L’anima, in quanto puro nous, è costituita originariamente presso Dio e vive nello stesso consesso divino degli Dei, presieduto, ordinato e unificato dal Principio Demiurgico Sovrano, il cui Regno è costituito dal Mondo Intelligibile. Nello stato originario, al seguito degli Dei, il nous, o l’uomo spirituale, vive una vita divina, puramente beata, stabile nella contemplazione perfetta dell’Essere Intelligibile, dell’Idea del Bene, per cui gode della perfetta quiete, che è propria di colui che è collocato nella “Pianura della verità”. Ma l’anima individuale è chiamata a svolgere una funzione specifica nell’ordine necessario della manifestazione temporale e sensibile, perciò la contemplazione immediata di Dio persiste solo nell’essere dell’anima, ma non nel suo procedere temporale.

Nello stato privo di ogni relazione con la temporalità e la corporeità, l’anima permane completamente stabile nell’unità del suo principio essenziale, così posta conosce intuitivamente e immediatamente le cose che sono nell’Intelletto Universale senza alcun processo discorsivo soggetto alla riflessione. Attraverso questa conoscenza, mediante lo Spirito Divino, fruisce del Bene quale suo Fondamento, Principio ed Essere.

Nella conoscenza della sua unità essenziale con lo Spirito Divino e con il Bene, l’anima, in quanto principio dell’individualità umana, ha piena coscienza di sé, del suo essere proprio e di ciò che costituisce la sua collocazione nell’ordine dell’Essere Integrale. Solo fino a quando la psyche, in quanto nous, si conserva nell’attività intellettiva trascendente, preserva la sua autoconoscenza immediata, eidesin autes, poiché in questo stato è una sola e identica cosa con la conoscenza intellegibile dell’Essere[1].

In senso lato, vi è un motivo per cui nell’Unità Divina Suprema la Potenza Diadica produce una serie gerarchica di apparenti “alterazioni”, per dare luogo, in accordo con la Necessità Universale, all’attuazione di tutte le possibilità inerenti all’infinita natura dell’Uno. Secondo questa legge, l’Anima Suprema deve esplicare tutte le sue possibilità di manifestazione, perciò attraverso l’Anima Universale costituisce tutte le possibilità della manifestazione intelligibile, mentre attraverso l’Anima del Mondo esplica tutte le possibilità della manifestazione sensibile. All’interno della manifestazione inferiore, l’Anima del Mondo costituisce tutte le vite individuali attraverso le anime particolari, fra le quali vi è anche quella del singolo uomo, che ha la funzione di costituire in modo teofanico la perfetta immanenza della Divinità Suprema attraverso la mediazione della Potenza Infinita, la quale fa necessariamente sussistere nell’esistenza tutto ciò che deve essere manifestato, affinché l’Uno si comunichi al Tutto in funzione della perfezione del Tutto.

Dunque l’Anima Suprema si distingue relativamente dall’Uno, affinché vi sia la possibilità di attuazione dell’alterazione implicita nell’Assoluta Unità dell’Uno. Allo stesso modo l’Anima Universale non può permanere nell’Essere Intelligibile come pura intellezione dell’Ente, altrimenti non si distinguerebbe dall’Unità dello Spirito Divino, ovvero dall’Unità del Primo Ente. A sua volta l’Anima del Mondo si distingue dall’Intelletto Divino, perché altrimenti tutte le possibilità della manifestazione sensibile resterebbero inespresse e le anime particolari non potrebbero assumere la natura di intelletti riflessi individuali e così distinguersi dagli intelletti che permangono stabili nella Natura Divina. Ciascuna anima dovrà svolgere dunque, al suo livello, una mediazione della Provvidenza Divina Universale Integrale, fino a rendere possibile la concatenazione fatale di tutte le cose. Perciò ciascun grado dell’Intelletto, secondo una gerarchia precisa, dovrà reggere, governare, ordinare un ente, per l’intelletto dell’uomo è l’ente umano sensibile, affinché il Tutto sia compiutamente attuato e persegua il suo scopo finale. La ciclicità temporale del mondo sensibile si costituisce nella manifestazione integrale quale modo dell’alterità dell’incorruttibile ed espressione dell’immanenza dell’unità trascendente dell’Essere, secondo il mistero della metacosmesi, a livello universale, e il mistero della metempsicosi a livello individuale.

