Una volta che l’anima ha costituito la hexis filosofica assume una disposizione e una condotta di vita completamente diverse rispetto a quelle della folla, della moltitudine della gente, gli hoi polloi[1]. Colui che è divenuto filosofo si costituisce come atopos, egli è in un luogo fisico solo per il suo corpo, ma non partecipa più, nel modo ordinario, alla vita della folla, agli occhi della quale può apparire bizzarro, inconcludente, incomprensibile, “fuori dal mondo”.

Il filosofo ha una natura eminentemente aristocratica[2], e perciò egli è quanto vi è di più lontano dalla moltitudine della folla, in quanto “alpinista dello spirito” è orientato a una vita di vetta, elitaria e solitaria, tutto in lui volge alla dimensione apicale dell’Uno. Il filosofo agisce in modo opposto al sofista, quest’ultimo è tutto impegnato ad abbassarsi alla folla, a captarne desideri e passioni per sfruttarle a proprio vantaggio, per questo motivo cerca di passare al volgo una versione degradata della verità e della conoscenza.

E lui: «A ciò non c’è scampo, caro Socrate».
«Eppure – ripresi – non abbiamo ancora parlato del condizionamento più grave».
«E quale sarebbe?», chiese.
«Quello che questi sofistici educatori impongono, non con la persuasione e il discorso, ma passando a vie di fatto. Ignori forse che chi non si lascia plagiare è punito con la privazione dei diritti civili, con la confisca dei beni e perfino con la morte?».
«Lo so bene», disse lui.
«Ora, quale altro sofista, o quale discorso condotto a livello personale potrebbe contrapporsi con successo a costoro?».
«Credo proprio nessuno», rispose.
«Nessuno – ribadii -, e anche il solo provarci sarebbe segno di grande stoltezza. In effetti non c’è, né c’è mai stato, né ci sarà mai un carattere diverso orientato a virtù, che sappia contrastare l’educazione di costoro. Dico un carattere umano, caro amico, perché, come vuole il proverbio, quel che è divino per noi esula dal discorso. Infatti, puoi star certo di questo fatto: che, in siffatti regimi politici, qualunque cosa abbia scampo o vada per il verso giusto non sbaglieresti a definirla un miracolo di un dio che l’ha sottratta alla perdizione».
«Anch’io la penso così», disse.
«E allora – ripresi – oltre a quel che hai già ammesso dovrai condividere anche quest’altra posizione».
«Quale?».
«Ciascuno di questi individui prezzolati che il popolo chiama sofisti e considera come suoi concorrenti, in fondo non insegna principi diversi da quelli che i più condividono e professano nelle loro affollate riunioni; solo che essi li spacciano per sapienza.
«A tal proposito immagina che uno riesca a prevedere gli umori e gli istinti di un animale da allevamento grosso e robusto, e sappia in che modo accostarlo e come accarezzarlo e quali siano i momenti o le cause per cui esso diviene più feroce o più tranquillo; e inoltre sappia riconoscere quale suo verso denoti l’uno o l’altro stato d’animo o quale voce serva a eccitarlo o a acquietarlo.
«Immagina poi che, avendo ben appreso ognuna di queste cose per aver vissuto per lungo tempo con quell’animale, decidesse di chiamarla sapienza, e, mettendone a punto il contenuto come se si trattasse di un’arte, se ne atteggiasse a maestro, senza in verità avere la minima cognizione di che cosa ci sia di bello o di brutto, di buono o di cattivo, oppure di onesto o di disonesto in quella morale che professa e nei suoi desideri, e invece definendo l’una cosa e l’altra sulla base delle opinioni di quel bestione. Così, senza tener conto di nient’altro, a quello che piace all’animale dà il nome di buono, a quello che gli dispiace di cattivo; le cose che gli sono necessarie le chiamerà giuste e belle. E fa tutto ciò pur non avendo mai compreso né tanto meno dimostrato la grande differenza che passa fra il necessario e il Bene. Ora, per Zeus, un educatore così combinato non ti parrebbe per lo meno fuori posto?».
«A me sì», disse.
«E dunque, ti sembra che corra molta differenza fra un tipo simile e colui che ritiene sapienza l’aver imparato a riconoscere le ire e i piaceri di folle variamente assortite nel campo della pittura, o della musica o della politica? In effetti, qualunque cosa uno presenti ad una riunione di questa gente – si tratti di un componimento poetico, o di qualche altro prodotto artistico, oppure anche di una iniziativa politica- –, una volta che, al di là di ogni ragionevolezza, l’abbia consegnata all’arbitrio della folla, con ciò stesso sarebbe costretto, per una sorta di necessità che potremmo definire diomedea, a fare tutto quanto alla massa aggrada. Del resto, per quanto riguarda il vero Bello e il vero Bene, hai mai sentito da uno di questi una definizione che non fosse ridicola?».
«Credo – ammise lui – che mai ne sentirò».
«Ebbene, non distogliendo la mente da queste cose appena dette, rievoca anche quest’altro problema: la folla potrebbe forse elevarsi a tal punto da credere all’esistenza del bello in sé al posto delle singole cose belle, all’essere individuo in quanto tale invece che ai singoli essere specifici?».
«Niente affatto», disse.
«E allora – ripresi – è impossibile che la folla diventi filosofo».
«Sì, è impossibile».
«E dunque è ineluttabile che chi pratica la filosofia sia ripudiato dalla folla».
«È inevitabile».
«E così anche da codesti singoli individui che vengono a compromessi con la folla e fan di tutto per assecondarla».
«Non c’è dubbio».
«Allora, quale via di scampo vedi da una tal situazione per chi sia naturalmente portato alla filosofia e voglia realizzarla fino in fondo, restando fedele al suo ideale di vita? Puoi da te comprenderlo da quanto si è detto prima. Si era, infatti, tutti d’accordo che la predisposizione all’apprendimento, la memoria, il coraggio, la magnanimità erano elementi di questa natura».
«Si»[3].

