
La via filosofica platonica costituisce una psicoterapia integrale, essa consente di realizzare la henosis, la completa unificazione dell’Essere, per la quale l’anima, stabilendosi nell’Identità Suprema, si libera completamente dal male e da ogni sofferenza, per cui consegue la Salute Perfetta.
La filosofia tradizionale platonica è tutta volta a svelare l’Identità Divina Suprema, senza alcun indugio limitativo sulla contemplazione delle Idee o dell’Essere Intelligibile stesso. Una volta che l’anima ha attualizzato il centro del suo essere trascendente, l’intelletto increato e increabile, si costituisce nell’Unità dell’Essere Intelligibile e opera la perfetta autocontemplazione di sé, per cui rimuove ogni alterità intelligibile e resiede nella perfetta identità dell’Uno che è. Questo risultato dell’ascesi psicoterapeutica, permette di elevare l’anima al di là di ciò che non è vita perfetta e la stabilisce in ciò che è completamente privo di deficienza. L’elevazione non si arresta però al “contatto”, né all’unione relazionale, perché questi sono conseguimenti intermedi nell’ascenso completo, sono stati di realizzazione che si costituiscono quando ancora l’intelletto non si è pienamente integrato e risolto nell’Uno stesso. La realizzazione metafisica integrale del Bene Perfetto prevede uno spogliamento completo dell’essere reale dell’anima da tutte le sovrapposizioni che ad esso si sono aggiunte a causa della sua catabasi nei diversi stati dell’esistenza. La nostra vera natura, la nostra sostanza ultima, che differisce interamente da ogni attività determinata e molteplice, coincide con l’Uno, che è al di là dell’Essenza e persino dell’autosufficienza essenziale[1]. Esso, l’Uno, non è mai “esteriore” a noi, sino a che lo si ritiene esteriore alla propria vera identità non si svelerà mai: “A nessuno è stato detto Egli è esteriore, ma a tutti, senza che lo sappiamo, Egli è presente. Essi [gli Intelletti], nella contemplazione determinata, fuggono da Lui, o meglio da se stessi”[2].
Non ci deve essere alcun dubbio sulla “interiorità” dell’Uno a noi stessi, né deve esservi dubbio sul fatto che l’attingimento all’Identità Divina Suprema richieda il superamento del mondo intelligibile, occorre essere senza indugi, bisogna lasciare l’intelligenza e la stessa essenza, per svelare la coincidenza del nostro vero essere con “l’immobilità” suprema dell’Uno.
La perfetta aplosis-henosis, che si stabilisce con l’ascesi filosofica integrale, è pressoché identica alla realizzazione della “perfetta unificazione isolata dall’essere” descritta in diverse tradizioni spirituali, come il kaivalya della tradizione Yoga, ovvero lo stato della “unità isolata” del Purusha da tutte le sue determinazioni ipostatiche, questo è il “riposo” unitario assoluto che si compie nell’estinzione nella Natura Divina Suprema dell’Uno. La Aplosis integrale, la realizzazione dell’Unità senza dualità, e la Salute perfetta, che ad essa inerisce, si ottengono con la rimozione di ogni alterità, dunque costituendo la perfetta enstasis[3] dell’anima nell’Uno. La realizzazione perfetta dell’Unità Divina Suprema non è un “unirsi” ad altro, ciò che si attua nella aplosis-henosis è il risultato dell’estinzione progressiva di tutte le determinazioni ipostatiche dell’Essere, ovvero anche delle facoltà determinate della sostanza dell’Essere Intelligibile e, a fortiori, delle facoltà del soggetto individuale determinato. Quando l’essenza dell’anima raggiunge l’autoconoscenza immediata, conosce se stessa come l’Essere stesso di tutti gli enti, ma la distinzione relazionale fra sé-intelletto e l’Essere Intelligibile permane ancora. Nel momento in cui l’anima ascende all’intellezione semplice sovraindividuale, le distinzioni relative fra il soggetto individuale e il Soggetto universale vengono annullate, rimanendo solo l’Unità Essenziale dell’Essere Divino. Ma la semplicità assoluta prevede la rimozione di ogni termine di relazione e di ogni determinazione, per costituire l’unità che trascende sia la relazione fra l’ego e il Sé, cioè la relazione fra l’anima e Dio, sia l’unità dell’Essere intelligibile, esperienza definita da queste parole:
Perciò, quando il contemplante vede se stesso, dovrà vedersi così com’è, o meglio, sarà unito a se stesso così com’è e avrà coscienza di ciò che è perché è diventato semplice ed avrà conoscenza unitaria di ciò che è perché è diventato semplice[4].
