La suprema conoscenza a cui aspira il filosofo: la conoscenza
dell’Uno-Bene non duale

Ogni uomo deve sapere che senza la filosofia è nulla, egli sarà sempre sofferente e soggetto alla corruzione della morte, pertanto occorre favorire con ogni mezzo coloro che hanno la vocazione filosofica, fin dall’adolescenza, affinché sviluppino precocemente un habitus sapienziale adeguato, nel quale le doti delle facoltà intelligenti dell’anima siano ben sviluppate. In tal modo sarà possibile avviare ad una completa paideia filosofica quei giovani che saranno qualificati per svolgerla, i quali attraverseranno i diversi stadi della loro formazione in vista dell’obiettivo a cui l’anima di ogni uomo mira, la conoscenza determinata più elevata, Meghiston Mathema, la conoscenza dell’Idea del Bene. L’esercizio nelle discipline ginniche e musicali è solo preparatorio per il filosofo, perché ad esso conviene, in grado supremo, la conoscenza massima:
«Certamente – disse – ma riguardo a questa conoscenza massima e ciò su cui tu dici che verte, credi forse che ci sia qualcuno che ti lascerà andare, senza domandarti che cosa sia?».
«No di certo – risposi –, ma interroga anche tu. In ogni modo l’hai sentito non poche volte; ma ora non ci rifletti o stai pensando di crearmi difficoltà, facendo obiezioni. E io sono portato a credere che sia quest’ultima la tua intenzione; infatti, che l’Idea del Bene sia la conoscenza massima, servendosi della quale le cose giuste e le altre diventano utili e giovevoli, l’hai sentito dire mille volte. E anche ora tu sai abbastanza bene che io voglio dire questo e, oltre a ciò, che noi non conosciamo tale Idea a sufficienza. E se noi non la conosciamo, posto anche che conoscessimo, al più alto grado possibile, tutte le altre cose, ma non essa, tu sai che per noi da questo non deriverebbe alcun vantaggio e così anche se possedessimo qualsiasi cosa senza il Bene. O credi che ci sia un vantaggio ad avere ogni possesso, se poi tale possesso non è buono? O che si possa intendere tutte le altre cose senza il Bene, e non intendere per nulla il Bello e il Bene?».
«Per Zeus! Io no», esclamò.
Nella metafisica platonica il Bene è la Misura di tutte le cose, ma la misura, metron, è nozione strettamente connessa a mathema, “la scienza misurante”. Sia metron che mathema condividono la radice ma-, affine alle radici mt- o md-, nella quale è riposto il duplice senso di conoscere e misurare, intelligere e limitare, da cui deriva il senso proprio di mathema, “misurare con l’intelligenza”, far corrispondere l’ente misurato all’essenza. Ma il principio e il criterio di ogni misura non può essere che l’Unità Suprema, la cui immanenza radicale operativa si evidenzia nell’attuazione dell’ordine intelligibile posto dalla Scienza o Sapienza Misurante Massima, Meghiston Mathema, la quale, a sua volta, coincide con l’Idea del Bene, ἀγαθοῡ ἰδέα μέγιστν μάθημα, o con l’Uno che è. La Conoscenza Massima, la più alta sapienza è la prescienza dell’Uno, da cui procedono tutte le conoscenze divine e umane determinate e dunque anche tutte le azioni giuste, divine e umane. Platone invita a prendere atto che fra il Vero Bene e la conoscenza del Bene vi è identità, ma occorre rettamente intendere cosa sia il Bene, perché ogni cognizione, discorso, azione relativi al Bene dipendono da questo intendimento. Socrate perciò avvia un discorso per analogia, che deve elevare l’intelligenza razionale alla conoscenza del Bene, partendo dalla trattazione del “figlio del Bene”, che è “somigliantissimo” al Bene ma non coincide con esso. Cosa sia il “figlio del Bene” viene svelato attraverso la comune ricerca di ciò che rende possibile agli occhi la vista e agli oggetti di essere visti, ossia la luce, dalla quale dipendono sia il senso del vedere, che la possibilità delle cose di essere viste. Il “Signore della Luce” è il Sole, il quale non è la vista, né l’occhio, ma all’occhio concede la vista e il vedere, e il vedere, a sua volta, permette all’occhio di vedere il Sole. Ma Socrate procede oltre e dice che, così come noi riuniamo in una sola Idea del Bello tutto ciò che è bello, e in una sola Idea del Giusto tutto ciò che è giusto, anche tutto ciò che è bene deve risalire all’unica Idea del Bene. Perciò l’Idea del Bene è, nel mondo intelligibile, ciò che è il Sole nel mondo sensibile, pertanto:
“… ritieni pure che sia quello che dico figlio del Bene, che il Bene generò analogo a se stesso: ciò che è il Bene nel mondo intelligibile rispetto all’intelletto [occhio] e agli intelligibili [oggetti], così è il sole nel visibile rispetto alla vista e ai visibili”.
