Se l’anima non ha prodotto una completa conversione alla vita intellettuale dedicata completamente alla conformazione a Dio, una conversione che metta in gioco tutta l’anima, e perciò anche ogni suo pensiero, parola e condotta, non si può costituire il vero filosofo. Nella Lettera VII Platone afferma chiaramente che l’uomo deve decidersi a scegliere la via di vita filosofica, la via meravigliosa, la quale, fondata su una completa conversione dell’anima e del suo eros, è univocamente intenta alla pratica della melete thanatou, che è lo scopo fondamentale della filosofia, divenendo progressivamente sempre più centrato nell’Essere Divino, fino a risolvere ogni limite e determinazione nell’Essere Infinito stesso, attraverso la contemplazione dell’Uno, assimilante prima e identificante poi.

Colui che sa rendere veramente coerente la sua vita con la verità, è un vero filosofo e lo si vede in tutti i suoi gesti, altrimenti egli conserva sempre qualche elemento che rende inadeguata e incompleta la sua conversione, in tal caso non è possibile che egli raggiunga anche un solo minimo grado di progresso nella via della filosofia, pertanto, a fortiori, non può giungere alla vera sapienza. Se nell’anima rimangono occultamente presenti attaccamenti al piacere, al denaro, all’esistenza sensibile, o a qualsivoglia altro elemento che appartenga al non essere, all’apparenza, alla contingenza, la vera disposizione filosofica non può costituirsi, perciò il soggetto non riesce a porre in atto efficacemente quel genere di vita che conduce a sophia, quindi non riesce a creare coerenza fra la sua vita, i suoi discorsi e i suoi pensieri. Se ci si deve muovere per un viaggio, nulla deve bloccare il viaggiatore, ma se esso è legato ad un palo con una grossa corda o con un piccolo spago, poco importa, egli è trattenuto al palo, e fintanto che non recide anche il più tenue filo che lo lega passionalmente al corpo e al mondo egli non potrà dare avvio alla vera pratica filosofica.

La centratura dell’anima del filosofo sull’Essere Divino avviene gradualmente, per un certo tratto della conversione ci sarà sempre uno scollamento fra ciò che in lui tende in una certa direzione viziosa e ciò che invece tende al Bene. In questa condizione di dipsichia l’assunzione del regime filosofico sarà inautentica, ma seppure alcuni principianti vedranno in questa modalità della pratica non del tutto coerente un minus, è meglio obbedire in qualche modo alla Legge Divina, coercendo anche con forza ciò che recalcitra, piuttosto che essere abbandonati all’ingiustizia, meglio rimettersi sempre all’Ordine Divino, anche con grandi travagli, piuttosto che giacere nell’anarchia e nella licenza. Chi pensa di stare “tranquillo”, perché non prova disagi o avverte forzature, pur non attuando una condotta di vita retta, mostra una grande superbia.

Se l’anima non determina in sé la scelta fondamentale di vita, non potrà in alcun modo emanciparsi dalla miseria, dall’angoscia, dal male nella quale si trova immersa. Per essa è una disgrazia non intraprendere la via filosofica, è una vera disdetta la mancanza di comprensione 8dell’importanza assoluta di incamminarsi lungo la via che conduce al Bene, qualsiasi altro apprezzamento in senso contrario mantiene l’anima vincolata al male e alla sofferenza, senza scampo. Fintanto che l’anima, a partire dalla sua duplice ignoranza, non avrà disprezzato completamente lo stato nel quale si trova e mantiene la presunzione di agire libera in modo indipendente da Dio, fondando sulla sua attività titanica individuale, niente gli sarà possibile e passerà di illusione in illusione, crederà di essere filosofa o persino sapiente, senza mai cogliere la verità.

(tratto da L.M.A. Viola, Psyches Therapeia, vol. II)

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