La perfetta aplosis però prevede la trascendenza della coscienza semplice e unitaria, in quanto nell’Uno non vi è alcuna coscienza determinata di Sé, sia essa universale o individuale. Il perfetto A-Pollon, privo di ogni molteplicità, dualità, relazione e distinzione è perciò assolutamente semplice, senza parti e senza dualità, così è anche l’Essere Totale, Unità Integrale di conoscere-essere senza soggetto e oggetto.
Da Pitagora fino a Plotino e a Damascio, ciò che è rigorosamente Uno è stato ritenuto assolutamente ineffabile,[5] il realizzato che ha “raggiunto” la pienezza dell’Essere Totale, come nelle diverse religioni integralmente metafisiche, ha risolto il dominio dell’Intelligibile nell’Unità Divina Suprema, perciò egli comprende in Sé tutte le cose, stabilito nella Pienezza della Perfezione della Sovrapersonalità Infinita e Assoluta di Apollo. Tutta l’Esistenza Universale risulta così reintegrata nella trasparenza dell’Uno e ogni ente viene immediatamente conosciuto nella sua principialità infinita. Lo “stato” del Perfetto consente di attualizzare integralmente nell’immanenza la perfezione gloriosa della Bellezza implicita nell’Uno e nella Sua Potenza, mediante la “henofania” della Misura Suprema, ovvero del Bene, in tutti i piani dell’Esistenza Universale. Nell’attuazione della “realizzazione discendente” il Perfetto compie la Rivelazione Completa dell’Uno, così rende evidente la Trascendenza Divina nell’immanenza, oltre ogni dualità. Questa Rivelazione Integrale è alla base delle religioni metafisiche complete, le quali presentano un carattere assolutamente “positivo” e “totalizzante” e dunque omnicomprensivo, perciò attraverso il loro complesso rituale attuano la completa “apollinizzazione” di ogni ente determinato. In queste religioni, in virtù della radicale immanenza del Divino in ogni istituto costituito, viene prodotta la sacralizzazione integrale di ogni aspetto dell’esistenza, personale e civile, l’intera dimensione della civiltà che fonda su queste religioni ne viene investita. Le tradizioni spirituali che hanno continuato la tradizione religiosa delle origini hanno costituito delle civiltà henofaniche, nelle quali il Divino, nella sua impersonalità assoluta, traspare evidente in ogni loro istituzione.