Il Sole fisico è simbolo sensibile del Sole Intelligibile, ossia dell’Idea del Bene, la quale è conoscibile come Causa di conoscenza e verità, unità trascendente di entrambe. Ma il Bene è ancora superiore a ciò che genera come analogo a se stesso:
«Questa, pertanto, che fornisce la verità alle cose conosciute e al conoscente la facoltà di conoscerle, devi dire che è l’Idea del Bene. Ed essendo essa causa di conoscenza e di verità, ritienila conoscibile. E poiché sono belle e l’una e l’altra, la conoscenza e la verità, se tu riterrai quello come diverso da queste e ancor più bello, riterrai giustamente. E mentre la scienza e la verità allo stesso modo che la luce e la vista è giusto ritenerle simili al sole, ma non ritenerle sole, così anche qui considerarle simili al Bene ambedue è giusto, ma pensare che o l’una o l’altra siano il Bene non è giusto, perché la condizione del Bene va giudicata ancora maggiore».
L’Idea del Bene trascende la bellezza della conoscenza ontologica e la bellezza della verità eterna, essa costituisce l’Essenza di queste cose, perciò come il Sole sensibile non solo dà la vista e la possibilità agli oggetti di essere visti, ma anche le condizioni per essere nell’esistenza, nascita, vita, sviluppo, ecc., anche l’Idea del Bene, in quanto Essenza Universale e Sostanza metafisica di tutte le cose, non fornisce alle cose solo la possibilità di essere conosciute, ma costituisce anche la loro essenza, ousia, e l’unità della loro esistenza, ontos, ma il Bene trascende, per dignità e potenza, anche l’Essenza Divina, e dunque l’Idea, in cui si rende Intelligibile, perciò è epekeina tes ousias:
«Il sole non soltanto dirai – io credo – che fornisce ai visibili la capacità di essere veduti, ma anche la generazione e la crescita e il nutrimento, pur non essendo generazione».
«E come lo sarebbe?».
«E così anche ai conoscibili dirai che proviene dal Bene non solo l’essere conosciuti, ma anche l’essere e l’essenza provengono loro da questo, pur non essendo il Bene essenza [ousia], ma ancora al di sopra dell’essenza [epekeina tes ousias], superiore ad essa in dignità e potere».
E Glaucone, molto gioiosamente: «Apollo! – esclamò – Che divina superiorità!».
Il Bene trascende l’Essenza e l’Ente, perciò anche la scienza e la verità intese nella loro unità intelligibile. In sé il Bene, in quanto Uno, immane nell’Essenza come Uno che è, e così costituisce l’Idea del Bene, generata analoga ma non identica al Bene stesso, perciò questa Idea è Causa della scienza e della verità determinate ed è dunque anche il Principio di ogni attività misurante, ciò in cui risiede l’unità della scienza dell’Essere Essenziale. L’Idea del Bene costituisce ciò attraverso cui l’Uno, in quanto Bene, è in “rapporto” a tutte le cose, apparendo in Essa come il Principio di ogni loro essenza o misura, della loro costituzione come enti nell’Ente. Il Supremo Misurante di tutte le misure, ciò che trascende anche il Primo Misurato, che è anche la Prima Misura determinata, è però l’Uno-Uno, il quale, solo in rapporto a ciò che è misurato, l’Essenza, è Supremo Bene, Uno-Bene, Misura Principiale Assoluta di tutte le cose, il Principio Supremo che Platone identifica con Apollo, Fondamento henologico di verità, conoscenza e bellezza.
