al contrario siano sempre da Dio e secondo Dio, rendendo immanente in questi atti la Misura dell’Essere Divino, affinché niente di mortale, transeunte e diveniente, rimanga nell’espressione della sua esistenza nel mondo.

Philosophia è dunque, quantomeno, homoiosis theo, sotto ogni profilo, fin dal principio della sua costituzione pitagorica e nello sviluppo integrale della tradizione, la filosofia, in ciascuna scuola, ha perseguito a suo modo, e secondo diversi gradi, questo scopo, talora però in modo riduttivo. Ad esempio Epitteto, a cavallo fra il I e il II sec. d.C., diceva ancora:

 

“I filosofi dicono che si deve cominciare con l’imparare questo: “Che esiste un Dio, che egli esercita la sua provvidenza sull’universo e che non solo non è possibile nascondere le proprie azioni, ma gli stessi pensieri e desideri. Poi si deve cercare che cosa sono gli Dei. Dopo avere trovato chi è colui che vuole loro piacere o obbedire deve necessariamente sforzarsi di assomigliare loro quanto possibile. Se la divinità è fedele, lui pure deve essere fedele; se è libera, lui pure deve esserlo; e così se è benefica, e si ha l’anima grande. Di conseguenza egli deve ormai fare ogni cosa e dire ogni cosa da imitatore di Dio”[1]

 

In sostanza, il vero filosofo è colui che non deve:

 

“… desidera [re] altro che ciò che Dio desidera. E chi ti si opporrà, chi ti costringerà? Neppure Zeus. Quando hai un tale capo di cui condividi la volontà e il desiderio, perché temi ancora di essere infelice? Accorda il tuo desiderio alla ricchezza e la tua avversione alla povertà: sarai infelice e cadrai; alla salute, conoscerai la prova; alle alte funzioni, agli onori, alla patria, agli amici, ai figli, in una parola a cose che non dipendono dalla nostra scelta morale. Accordali invece a Zeus, agli altri Dei, affidali a loro ché li governino e se ne facciano carico: e come mai le cose si volgeranno ancora contro di te?”[2]

 

Dunque la filosofia è una disciplina che ha un carattere strettamente religioso e soteriologico, se però essa non conduce rigorosamente l’anima al di fuori della sua pena, in modo certo e infallibile, non ha alcun valore. Quindi lo sterile verbalismo, la retorica, le astrazioni concettuali o quant’altro di simile, attengono solo alla caricatura della filosofia, assai diffusa oggi, una figura che, sostanzialmente non ha niente a che vedere con l’autentica filosofia, che è una via integrale di vita, di divinizzazione, di completa liberazione dal male. Perciò “C’è chi resta prigioniero dell’espressione, chi dei ragionamenti complicati, chi delle espressioni che cambiano di valore, chi di qualche altro orpello dello stesso genere; e vi si fermano imputridendo come dietro a delle sirene”[3].

Così come non si improvvisa l’essere filosofo, e non si attribuisce la pratica filosofica a chiunque, tantomeno ci si propone con leggerezza come filosofi o come “maestri” o “consulenti di filosofia”:

 

Coloro che hanno imparato i principi della filosofia, ma non li hanno trasformati in sostanza della loro vita, non vedono l’ora di potersi mettere in mostra, riversandoli sugli altri. Ma, per la verità, si dimostra di essere veramente filosofi non già commentando gli scritti di Crisippo oppure aprendo una scuola, ma con la condotta della propria vita. Per poter aprire una scuola occorre avere qualità specifiche e doti peculiari. Occorre che Dio stesso ci suggerisca di occupare questo posto, come lo suggerì a Socrate, a Diogene e a Zenone. Non potrà mai dire di essere filosofo chi nei suoi desideri, nei suoi impulsi e nelle sue rappresentazioni non ha saputo cambiare rispetto a quello che era prima. Solo questo è l’elemento che discrimina chi è filosofo e chi no.

Quelli che hanno ricevuto solamente e semplicemente i principi della filosofia, vogliono subito vomitarli, come fanno i malati di stomaco col cibo. Comincia a digerirli, poi non vomitarli in tal modo; se no, una cosa pulita diventa davvero un vomito e una cosa non edibile. Ma, una volta assimilati, mostraci, di conseguenza, qualche mutamento nella parte dominante della tua anima, come gli atleti mostrano come sono cambiate le loro spalle con gli esercizi e il cibo che hanno preso, come quelli che hanno appreso un’arte mostrano i risultati dell’insegnamento che hanno ricevuto. L’architetto non viene a dire: «Ascoltatemi discutere sull’arte del costruire», ma, fatto il contratto per una casa, la costruisce, e così mostra di possedere l’arte. Agisci anche tu in tal modo: mangia come un uomo, bevi come un uomo, ornati come un uomo, sposati, abbi dei figli, fa’ il cittadino; resisti agli insulti, sopporta un fratello dissennato, sopporta il padre, un figlio, un vicino, un compagno di viaggio. Mostraci queste cose, perché possiamo renderci conto che hai davvero imparato qualcosa dai filosofi. No, ma: «Venite ad ascoltarmi mentre declamo i miei commentari». Orsù, cerca altra gente su cui vomitarli. «Invero, vi illustrerò gli scritti di Crisippo come nessun altro, analizzerò il suo stile con assoluta limpidezza, e potrò aggiungerci anche l’impeto di Antipatro e di Archedemo»[4].

 

“È per questo che i giovani devono lasciare la loro patria e i loro genitori, per venire a sentirti interpretare delle parolette? Non bisogna che tornino nelle loro case dotati di pazienza, pronti ad aiutare gli altri, liberi dalle passioni e dai turbamenti, muniti di tali vettovagliamenti per il cammino della vita da potere, grazie ad essi, sopportare bellamente ciò che loro sopravviene, uscendone più maturi? E come farai a comunicare loro ciò che non farai? O tu stesso hai passato il tuo tempo in null’altro, dopo gli inizi, che nell’analizzare i ragionamenti compositi, reversibili o interrogativi?”

“Ma c’è il tale che tiene una scuola, perché non debbo tenerne una anch’io?”

Questa non si apre a capriccio, o schiavo, né a caso; bisogna averne l’età, il genere di vita e Dio come guida.”[5]

Il filosofo è testimone di Dio, egli si conforma completamente a Dio e, allo stesso tempo, rende immanente Dio nella sua persona, nella misura in cui egli si annulla in Dio, Dio si fa tutto in lui. Perciò ogni pensiero, parola e azione del vero filosofo testimonia l’attività di Dio, la presentifica nel mondo, la esprime in modo trasparente. Far sì che Dio sia tutto presente nell’essere del filosofo è lo scopo della filosofia, perché, in realtà, sussiste solo il Solo e quando vi è autentica sophia si conosce nell’Identità Suprema l’unità infinita della sostanza divina, la sua onnipresenza e la costituzione di Dio dell’immanenza integrale del Tutto. Pertanto il filosofo, diventato sophos, nella sua discesa al mondo si attualizza come presenza teofanica integrale del Dio Supremo.

 

[1]  Epitteto, Diatribe, II, 14, 7-13.

[2]Ibidem, II, 17, 23-28.

[3]Ibidem, II, 23, 38-41.

[4]Ibidem, XXI.

[5]Ibidem, III, 21, 6-11.

 

 

(tratto da L.M.A. Viola, Psyches Therapeia, vol. II)

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