La tradizione filosofico-religiosa pitagorico-platonica presenta dunque un carattere integrale, nel suo insieme è un’espressione della continuità della Religione Divina delle origini dell’umanità, la quale, in diversi modi, si è conservata in vari sviluppi regolari fino al tempo attuale. Il suo cuore è costituito dalla realizzazione dell’Identità Divina Suprema e della Perfezione Integrale del Bene, questa realizzazione è completamente condivisa con le tradizioni divine analoghe. L’Uno, di cui trattano i Maestri della tradizione, non è Ente, né Essenza, non è Soggetto né Oggetto, non è percepito, non è pensato e non è intelligito[6], la sua “realizzazione” richiede l’estinzione integrale di ogni relazione e dualità, perciò si colloca al di là e al di sopra di ogni soggettività e di ogni oggettività, e dunque anche al di là della stessa polarità ParamAtman-Maya definita dall’Induismo vedantico, polarità analoga a quella Uno-Diade della tradizione platonica. L’assolutamente ineffabile è ciò che noi, per indicazione imperfetta, diciamo Uno-Uno e può essere comparato al ParaBrahman o al Parinirvana, Realtà non duali che non presentano alcuna traccia di determinazioni. La pura soggettività universale corrisponde all’Uno che è, al Primo Intelligibile autointelligente, il quale, cogliendosi come soggettività pura onnicomprensiva, allo stesso tempo fonda e comprende l’intera dimensione intelligbile dell’Essere, che include l’Intelletto Divino e ogni sua determinazione, perciò anche l’unità molteplice delle essenze eterne di tutti gli enti. L’atto con cui il Divino produce la sua autodeterminazione essenziale definisce l’affermazione universale “Ego svm qvi svm”, affermazione che si ritrova formulata in modo analogo nelle diverse tradizioni esoteriche ed iniziatiche integrali. Ma l’autodeterminazione divina pone il svb-iectvs, ovvero ciò che è “gettato sotto”, perciò non riguarda ciò che trascende ogni soggettività, ovvero l’Identità Metafisica Suprema che oltrepassa ogni soggetto ed anche la pura consapevolezza “testimoniante” ogni stato dell’Essere, perché l’Uno-Uno è totalmente non duale e arelazionale, per cui non può “testimoniare” nulla.
Quando si adoperano le definizioni di Identità Suprema o di Realtà Integrale occorre tenere presente che tali locuzioni presentano dei limiti, in quanto possono dare l’illusione di essere termini con contenuti soggettivi o oggettivi. Anche la “Medesimezza”, termine che traduce approssimativamente ciò che il Buddismo chiama “Talità” o “Tathata”, o, ancora, la “Esseità”, riguardano sempre “qualcosa”, perciò non vi sono termini che possono indicare l’Unità Assoluta arelazionale. Allo stesso modo non si può indicare con termini parziali la realizzazione metafisica integrale, come qualcuno invece fa definendola “esperienza integrale”, perché l’esperienza, nel caso della statuizione nella Trascendenza Assoluta, viene oltrepassata da almeno due gradi di realizzazione.
Secondo il Maestro platonico Damascio, l’identità determinata dell’anima, in quanto ragione, deve estinguersi attivamente nella sua sostanza intellettuale, la quale costituisce l’essenza determinata del soggetto individuale, lo stesso intelletto deve poi estinguersi attivamente nel Sé Universale, identificandosi ad Esso totalmente, come vuole anche Plotino. Ma la via platonica prevede la realizzazione dell’unificazione attiva sovraessenziale, un’unificazione che non può essere prodotta da uno “slancio” o da qualche atto “volitivo” o “amoroso” di carattere determinato o relazionale, perché l’unificazione perfetta può avvenire solo per la cessazione di ogni slancio, con l’arresto di ogni moto rivolto ad altro: nella stasi nella permanente presenza dell’Essere, nel silenzio di tutte le potenze determinanti, si svela la Pura Quiete e l’immobilità perfetta dell’Uno. Quando viene estinta anche la visione essenziale si realizza la coincidenza dell’essere determinato che conosce con il Fondamento di ogni conoscenza, così si svela la stessa natura e la sola identità, nella quale sia l’anima, in quanto soggetto conoscente individuale, sia Dio, in quanto oggetto terminale della conoscenza, si estinguono. Nella presenza dell’Assoluto non duale, nell’Identità Suprema perfettamente ineffabile, viene oltrepassato tutto ciò che ha un carattere limitativo, ogni elemento che risulti essere di ostacolo per la realizzazione metafisica integrale. Anche la stessa beatitudine universale determinata risulta essere trascesa, perché limita la realizzazione all’Uno che è, della relatività della beatitudine causale parla una scrittura del Vedanta Advaita, che tratta della via metafisica assoluta:
…Situato più all’interno è il Sé fatto di Beatitudine (anandamaya-kosa), da Lui è riempito. Questo, invero, è foggiato a mo’ di uomo, quindi può essere scambiato per un individuo. La gioia è la sua testa, il piacere è il suo lato destro, il godimento il suo lato sinistro, la felicità il suo corpo, il Brahman il suo sfondo, il suo sostrato-supporto[7].