L’Uno Perfetto è Aploun, A-Pollon, perché è privo, a-, di ogni molteplicità, polla/plous, Apollo non presenta dualità, relazione, distinzione, perciò è assolutamente semplice, senza parti e senza alterità. Pitagora e Plotino identificano l’Uno-Apollo con l’Ineffabile Assoluto:
Ma noi siamo travagliosamente incerti sulle parole che dobbiamo adoperare e parliamo dell’Ineffabile ed escogitiamo dei nomi con il desiderio di denominarlo, come ci è possibile, a noi stessi. Forse, anche il nome «Uno» non è altro che la negazione del molteplice. Perciò anche i Pitagorici, fra loro, lo chiamarono simbolicamente Apollo per significare la negazione della molteplicità <a-pollon>: infatti, se l’Uno, sia come nome che come cosa significata, avesse un senso positivo, esso sarebbe meno chiaro che se non gli si desse alcun nome.
Poi, per indicare la relatività presente anche nel nome Uno e nella “visione” dell’Uno, Plotino dice:
Forse il nome «Uno» gli fu dato affinché l’indagatore, cominciando da ciò che significa la massima semplicità, finisse poi col negargli anche questo, pensando che esso, benché scelto felicemente dal suo inventore, non era degno di rivelare quella natura, poiché Colui non può essere compreso né con l’udito né da chi ascolta, ma, se mai, da una visione. Ma nemmeno la visione, se volesse contemplare una forma [eidon], potrebbe conoscerlo.
La visione dell’Idea del Bene, del massimo intelligibile, è una visione formale che coglie un’Idea, la Prima Idea, ma la contemplazione dell’Uno, non è visione formale e non coglie un’Idea, è una ipervisione di ciò che è iperintelligibile, questa ipervisione è il culmine dell’ascesa del filosofo. La “visione senza visione” dell’Uno trascende la visione dell’Idea del Bene, perché “vede” il Bene in Sé, mentre l’Idea del Bene, cioè la prima intelligibilità finita dell’Uno-Bene, inteso come Essere Intelligibile, nel quale fondano la Scienza Divina e la Verità, è derivata dall’Uno, l’Idea del Bene si identifica al Sole Intelligibile intero come “figlio del Bene”. Il Bene trascende dunque l’unità formale, la dualità e la molteplicità, in quanto Essere sovraunitario, infinito, metanoetico e metaontologico, il Bene è il Perfetto Vero, nel quale sono costituite sia l’unità intelligibile che la molteplicità sensibile.
La conversione filosofica ha come fine di distogliere completamente l’anima dal divenire fino a condurla a contemplare perfettamente l’Essenza Intelligibile, in special modo mira a ciò che risulta essere il suo Fondamento più splendente, ovvero il Bene che trascende l’Essenza. La “parte migliore dell’Ente” è sempre il Bene, il quale trascende tanto l’isolata unità, quanto la separata molteplicità, però le compone in sé e le supera infinitamente. Noi possiamo dire che il Supremo Uno è Infinito e Irrelazionato e, allo stesso modo, è costituito nella relazione e nel finito, Uno e Diade, Identico e Altro, radice dell’Uno e del non Uno. In quanto Unità Suprema, il Bene è rigorosa non dualità sovrantinomica che include in Sé l’unità in quanto principio e la dualità in quanto potenza. Perciò l’Uno-Bene è ad un tempo totalmente trascendente e radicalmente immanente. Dal “lato” dell’Uno Assoluto tutto è Assoluto, nel suo “piano” Uno, Diade e Molti sono identici, mentre dal “lato” del “non assoluto”, dalla possibilità di differenza, dalla condizione di negazione dell’Assoluto, che è implicita nell’Assoluto, questi elementi sono Altro.
Come più volte abbiamo affermato, vi è solo il Solo e Unico Essere Integrale, l’assolutamente Uno, il quale “appare” o si “rivela” ad Altro come Uno-Bene e nella sua prima forma eidetica, intelligibile, rende relativamente conoscibile e partecipabile la Sua Natura ad “Altro”. Nella sua Assoluta Realtà l’integralmente Uno precede la Forma, inoltre il Solo non può essere considerato propriamente Principio, perché così facendo si introduce in Esso una relazione e una dualità fra il Principio e la principialità al principiato. Il Solo è dunque assolutamente irrelazionato e non duale, trascende perciò l’Unità metafisica preontologica e, a fortiori, la Diade che fa sussistere illusoriamente il Diverso, l’Altro, nell’apparenza dell’alterità, perciò il Supremo Ineffabile non può essere limitato al semplice Uno inteso come Bene, né tantomeno all’Ente, al Principio di ogni misura finita.