Già al tempo di Platone i sofisti, con le loro fallaci tecniche educative, corrompevano i giovani e quanti a loro si rivolgevano, perché li orientavano a seguire la oikeiosis animale, come se ciò fosse un bene, perciò essi si degradavano fino ad accontentare le voglie della massa tirannica, fomentata con i loro sofismi e monopolizzandola a loro piacimento. Maleducazione alla servitù delle passioni fatta da maleducatori quali sono i sofisti di ogni risma. Anche oggi come allora chi non si fa plagiare dal sistema sofistico, che attualmente, nelle società atee postmoderne, è stato radicalizzato, viene emarginato, nelle pseudosocietà civili venivano condotti fino alla morte quanti non intendevano abbassarsi per accogliere le mostruosità radicalmente diaboliche che venivano diffuse da falsi sapienti.

I sofisti, come gli allevatori di animali, si rivolgono alla massa, questo è uno dei loro segni distintivi, e si abbassano al suo livello degradando le cose sacre nel modo più infimo. Il sofista non potrà parlare del vero, del buono, del giusto e del bello alla folla, perché, innanzitutto, non li conosce e perché la folla non potrebbe recepire quanto deve, quindi il sofista è costretto a trattare queste cose secondo l’opinione, modellando il discorso sulle illusioni e le passioni della folla, altrimenti non sarebbe ascoltato e verrebbe da essa scacciato. Ma questo modo di fare non è secondo il bene, infatti è male perché fomenta l’illusione, l’ignoranza, le passioni, le necessità irrazionali e le servitù. Chi si mette a seguire questi falsari sarà persuaso che la verità è piacevole ed è ciò che si accorda alla sua opinione e alla sua sensazione, distorsioni proprie all’anima titanica ignorante, il corrotto dal sofista crederà che il sapere è soggettivo, che ciascuno può accedere al sapere secondo i suoi gusti e il suo impulso del momento, inoltre crederà che tutto sia questione di punto di vista e di opinioni e riterrà tutto questo verità assoluta.