La beatitudine, anche quella divina, non attiene alla realizzazione dell’Identità Suprema, la quale, secondo il Vedanta, si attua nel Turiya.
Questo corpo fatto di beatitudine non può essere il supremo Atman (naivayamanandamayaḥ paratma) perché è un semplice rivestimento (sopadhikatvat), perché è una modificazione della sostanza-natura (prakṛtervikarat), perché è l’effetto di azioni meritorie (karyatvahetoḥ), perché è inserito nelle altre guaine-corpi che sono anch’esse modificazioni (vikarasaṁghatasamahitatvat)[8].
La Suprema Beatitudine Incondizionata, Parananda, dell’Essere Puro, che è altresì Sat e Cit in modo infinito, non è fruibile da “qualcuno”, dalle anime, perché in essa non vi è qualcuno che sperimenta qualcosa di altro:
Questo Atman è considerato autorisplendente e distinto dai cinque (pañca) involucri corpi (kosa); esso è il Testimone dei tre stati (avasthatrayasakṣĭ), è senza cambiamento (nirvikaro), è senza maculazioni (nirañjanaḥ) ed è eterna beatitudine (sadanandaḥ). Il saggio deve realizzarlo come il suo Atman (vijñeyaḥ svatmavena)[9].
L’Essere Divino Integrale è Consapevolezza e Beatitudine infinite, questo Essere deve essere realizzato dal conoscente, senza dualità, come il Vero Essere Assoluto, secondo il Vedanta, come il proprio Atman, come dice Plotino, parlando del fatto che l’Uno è la vera realtà, il vero essere dell’anima[10]. Il puro Atman è il “luogo” dell’Essere Puro, nel quale il Supremo è centrato nella predeterminazione unitaria dell’Ente. Il Supremo, il Brahman, è Uno senza parti, senza pluralità, né determinazioni o alterazioni, dunque è libero da ogni origine e generazione, altresì da ogni attività creativa e quindi da ogni rapporto con le modificazioni e le distinzioni ontologiche, di qualsiasi tipo esse siano. Perciò ad essere rigorosi, il Divino Supremo è al di sopra della stessa Testimonianza dei tre stati universali: ontologico, cosmologico e psicofisiologico. L’Atman è il “luogo” del Brahman nel quale viene fondata la predeterminazione dell’Ente Universale, perciò l’Atman è preintelligenza e preessenza, perché non è un atto distinto che coglie altro. Puro conoscere, pura beatitudine, puro essere senza oggetto, né essenza, l’Atman trascende anche l’autocontemplazione del Primo Dio. Privo di molteplicità, di qualsiasi tipo, l’Atman è oltre la triplicità del conoscente, del conosciuto e del conoscere, perciò lo “stato” dell’Atman, “il Quarto”, che si realizza nel Turiya Caturtha, è il sostrato non duale di tutti gli stati dell’essere relativi e dei contenuti ad essi inerenti, che sono sovrapposti allo stesso Atman. Lo stato Turiya equivale però “solo” allo stato indeterminato dell’Essere, a ciò che, secondo il Vedanta, è il Brahman Nirguṇa, cioè Non qualificato, perciò questo stato attiene alla “Esseità” pura sovraessenziale e senza secondo. In quanto “zero” metafisico, il Brahman Nirguṇa trascende anche l’unità metafisica dell’Essere Essenziale e dunque il dominio del Primo Ente Intelligibile:
I Saggi pensano che il Quarto – che non ha conoscenza né del mondo interno (soggettivo) né di quello esterno (oggettivo), né contemporaneamente di quello e di questo, e che, infine, non è (nemmeno) un’unità di coscienza integrale poiché non è né cosciente né incosciente – sia adṛṣṭa: invisibile, avyavaharya: non agente, agrahya: incomprensibile, alakṣaṇa: indefinibile, acintya: impensabile, avyapadeśya: indescrivibile; esso è l’unica pratyayasara: essenza della conoscenza di sé, senza alcuna traccia di manifestazione, pienezza di pace e di beatitudine senza dualità: esso è l’Atman e come tale deve essere conosciuto[11].