In quanto trascendente il Primo, il Supremo Uno è assolutamente incondizionato e trascendente rispetto a tutte le cose e a tutti i principi, la Realtà non è altro che questo Uno-Uno, totalmente impartecipabile in modo duale. Oltre la dicibilità, l’intelligibilità e la causalità, veramente Uno e semplicemente Supremo, il Divino Totale rispetto a ciò che appare relato è il Bene, ma ciò che attiene all’illusoria relazione e all’apparente alterità è un mistero che riguarda la Potenza Infinita dell’Essere Supremo, il cui atto non modifica, né altera realmente, l’assoluta unità irrelata del Divino Integrale. In quella perfetta unità l’animo del filosofo si risolve come nella sua radice preintellettiva e preessenziale, al di sopra dell’intellezione determinata e dell’apparente alterità originaria. Nel silenzio indeterminato, sovrasostanziale e sovraintelligibile, dell’Unità Assoluta, viene realizzata l’Identità Suprema Non Duale.
La dimensione che antecede tutte le cause e tutti i principi deve essere approcciata con la semplificazione assoluta che stabilisce nel silenzio metafisico perfetto, nel quale vengono oltrepassate sia l’intellezione duale che quella unitaria, così come la concezione impropria della causalità relativa e del principio di non contraddizione. Quando ci si riferisce al Supremo Uno occorre evitare perciò di utilizzare termini come Fondamento, Origine, Causa, Principio, Produttore, Creatore, ecc., in quanto tali termini possono essere usati solo in senso simbolico e analogico, perchè non possono indicare direttamente ciò che trascende ogni dualità e relazione. La sovracausalità del Divino non duale trascende gli ordini della causalità relativa, perciò anche la “causalità” del Principio Sovraessenziale, il quale, in qualche modo, può essere oggetto di attribuzione analogica dei termini sopra indicati. Tutto sussiste “nel” o “attorno” al Primo sovrasussistente, perciò non vi è relazione causale con ciò che per Primo sussiste nella metacausalità, in continuità con ciò che è anteriore alla causalità e trascende il Principio e la Fine di tutte le cose. Dunque l’Uno-Uno, in quanto Supremo irrelazionato, nella sua potenza costitutiva è pre-causa che fonda la causalità, a far principio dalla mediazione immmediata dell’Unità Divina Intelligibile, Principio Essenziale Eterno di ogni ente e termine finale di ogni atto. Dunque nell’Uno-Uno si trova la trascendenza di ogni principio e di ogni costituzione nell’Essenza, ma l’Uno-Uno non procede, perciò nella sua realtà assolutamente trascendente non può nemmeno essere definito in alcun modo come Causante, Principiante, Originante, Emanatore, ecc., in quanto non vi è propriamente alcuna Origine, né Principio, né processione o creazione, ma tutto è, nell’Assoluto Uno, immobile e sempre presente nella totale trascendenza.
Quando noi indichiamo l’Uno col termine italiano “bene”, dobbiamo sapere che il termine viene dal latino bene, che è un termine di genere neutro. Con il termine “bene” viene indicata una disposizione all’attività, mentre il termine “buono” si distingue dal termine “bene” perché è un aggettivo di genere maschile che indica la partecipazione al bene. In latino la distinzione fra il bene e il buono viene talvolta elisa ed entrambi i termini vengono fatti risalire al termine antico bonvm. Bonvm deriva a sua volta dall’arcaico dvonvm, che è la contrazione di divinvm, un termine che può essere scomposto in due parti, la prima parte, div-, indica l’effulgenza luminosa, l’irradiazione onnipervadente della luce, la seconda parte, –nvm, indica la potenza, la forza potente agente. Il senso completo del termine divinvm è dunque “l’effulgenza luminosa e radiosa della potenza agente”, perciò è possibile assimilare ciò che si intende per Divinvm alla Natura dell’Essere Puro, inteso come Atto Supremo e Infinito d’essere, con il quale coincide la Suprema Realtà. Una conseguenza di quanto abbiamo appena affermato è questa, il termine Devs, un sostantivo di genere maschile, indica la costituzione del Divinvm come centro unitario e determinato dell’irradiazione della Luce Infinita, allo stesso modo nel Devs si deve vedere l’Essere costituito come Ente, l’atto unitario e determinato dell’Essere, ordinato alla causazione degli esseri finiti.