Chiunque si immetterà nella via del sofista rinuncerà per sempre alla filosofia e alla salute, ma la filosofia richiede una conversione completa dell’anima, di tutti i suoi atti al Bene, trascendente e sovraumano, privo di ogni relatività e soggettività passionale, perciò richiede la rimozione di ogni affermazione carnale dell’io. Ma, dato che “è impossibile che la folla diventi filosofo”, è inutile rivolgersi indistintamente ai molti secondo le modalità dell’opinione e della passione, al filosofo risulta impossibile servire due padroni, la verità divina e le opinioni passionali della massa, perciò esso si separa dalla massa degli stolti, dal vvlgvs profanvs, e persegue la sua ascesa alla cima solitaria dell’Essere Divino, ben sapendo che la sua condotta è invisa alla folla e allo stolto, ma esso deve assumere la Sapienza di Dio, e non l’ignoranza del volgo come guida.

Oggi, dopo ulteriori venticinque secoli di degrado, è ancora più impegnativo svolgere certe azioni verso la folla seguendo il modo filosofico e non quello sofistico. Una massa atea ed empia, dedicata alla lussuria radicale, fomentata dai peggiori sofisti che si sono posti al suo governo, asseconda le “religioni” e le “politiche” rivolte ai tanti, si impegna per produrre qualche risultato “benefico”, ma è tutto illusorio, queste azioni sono compiute da chi non si rende conto di che cosa sta facendo, costoro non sono certo veri filosofi o veri religiosi.

Gli uomini comuni sono schiavi delle loro opinioni sensibili e delle loro passioni, inoltre sono condizionati dagli affari della vita politica e famigliare, dalla quale non sanno sottrarsi, sebbene sappiano anche dare ragione della loro occupazione in essa. Il filosofo si è liberato completamente da tutte queste occupazioni, sia interiormente che esteriormente, nella misura del possibile, egli nota la vanità e anche la stupidità della moltitudine, descrive gli “occupati” che si agitano invano correndo dietro chimere, senza mai perseguire il bene e procurandosi ininterrottamente dei mali, degli affanni, delle sofferenze, completamente inutili.

Il filosofo ha una disposizione introvertiva molto precisa, non ricerca in alcun modo la vita dedicata all’acquisizione del denaro, del piacere, degli onori, la vita implicata nelle faccende civili, ma è tutto volto esclusivamente all’Essere, alla Verità, alla Realtà. In particolare, il filosofo si distingue per il suo modo di trattare le relazioni con gli uomini, egli è verace, diretto, suscita reazioni molto diverse con il suo comportamento puro, per la sua parresia, presenta inoltre un’autorità morale che provoca negli altri, se presentano qualche inclinazione al bene, un rimorso di coscienza[4], mentre nei maligni determina reazioni critiche, diffamazioni e calunnie avverse.

Ma specialmente il filosofo pratica la cultura integrale di sé, la paideia filosofica che eleva ed ordina ogni sua facoltà, senso, ragione e intelletto all’attuazione della sapienza, alla conformazione a Dio. Nella paideia filosofica si trova la forma dell’educazione umana esemplare, perciò anche il modello dello sviluppo integrale dell’uomo, attraverso il quale l’anima realizza la pienezza dell’integralità dell’Essere. Nella paideia filosofica sono inclusi tutti i livelli dell’educazione e della cultura basilare, ai quali si sovraordina la filosofia, che è la sola disciplina che può portare l’uomo alla realizzazione integrale e perfetta. Lo sviluppo filosofico è costituito in modo tale che, al di là del suo termine, non vi sia più nulla da raggiungere per l’anima. Perciò l’educazione sapienziale sviluppa integralmente tutte le virtù dell’anima fino quelle esemplari, oltre le quali vi è solo la perfetta contemplazione integrale del Bene Supremo.

La disciplina della paideia filosofica deve seguire un certo ordine, ma il soggetto che si applica ad essa deve possedere determinate qualità innate e deve essere compiutamente convertito in senso filosofico, dunque occorre che sia un vero filosofo.

Platone tratta del filosofo in tutta la sua opera, in particolare nel Teeteto, nel Sofista, nel Politico, poi ne tratta in modo sistematico, esteso e articolato, nel Repubblica, in quel contesto viene magistralmente definita la figura di colui che deve realizzare la perfetta sapienza e possedere tutte le virtù per esercitare la suprema arte politica.