La consapevolezza pura dell’Atman, senza alcuna presenza dell’essenza individuale, né dell’Essenza Universale, si attua nel Nirvikalpa Samadhi secondo l’Advaita Vedanta, nel Nirbija Samadhi, secondo il Jñana Yoga e il Raja Yoga, nel Nirvana secondo l’Arya Marga, il Buddismo.
Ma è noto che la realizzazione perfetta dell’Identità Divina Suprema, della Realtà Integrale e Assoluta, viene espressa come Turiyatita nell’Advaita Vedanta, ovvero come “ciò che è oltre il Quarto”. La Suprema Realtà Assoluta trascende persino la distinzione dei quattro stati e perciò anche lo stato di “testimonianza suprema” dell’Atman, in quanto ciò che è “oltre il Quarto” non è rivolto ad alcuno stato, essere o ente, in alcun modo, quindi non è nemmeno un’unità di consapevolezza, né il suo contrario. Il Raja yoga parla del Dharma-Megha-Samadhi o del Maha Samadhi, un Samadhi che trascende anche il Nirbija Samadhi, nel quale ogni consapevolezza, anche quella priva di oggetto e di contenuto, sia esso potenziale o attuale, si risolve in se stessa. Nel Buddismo si indica con il termine Parinirvana la perfetta e suprema estinzione dell’essenza e della sostanzialità determinata su tutti i piani, ma il Parinirvana include anche l’estinzione dell’estinzione, dunque costituisce l’assolutezza della Realtà Integrale, Paripurna, la Pienezza Assoluta che trascende il Samsara ma anche il Nirvana in modo perfetto. Nel Parinirvana è costituita la Perfetta Buddità, che si colloca oltre ogni Atman, secondo la dottrina metafisica assoluta dell’anatman, non essendovi, in ultima istanza, alcun Sé, ad ogni livello, in quanto ogni Sé costituisce una sovrapposizione velante e alterante il Perfetto Essere Assoluto. Nella via platonica la Realtà Assoluta trascende sia l’Unificato Essere, l’Essere Intelligibile, ma anche l’Uno inteso come Principio Supremo di ogni ente, o Uno-Bene, perciò il Perfetto Essere Assoluto, rigorosamente ineffabile e irrelazionato, viene indicato come Uno-Uno ed è svelato nella perfezione della Henosis-Aplosis Suprema.
La realizzazione metafisica platonica trascende l’orizzonte della deificazione presentata dalla Chiesa Cristiana della fede, che si colloca ben al di sotto della realizzazione dell’identità dell’Atman, ma anche, a fortiori, della Perfetta Realizzazione Suprema. La deificazione è solo una “deiformazione” dell’anima, che implica una perfetta somiglianza della stessa con Dio, un risultato che si ottiene grazie all’unione inconoscente, [agnostos], con l’essere sostanziale di Dio. Questa deificazione non è però ottenuta dall’anima per suo proprio atto identificante e risolvente, ma per via dell’unione sostanziale con Dio, dunque l’anima viene “deificata per grazia”. La specifica unione inconoscente viene trattata dal Vedanta come un limite a cui l’anima, il jiva, può arrestarsi nell’approssimarsi a Isvara, il Dio-Essere Essenziale. L’unione inconoscente del jiva con Isvara si attua nello stato di Prajna, che è proprio alla sfera causale divina:
Lo stato di prajna (prajñatvam) è così detto perché, a causa della sua natura di unità indistinta (aspaṣṭopadhitaya), è caratterizzato dall’assenza di chiara conoscenza (anatiprakasakatvat) [della conoscenza intellettiva individuale].