Il termine neutro Bene indica l’indeterminazione dell’attività totale dell’Uno, ad esso si può far corrispondere il termine greco Agathon, che denota l’eccellenza, la perfezione, la supremazia, e perciò anch’esso può essere riferito all’atto infinito e plenario dell’Essere Puro. Ma l’atto infinito presuppone l’agire puro e indeterminato e, ad un tempo, la costituzione di ciò che è implicito nell’atto puro e infinito, il Buono. Il Buono, in sé, è ciò che partecipa del Bene in modo sommo, è l’Ente immediatamente fondato nel Bene che rende immanente la Perfezione Immanifesta nella Perfezione Rivelata. Nel Sommo Buono, Unità di ogni Bontà, il Supremo Bene si sostanzia di Essenza e si media a Se Stesso nella Sua Idea rendendosi Intelligibile innanzitutto a Se stesso. Ciò che è, in sé, assolutamente privo di determinazioni, essenza e conoscibilità determinata, conosce Se Stesso come l’Essere pieno di tutti gli attributi sovraessenti e sovradeterminati, attributi che nell’Ente divengono partecipabili e conoscibili e perciò mediabili al Tutto, nel quale il Solo immane in ogni ordine e grado, mediandosi attraverso la Sua Potenza diadica. In ogni caso, nel Solo ciò che è “rivolto all’atto costituito”, ciò che nel Solo può essere detto Bene, non risolve l’integralità del Solo, che trascende ogni disposizione alla causalità, fosse anche solo protologica. Perciò il Solo è oltre ogni buono, anche al Sommo Buono, ma è anche oltre ogni Bene, quindi non è Essenza, ma non è nemmeno ciò che sta oltre l’Essenza, in quanto comprende entrambi questi “modi” dell’Essere Totale. Quindi il Solo è metaontologico, ma anche metahenologico, assoluta libertà di non attualizzarsi in senso finito e costituito, e di attualizzarsi, di farsi Bene e Buono.
Perciò il Solo va inteso come Fondamento, cioè come Bene, solo in modo relativo, in tal caso il Solo “genera” senza alterarsi il suo analogo nella matrice diadica della Materia Prima, e in Essa pone, Egli che è hyperagathos, la sua presenza esemplare, l’unità di misura di ogni ente, ciò da cui ogni ente è tratto e misurato, l’Idea del Bene. Nella Ousia Principiale, il Bene in quanto Forma-Idea è ciò che unifica essere determinato, conoscenza e verità, in questo Bene essenziato si trova la radice di ogni essere finito, il principio della sua formazione e della sua conoscibilità. Perciò è innanzitutto alla “Conoscenza Massima” dell’Idea del Bene, quale fondamento di ogni misura degli enti, che deve attingere colui che deve misurare, ovvero il filosofo che aspira ad attuare l’esemplarità dell’Ente e, allo stesso tempo, a tradurre questa esemplarità nell’immanenza della sua condotta personale, e specialmente nella costituzione e nella direzione della città ideale, quel luogo che concretizza nel mondo l’Idea eterna di città.
Il filosofo acquisisce la conoscenza dell’Ente e poi trascende anche essa, perché è necessario che egli contempli, con una visione senza visione, ciò che sta al di là dell’Ente, per comprendere la non dualità del Solo, il quale supera tanto l’affermazione assoluta sovraessente, l’Uno in quanto Bene, e la sua apparente negazione, il non-Uno, il non-Essere, la Diade indeterminata. Tutti questi elementi presentano un ordine gerarchico, l’attività ha supremazia sulla passività, l’atto sulla potenza, la forma sull’informe, il limite sull’illimitato e l’unità sulla dualità. Quindi al Solo, all’Uno-Uno inteso come Atto Puro Infinito, principio superiore rispetto ad ogni altra cosa, ineriscono in modo eminente l’Unità, il Limite, la Misura, la Forma, e l’Ordine, la Conoscibilità, ecc., mentre all’aspetto Diade del Solo, in quanto “inferiorità”, ineriscono la dualità, l’illimitatezza, la dismisura, l’informe, il disordine, la non conoscibilità, ecc. Quando il filosofo raggiunge la perfetta identità con il Solo, assume poi il Tutto dall’Uno e si costituisce come la presenza dell’Uno nel suo stato di esistenza. Così come il Solo è Atto Puro nell’Uno e costituisce l’Ente imponendo la Forma all’informe, anche il filosofo che ha conseguito la realizzazione metafisica suprema costituisce la presenza formante della perfezione in qualsiasi ambito si trovi.