«Caro Glaucone – iniziai–, non ci sarebbe tregua dai mali nelle Città, e forse neppure nel genere umano, e direi di più, quella stessa costituzione che andiamo delineando non metterebbe radici fra le cose possibili né vedrebbe la luce del sole se prima i filosofi non raggiungessero il potere negli Stati, oppure se quelli che oggi si arrogano il titolo di re e di sovrani non si mettessero a filosofare seriamente e nel giusto modo, sì da far coincidere nella medesima persona l’una funzione e l’altra – ossia il potere politico e la filosofia – e da mettere fuori gioco quei molti che ora perseguono l’una cosa senza l’altra[5]».

Nel V libro del Repubblica viene il momento di definire cosa sia il vero filosofo, perché si possa cercare di costituire una società giusta a far principio dai suoi governanti:

«Davvero – osservai – sarò costretto a tentare l’impresa, dato che mi offri una così preziosa alleanza. Orbene, se il nostro obiettivo resta quello di sfuggire alla presa di quei tali che sai, mi sembra necessario precisare a loro di quali filosofi parlo, quando osiamo dichiarare che essi son chiamati al comando. In tal modo, una volta che questi siano ben identificati, ci sarà possibile difenderci, mostrando come a costoro si addica, per un dono di natura, ad un tempo trattar di filosofia e reggere le sorti dello Stato, mentre agli altri convenga non mettere mano e seguire una guida».
«Direi– osservò – che è proprio l’ora d’arrivare a questa definizione».
«Suvvia, vienimi dietro, se mai ci riesca, in un modo o nell’altro, di giungere ad una spiegazione soddisfacente».
«Son pronto», disse[6].

Come ogni altro amante, che voglia possedere interamente l’oggetto del suo amore, anche il filosofo evidenzia una dedizione amorosa alla sapienza con tutto il suo essere e i suoi atti, egli vuole possederla in tutti i suoi aspetti, completamente, nella sua interezza[7]. Perciò colui che ha una vera attitudine filosofica presenta un amore univoco innato per la conoscenza del vero, nella sua totalità, quindi è disposto, con tutto se stesso, alla conoscenza più grande, alla conoscenza integrale. Egli giunge a questo fine in quanto “… non vede l’ora di assaporare ogni disciplina, gettandosi con gioia nello studio senza mai saziarsene. Costui avremmo o no diritto di chiamarlo filosofo?”[8]. Ne deriva che colui che non ha amore per l’apprendimento e non ha capacità razionali per distinguere ciò che è piacevole da ciò che gli nuoce, non si potrà dire amico della cultura o del sapere, pertanto non è filosofo[9]. In particolare, i filosofi non sono coloro che amano svolgere cose di ogni genere o banali mestieracci, ma vogliono contemplare la verità[10], con ogni loro disposizione puntano all’essenza reale e permanente delle cose, e non si soffermano sulle loro apparenze, perciò, in rapporto al Bello, non si arrestano alle cose belle, perché rimarebbero ancora nella dimensione del “sogno”, ma ascendono fino al Bello in sé e lo contemplano nella sua assolutezza, senza confonderlo con le cose che partecipano di Esso. Quella visione è data dalla contemplazione della verità della Bellezza, che trascende ogni apparenza ed è propria di chi è “sveglio”, mentre chi “sogna”, il non filosofo, rimane suggestionato dai fantasmi del Bello.