Mancando la distinzione soggetto-oggetto, non può aversi in prajña alcuna conoscenza-esperienza duale né, d’altra parte, la coscienza della Non-dualità. Così, dal punto di vista individuale, prajña rappresenta la dissoluzione della molteplicità-dualità nell’unità indistinta e inconoscibile – donde il nome – mentre, da quello della Coscienza pura e non duale, è l’unità qualificata [l’Unificato Essere] contenente in nuce le indefinite dualità, prima fra tutte quella cognitiva (soggetto-oggetto)[12].
L’assenza della chiara conoscenza, l’inconoscenza che si stabilisce nell’indifferenziazione dell’unità di coscienza che si realizza in Prajña, si produce temporaneamente quando il Jiva, l’anima, è assorbita in Isvara, il Dio che corrisponde all’Unificato Essere della tradizione platonica. In questo stato “unificato” viene fruita l’unione-unità sostanziale del Jiva–Isvara, che si concretizza nell’esperienza estatica dell’unità della “beatitudine divina”, dovuta alla “temporanea” elisione della determinazione individuale dell’anima stessa, che sperimenta lo stato precedente la sua determinazione causale, grazie al quale si annulla la differenza fra il soggetto conoscente individuale e l’oggetto universale della conoscenza. Per la metafisica suprema sia Isvara, che il Jiva, sono delle sovrapposizioni che velano la Realtà Divina Suprema dell’Atman-Brahman. La sovrapposizione di Isvara costituisce l’unità qualificata, il punto metafisico che contiene in nuce le indefinite dualità dell’esistenza, questo punto costituisce la prima determinazione della Maha Maya, analoga alla Diade o alla Materia Prima, la quale produce la limitazione essenziale principiale da cui procedono tutte le limitazioni essenziali secondarie nel campo dell’apparenza. Lo stato di Prajña, fondato su Isvara, costituisce già il primo effetto della nescienza metafisica essenziale, la quale può essere risolta solo trascendendo il dominio di Prajña, il dominio unitario dell’Essenza Divina Causale, con la relativa possibilità della visione unificata e dell’unione “agapica”.
Nella via metafisica integrale della filosofia platonica, la dimora divina della beatitudine essenziale, e dell’inconoscenza dell’anima determinata, viene trascesa dalla perfetta Henosis-Aplosis. Secondo Plotino nella “conoscenza” dell’Identità Divina Suprema l’anima svela la sua natura reale, che coincide con l’Uno sovraessenziale, in quella risoluzione di ogni alterità si trova il superamento di ogni soggezione al male, dunque si realizza la vera Salute, fine ultimo del monito: gnoti sauton, nosce te ipsvm, espresso dal Dio Apollo, Supremo Medico e Realtà Assoluta dell’Essere Intero.
L.M.A. Viola .
[1] Plotino, Enneadi, V, 3, 17, 10.
[2] Ibidem, VI, 9, 29-30.
[3]Ibidem, VI, 9, 11, 37-43.
[4] Ibidem, VI, 9, 10, 10-12.
[5] Plotino, Enneadi, V, 5, 6, 24-30.
[6] Proclo, Teologia Platonica, I, 3, 6-34.
[7] Taittiriya Upaniṣad, II, v, 1.
[8] Sankara, Vivekacuḍamaṇi, 209, Roma 1981.
[9] Ibidem, 211.
[10] Plotino, Enneadi, VI, 9,11.
[11] Maṇḍukya Upaniṣad, VII, Roma 1984, pag. 59 [sottolineature nostre].
[12] Sadananda, L’essenza del Vedanta (Vedantasara), Roma 1987, pag. 48.
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