Ad ogni livello l’unità sovrasta la dualità e la molteplicità, è il segno della presenza del Solo inteso come Principio Assoluto, allo stesso modo la Forma domina sempre qualsiasi deformità. Se il Bene a livello ontologico appare come Buono o Idea del Bene, e si qualifica come Sole Spirituale Eterno, Unità di Essere Intelligibile, Intelligere e Verità, in Se Stesso però il Bene è sovraente e sovraintelligibile, perciò può essere colto solo da un atto che trascende la visione intelligibile finita, da una visione senza visione, che permette all’Uno dell’anima di accedere al nucleo nascosto del Sole, a ciò che in diverse tradizioni spirituali è definito come “settimo raggio”, il raggio interno e trascendente, stante oltre i sei raggi del Sole Intelligibile, i quali indicano l’effulgenza illuminante, riscaldante e vitalizzante che il Bene, nella Sua Essenza, opera eternamente verso tutte le cose.
Dunque l’Idea del Bene è conoscibile e costituisce la massima conoscenza che può essere ottenuta secondo l’essenza, mentre il Bene in Sé invece è inconoscibile secondo il modo della conoscenza determinata, perché essa conserva l’essenza dell’anima veggente. Il Bene in Sé, come abbiamo visto, è epekeina ontos, perciò trascende l’ente esistente, ma è anche epekeina tes ousias, quindi trascende altresì l’essenza dell’ente esistente, infine è epekeina tou nou, perché si colloca al di sopra dell’ipostasi dell’intelletto e della sua attività. Perciò il Bene non può essere raggiunto da alcun atto finito, in quanto è Essere Infinito che non può essere in alcun modo oggettivato, colto o realizzato da alcun essere finito, l’Essere del Bene coincide con un conoscere supremo assolutamente non duale, nel quale sono elisi il vedente, la visione e il visto determinati, semplici sovrapposizioni all’Unità non duale dell’Essere, in quell’Essere sussiste solo l’Assoluta Identità Suprema. È chiaro che la stessa “ricerca” della visione, o della contemplazione dell’Uno, hanno una natura “illusoria”, in quanto sono effetti dell’agnosia, dell’ignoranza metafisica che produce un’apparente quanto inesistente dualità fra l’essere reale del conoscente e l’essere reale di ciò che si vuole conoscere. Perciò, per l’Essere Supremo Incondizionato, il soggetto conoscente, così come l’oggetto Uno, che si vorrebbe conoscere come “qualcosa”, sono due sovrapposizioni irreali alll’Essere reale dell’Uno, che vengono estinte con il passaggio folgorante alla suprema ellampsis, la folgorazione dell’Identità Suprema.
L’essere che ha risolto la sua anima nella perfetta sapienza indeterminata e inqualificata, si è identificato a Colui nel quale ogni esistente ha la sua realtà, in Esso ha rifondato la sua consistenza perciò si è sostanziato del suo essere vero. Il filosofo che si è stabilito nell’Unità Divina Suprema, come nella sua vera natura, ha eliso ogni alterità e ha conseguito la Plenitudine Suprema, la pienezza dell’Essere Totale, il Solo Reale, il quale è anche perfettamente regale, dunque il realizzato, non è più filosofo, ma è perfetto sophos ed assume anche la Regalità Divina Suprema. L’animo compiutamente divinizzato, restituito alla henosis, presenta la Magnitudine Integrale e la Misura Perfetta, una volta che ha trasceso il limite del dominio intelligibile ed anche il suo vertice, l’Idea del Bene, egli è andato al di là della “contemplazione di ciò che è ultimo tra le cose che sono”, quella contemplazione che il filosofo deve raggiungere in prima istanza mediante la paideia, la cultura dell’essere essenziale dell’uomo, ovvero l’intelletto, una cultura capace di elevare l’anima al luogo più beato dell’Essere Intelligibile. Superato questo luogo l’anima si estingue nell’Unità Divina Suprema, dalla quale l’essere restituito alla sua Identità “comprende” in sé tutte le cose, fondando nella Pienezza della Perfezione, la perfezione propria della sovrapersonalità infinita e assoluta dell’Uno-Apollo, Divina Meraviglia.