Platone sceglie l’Idea del Bello per spiegare la natura delle idee a cui la prassi conoscitiva filosofica tende, idee che il non filosofo non sa contemplare, né amare. Il Bello è il modo in cui principalmente il Bene si attua e si rende manifesto nella dimensione corporea del mondo sensibile, mentre possiamo dire che il Giusto è il modo del Bene che più attiene all’anima e alla sua volitività, e il Vero è il modo del Bene che attiene all’intelletto, mentre il Buono riunisce tutto l’insieme del Bene e si addice ai suoi diversi atti costitutivi. Dunque ciò che attiene al Vero è conoscenza, ed è propria del filosofo, ciò che attiene all’apparenza del vero è opinione ed è propria del non filosofo[11]. La scienza a cui tende il filosofo è inerente all’Essere, perciò è vera scienza, perché solo la conoscenza che attinge l’Essere è vera. Al filosofo non si addice la sfera del non essere a cui inerisce l’ignoranza, ma nemmeno la sfera intermedia fra essere e non essere, che riguarda l’apparente, l’opinabile, e alla quale inerisce l’opinione, ad esso si addice solo la sfera dell’Essere, della Realtà, a cui inerisce la scienza vera. Per cui solo quelli che amano l’essere sono i veri amici della sapienza, i filosofi, e non vanno confusi con gli amanti dell’opinione[12], i filodossi. Il filosofo è dunque chi ama l’Essere in sé e in tutte le forme della sua immanenza nelle cose, egli non ama l’opinabile ma il sapienziale, e intende le cose in se stesse e vede in tutto l’Essere, perciò il suo sguardo è sempre dall’Uno e secondo l’Uno. Il filosofo non arresta il suo interesse alle arti poietiche, né si limita alle arti pratiche, perché il dominio della sua anima si dispiega nelle arti teoretiche, dalle quali dipendono tutte le altre. Tutti coloro che non hanno una visione “ideale”, e non sono neanche in grado di acquisirla sotto la guida di un altro, rimangono confinati al livello dell’opinazione, dell’apparenza, e non giungono mai alla scienza, perciò non possono essere felici:

«Pertanto, coloro che vedono le molte cose belle, ma non il Bello in sé e, oltre a ciò, non hanno neppure la capacità di seguire le orme di chi ad esso potrebbe guidarli; coloro che colgono le molte cose giuste, ma non il Giusto in quanto tale, e così dicasi per tutte le altre realtà, ebbene costoro avranno bensì opinioni, ma nessuna conoscenza di queste cose».
«Necessariamente, ammise».
«E che dire di coloro che contemplano ciascuna di queste realtà che sempre rimane identica a se stessa e nel medesimo modo? Non diremo che hanno conoscenza e non opinione?».
«Anche questa volta non può essere diversamente»[13].

Dunque il vero filosofo ha sempre di fronte a sé l’Essere Immutabile perciò è il solo che, “…può attingere alle realtà che sono sempre nello stesso modo e identiche a sé, mentre quelli che non hanno questa capacità vanno errando tra le molte realtà che sono in molti modi e per questo non sono filosofi…”[14]. Ma coloro che non sanno “… guardare a ciò che è assolutamente vero, né farvi costante riferimento, contemplandolo quanto più è possibile attentamente…”[15] non sono diversi da ciechi, perché sono privi, in ogni cosa, della conoscenza di ogni essere vero e nell’anima non serbano alcun paradigma, perciò questi ciechi non possono fare i Custodi e dirigere la città, perché non possiedono i criteri immutabili del Buono, del Giusto e del Bello e perciò non li possono attuare nell’opera politica, né in qualsivolgia altra opera.

Una volta fissato lo stato e la disposizione del vero filosofo occorre definire le qualità innate del soggetto destinato a divenire filosofo attraverso l’educazione filosofica. Innanzi tutto la valutazione del candidato alla filosofia deve essere fatta fintato che è giovane, entro i diciotto-ventuno anni, egli deve per prima cosa “… prediligere la sostanza che sempre è e non muta mai nel senso della generazione e della corruzione[16], il filosofo non abbandona mai questa scienza e ne cura tutti gli aspetti come quelli che amano cibo, sesso, onori. Rivelando la sua natura fin dalla prima giovinezza, e amando su ogni cosa la verità e la veracità, è totalmente refrattario alla menzogna, alla falsità e alla calunnia e combatte queste alterazioni dell’essere in ogni modo. L’uomo filosofico si è portato con attitudine innata verso la più alta meta del conoscere, avendo una scarsa o nulla attrazione per i piaceri sensibili e tendendo tutto il suo essere alla scienza intelligibile con instancabile dedizione. Nella sua forma geniale l’anima filosofica presenta già una basilare affinità con il suo oggetto d’amore, il Bene, la Misura Divina Perfetta, perciò l’anima filosofica ha una precoce tendenza all’ordine, alla misura, alla temperanza, mentre una natura non dotata e non colta non può che esprimere disordine e dismisura[17]. L’anima filosofica non è attratta da ricerche di oggetti materiali o da piaceri, non è meschina, né misera o vile, ma tende ad innalzarsi al Cielo, alla nobiltà, alla signoria, alla magnanimità. Inclinata per natura alla fedeltà, alla sincerità, (in lei pensiero e azione coincidono), alla giustizia, alla mitezza, (rifugge le contese e le polemiche), alla benevolenza[18]: “si accosta agli studi e alle ricerche con calma, con sicurezza, con efficacia, insieme con grande mitezza, come un rivolo d’olio che scorre senza far rumore”. L’anima filosofica non avrà nemmeno paura della morte corporale, portata alla quiete e alla pace, questa anima incede nella vita in modo armonico, con un corpo proporzionato, simmetrico e bello, avente linee gentili e tratti luminosi[19]. La natura filosofica, nel suo complesso, esprime l’eccellenza della natura umana, perciò, quando viene posta correttamente in atto con la dovuta paideia, il filosofo esprime la perfezione della virtù e la sua vita si compie divinamente secondo il suo essere proprio.

In particolar modo le virtù naturali dell’anima filosofica la predispongono all’apprendimento e alla conoscenza, a far principio da una vasta, profonda e salda memoria, che è una qualità apollinea, un segno della presenza in essa dell’essere, di ciò che stabilisce nella permanenza l’impermanenza. L’anima filosofica presenta poi grandi capacità di attenzione e concentrazione, così come una certa stabile presenza a sé e una trasparenza all’essere, la sua intelligenza è acuta, vivace, aperta e flessibile, inoltre è assai portata all’astrazione[20]. Fin da bambino il potenziale filosofo primeggia fra tutti i compagni e tende tutti i suoi atti all’eccellenza, questa inclinazione, se non è ben educata nel senso filosofico, può però divenire alterazione superba autodistruttiva[21]. Tutti coloro i quali non hanno queste doti naturali e presentano menomazione nel corpo, ma soprattutto nelle manifestazioni dell’anima, non hanno una vera natura filosofica, nel caso ne siano quasi completamente privi, questi uomini rappresentano la negazione dell’essere filosofo. Risulta pertanto completamente inutile immettere costoro nella via filosofica, persino una perdita di tempo e forze, con la possibilità di erronee reazioni maligne improprie da chi si sente trascinato fuori dalla sua dimensione di “sogno” e illusione.

Solo i veri filosofi sviluppano un’autentica intelligenza, una qualità che è affine alla natura dell’Essere che sempre è, il solo che vada amato con tutta l’anima, pertanto

«Chi ama il sapere dev’essere per natura proteso verso l’essere, non perdendosi dietro alla molteplicità dei particolari che è oggetto di opinione, ma andandosene dritto per la sua vita, senza tentennamenti, senza desistere dal suo amore, finché non abbia colto nella sua essenza l’essere di ciascun oggetto particolare con quella facoltà dell’anima che è destinata a comprendere una tale realtà; ed è destinata a comprendere una tale realtà; ed è destinata a ciò perché è della sua stessa natura. Ora, non credi che solo per mezzo di questa facoltà uno, accostandosi e fondendosi intimamente con l’essere che è veramente e generando intelligenza e verità, riuscirebbe a conoscere e quindi a vivere una vita autentica, e solo a questo punto, ma non prima, grazie a un cibo nutriente, finalmente si libererebbe dalle doglie del parto?»[22].

Il vero filosofo vuole fondersi interamente con l’Essere, è proteso solo a generare nell’intelletto, nel nous, verità, aletheia, nutrendosi dell’Essere, così egli conosce e vive veramente, e pone fine ad ogni travaglio inquieto, perché trova il suo riposo e il suo perfetto stato di salute. Il filosofo perciò non si perde nella molteplicità dei particolari e delle cose contingenti, che non hanno un carattere essenziale, ma procede direttamente verso la meta, l’Essere, l’Uno, senza alcuna esitazione, senza desistere dal proprio amore e ordinando tutta la sua vita a tale scopo.