Una volta che l’attività essenziale universale dell’anima è ristabilita, viene poi trascesa nel suo principio sovraessenziale, il Tutto viene reintegrato nella Realtà, nella trasparenza dell’Uno, perciò ogni illusoria alterità scompare e ogni ente viene immediatamente conosciuto nella sua principialità assoluta. Questo stato di realizzazione metafisica perfetta consente al realizzato platonico di attuare nell’immanenza la perfezione gloriosa integrale della bellezza implicita nell’Uno e nella Sua Potenza, mediante la “henofania” della Misura Suprema o del Bene, in tutta la sua esistenza e nel complesso dei suoi atti. L’attuazione della trasparenza evidente della trascendenza nell’immanenza elide ogni dualità, questa situazione era presente all’origine divina dell’umanità e costituisce la base delle religioni metafisiche integrali, che presentano un carattere assolutamente “positivo” e “totalizzante” e dunque onnicomprensivo, perciò la loro prassi si risolve nella completa “apollinizzazione” di ogni ente determinato. In queste religioni, in virtù della radicale immanenza del Divino in ogni suo ente, viene compiuta una ritualizzazione integrale di ogni aspetto dell’esistenza, personale e civile, ogni modalità dell’organizzazione politica e pubblica e della vita personale di ogni uomo è così interamente sacralizzata.
Il termine della realizzazione integrale della natura dell’uomo coincide con l’Identità Suprema del Solo, di Apollon, questa realizzazione si attinge raggiungendo l’apice sovraessenziale della sapienza, una volta che anche la consistenza dell’essere nell’Uno dell’anima è stato trasceso. A questo fine perfetto conduce una società normale, una società religiosa, mediante l’esercizio religioso della vita civile fondato sulla conoscenza del Bene e sulla sua traduzione trasparente nell’immanenza delle istituzioni, una condotta che genera la pace, la giustizia e la salute pubblica perfette. Il vero filosofo è ordinato alla realizzazione integrale della natura dell’uomo, perciò è dedito alla contemplazione della verità integrale e non arresta il suo amore di verità e la sua applicazione alla conoscenza fino a quando non è giunto alla sua perfezione suprema. Nulla lo appaga, il suo fervore amoroso intenso lo conduce senza sosta fino all’apice della scienza sovraessenziale, al vertice metafisico della Realtà, con il quale vuole identificarsi per stabilirsi nella quiete totale e nella beatitudine perfetta e incommensurabile, completa risoluzione della soggezione al male e quindi anche di ogni pena.
In contrario a ciò che affermano diversi studiosi profani, la perfetta conoscenza può essere realizzata nell’ora presente, e non bisogna intendere in maniera scorretta il contenuto di alcuni dialoghi: “Se infatti non è possibile, in unione col corpo, conoscere qualcosa in modo puro, delle due l’una: o non è mai possibile acquistare il sapere, o è possibile da morti, perché allora l’anima sarà sola in se stessa separata dal corpo, prima no”. Non è necessario che l’anima si separi definitivamente dal corpo per accedere alla vera conoscenza, basta che essa pratichi in modo dovuto la separazione dal corpo qui e ora, se quanto opera è corretto essa raggiunge sophia, anche la perfetta sophia, che coincide con l’Uno, la conoscenza purissima dell’Essere Purissimo. Nella vita l’anima dovrà rendersi pura separandosi dal corpo, ma non solo, essa dovrà separarsi anche dal mondo per acquisire la purezza conoscitiva adatta conoscere essere puri, perché “… a chi è impuro non è lecito accostarsi a ciò che è puro”. Separandosi anche da ciò che è puro, ma non purissimo, il mondo intelligibile, l’anima attinge a ciò che è separato da tutto, essa deve distogliersi completamente dal substrato in cui l’Uno viene fatto apparire come illusoria modificazione, così si stabilisce nel Perfetto e Purissimo Uno-Apollo.
(tratto da L.M.A. Viola, Psyches Therapeia, vol. II)
© Associazione Igea 2018
C.so Garibaldi, 120 – Forlì
Tutti i diritti riservati. È vietata la riproduzione anche parziale, se non autorizzata in forma scritta dall’Associazione.