L’invito alla filosofia è accolto da molti, ma solo a parole, lasciate le parole pochi accolgono veramente l’insegnamento, i molti appaiono solo come “tristi figuri in tutto viziosi”[23], gente inutile e malvagia, incompatibile con la filosofia, nei confronti di costoro anche il più grande Maestro con la sua dialettica e la sua retorica non riesce a determinare la conversione, anzi si attira ira, perché non può forzare il suo interlocutore a preferire il bene della verità al suo desiderio di piacere, ricchezza, onori, comodità. L’uomo perverso ha un’anima tarata e non ha il Dio favorevole, per cui la sua volontà non sarà mai adeguatamente determinata in senso filosofico. I molti mostrano malvagità e debolezze diverse, inoltre su di loro grava una precisa nemesi, che li piega a diverse pene da pagare, perciò essi sono facilmente distolti da vane occupazioni e inoltre sono sviati dai sofisti che rovinano la loro vita[24]. I sofisti sono un pericolo anche per i giovani dotati di natura filosofica, ai quali è raccomandata un’accurata selezione di un buon Maestro di filosofia. La questione della “scelta” del maestro è cruciale, ma è molto complessa e profonda, in questo libro ne trattiamo solo in modo sintetico e introduttivo, così come tutto il resto. Come può il meno valutare e scegliere il più? Colui dal quale l’aspirante filosofo riceve l’insegnamento ha un potere enorme, può beneficiare o danneggiare anche in maniera definitiva l’anima, pertanto l’affidamento ad un Maestro deve avvenire con la massima cautela, ma, una volta che si è scelto si deve obbedire alla sua direzione filosofica senza alcuna riserva. Nel Lachete Socrate esorta se stesso e gli interlocutori a darsi da fare per migliorarsi e per migliorare qualcuno se ne hanno la possibilità, ma in particolare egli invita a non vergognarsi, ad ogni età, di fare ricorso al migliore Maestro possibile per esserne migliorati:

Ma, stando così le cose, ascoltate il mio consiglio. O amici, io dico, e nessuno lo divulghi, che bisogna che noi insieme ricerchiamo, innanzitutto per noi che ne abbiamo bisogno, poi per i ragazzi, il maestro migliore possibile, senza risparmiare né denaro, né altro mezzo; certo non mi sento di suggerire di lasciare noi stessi nella condizione in cui siamo. Se poi qualcuno riderà di noi per il fatto che, a questa età, riteniamo opportuno ancora frequentare un maestro, sarà opportuno citargli Omero, il quale disse non buona la vergogna per chi ha bisogno. Quindi, senza curarci di eventuali commenti, prendiamoci cura insieme di noi stessi e dei ragazzi[25].

Nella ricerca e nell’affidamento ad un Maestro filosofo si rileva modestia. L’azione protreptica e quella ironica portano il soggetto a prendere coscienza della sua ignoranza e del suo bisogno, perciò egli non si vergogna, anche se la sua persona è avanti con l’età, di farsi discepolo, cercando il dovuto aiuto da chi può darglielo. Il vero Maestro a cui ci si affida sa rendere saggi e dunque sani e liberi dalla sofferenza, con precisa volontà, quanti si fanno suoi discepoli non vengono danneggiati come fossero soggetti ad un sofista, il quale deposita il suo “nutrimento” nell’anima credula danneggiandola in diversi modi e spesso irreparabilmente[26]. Ma anche il Maestro deve scegliere molto accuratamente i discepoli, invitandoli dapprima a rendere conto delle loro conoscenze e poi della loro condotta morale, come ha sempre fatto Socrate saggiando la volontà filosofica dell’interlocutore dopo averlo sottoposto ad una approfondita confutazione attraverso il suo metodo ironico[27]. La “tortura” alla quale Socrate sottopone i suoi interlocutori è necessaria a valutarne le vocazioni, egli produce un effetto “scossa” come la torpedine[28], la quale, una volta fatta emergere la soggezione dell’anima alla completa ignoranza, mette in moto un processo convertivo oppure un rifiuto dell’invito alla conoscenza della verità. Solo colui che non rifiuta la confutazione, e non evita di cambiare opinione ritirandosi dal dialogo catartico, riconosce realmente il suo essere e si fa umile di fronte a colui che gli ha reso possibile occuparsi del male a cui era afflitto, egli diviene riconoscente e grato al suo potenziale Maestro e si rende totalmente disponibile ad abbandonare la sua presunta conoscenza e la superbia che su essa si fonda. Il vero discepolo è colui che intende cambiare completamente vita perché vuole diventare filosofo, a cominciare dall’obbedire completamente ai consigli del Maestro, mettendoli in pratica rigorosamente in modo attivo e consapevole, senza abbandoni irrazionali all’autorità filosofica. Solo se mostra questa disposizione il Maestro accoglie il discepolo e lo aiuta, altrimenti, come con ogni altro che non abbia la stessa disposizione, sarebbe un’inutile perdita di tempo avviarlo alla filosofia[29]. Purtroppo la relazione col Maestro può complicarsi lungo la via filosofica, questo succede in genere per defezioni del discepolo, le cui qualificazioni e la debolezza di natura potrebbero rendere impossibile seguire il Maestro oltre un certo limite, perciò, se l’impegno si fa molto oneroso, il discepolo potrebbe anche ritirarsi dalla relazione e persino dalla via, con gravi conseguenze per lui.
_______________

[1] Platone, Teeteto, 172 c-177 c.
[2] Plotino rimarca la qualità aristocratica dei veri filosofi platonici e perciò anche il carattere elitario dell’insegnamento filosofico: “… questi nostri discorsi non sono rivolti a tutti…”, Plotino, Enneadi, V, 8, 2. In contrasto a tutti gli insegnamenti dei Maestri della tradizione platonica vi sono oggi persone ed enti che praticano e promuovono la filosofia platonica in modo totalmente democratico e volgare, spingendo i molti, hai polloi, senza alcuna relazione a pracisa prassi contraria alla “pratica filosofica” o addirittura alle mutazioni e al conto di “inni teurgici”. I molti, tuttalpiù, possono avvicinarsi alla filosofia epicurea, o con già più grande ______ di filosofia stoica, mentre la filosofia paripatetica e ancor più quella platonica sono decisamente elittarie aristocratiche. In tal modo si favorisce il già spirito _______ temerario dell’uomo postmoderno e di fatto lo si allontana dalla retta vita filosofica. I diversi imbonitori non sanno poi sottrarsi al continuo sproloquiare oggi formato dai più diversi mezzi tecnologici.
[3] Platone, Repubblica, VI, 491 d-494 e.
[4] Platone, Simposio, 215 d- 216 b.
[5] Platone, Repubblica, V, 473c-d.
[6] Ibidem, V, 474b-474c.
[7] Ibidem, V, 474 b-c.
[8] Ibidem, V, 475 b-c.
[9] Ibidem.
[10] Ibidem, V, 475 e.
[11] Ibidem, V, 476 d.
[12] Ibidem, VI, 484 a.
[13] Ibidem, V, 479 e.
[14] Ibidem, VI, 484 b.
[15] Ibidem, VI, 484 c.
[16] Ibidem, VI, 485 b.
[17] Ibidem, VI, 486 b.
[18] Platone, Teeteto, 144 b-e; Aristotele, Etica Nicomachea, 1126 b 19segg; 1155 b 31-1156 b30-1167 b 21.
[19] Platone, Repubblica, VI, 485 c – 486 c.
[20] Ibidem, VI, 486 d – 487 a.
[21] Ibidem, VI, 494 b – c.
[22] Ibidem, VI, 490 a-b.
[23] Ibidem, VI, 490 d.
[24] Ibidem, VI, 491 a-492 c.
[25] Platone, Lachete, 201 a-b.
[26] Platone, Protagora, 314 a-b.
[27] Platone, Lachete, 187 c-188b.
[28] Platone, Menone, 79 e-80d.
[29] Platone, Lettera VII, 330 d-331b.

(tratto da L.M.A. Viola, Psyches Therapeia, vol. II)

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