L’Ente Divino Eterno si riflette nell’apparenza della durata perpetua, nel ciclico e perenne proiettarsi dell’essenza immobile del Mondo, attraverso l’Anima che dà origine alla perpetua metempsicosi delle anime e alla relativa metemsomatosi. Poiché il Tempo riflette l’Eternità e l’Anima l’Intelletto, come immagini sussisteranno sempre inadeguate rispetto alle loro essenze, perciò sia il Tempo che l’Anima imitano la loro essenza unitaria moltiplicandosi indefinitamente. L’Anima del Mondo, nel suo moto interno di produzione e conversione, deve determinare e sviluppare successivamente tutte le possibilità implicite in Se stessa, animando tutti gli enti della manifestazione sensibile in corrispondenza coi diversi cicli nei quali questa si risolve.

Ogni anima individuale particolare è determinata in seno all’Anima del Mondo dal Demiurgo. Tratte dalla “Pianura della Verità”, nella quale dimorano indeterminate nell’intelletto, le anime giungono nel centro del Cielo da cui vedono l’Asse del Mondo, la Luce diritta, il fuso adamantino fatto di Adamas, attorno al quale avviene la rotazione delle sfere cosmiche, questo fuso è retto da Ananke, dalle Moire e da Heimarmene. L’asse del fuso gira su se stesso con moto uniforme, esprimendo così la perpetuità armonica della rivoluzione dei Cieli. Le anime destinate all’esistenza devono assumere una misura specifica di vita, con la quale compiono un ciclo di una esistenza. La scelta del paradigma di vita è “libera”, ma, una volta effettuata, ciascuna anima accoglie il suo “demone”, secondo una legge divina principiale, l’anamnesi dei precedenti paradigmi di vita di ciascuna anima è ciò che determina la scelta del successivo paradigma. Perciò, la discesa della psyche nei corpi, diretta dal nous, è, ad un tempo, volontaria e involontaria.

La produzione dell’ente psichico determinato, da parte dell’essenza celeste non determinata, genera la coscienza riflessa originaria nella quale lo stato presente “prima” di questa generazione viene alterato. Nel riflesso psichico che discende è presente una sorta di oblio primario che favorisce la catabasi, la quale si conclude con l’incorporazione dell’anima e la sua identificazione al corpo. Il grado di oblio, lethe, che ogni anima accoglie al momento dell’incarnazione, dipende dal paradigma di vita assunto. Una volta discesa in Terra, l’anima può risalire la china della catabasi e così tornare al Cielo, ma ciò può avvenire solo se recupera il ricordo divino di sé:

Se dunque daremo retta a quanto ho detto, convincendoci che l’anima è immortale ed è potenzialmente capace di assumere su di sé ogni genere di bene e di male, terremo sempre la via che sale verso l’alto, comportandoci in ogni circostanza secondo giustizia unita a saggezza. Così potremo essere in pace con noi stessi e con gli Dei, sia nel nostro soggiorno su questa terra, sia in seguito, quando avremo riscosso i premi della giustizia come fanno i vincitori allorché raccolgono i trofei nel trionfo[2].

L’anima individuale riflessa si costituisce a partire da una polarizzazione dell’essenza intelligibile, poi discende per formare e dirigere la materia sensibile del corpo, affinché l’uomo sensibile sussista quale teofania divina. La processione universale delle anime fa parte dell’ordine della Provvidenza e della Giustizia Divina, perciò è buona e bella senza difetto o errore:

Ma qui occorre ricercare dal principio perché l’anima discende nel corpo. Perché essa imita, segue l’attività provvidenziale degli Dei e per questo essa produce una processione avanzando verso la genesis, abbandonando la contemplazione pura. In effetti, come la perfezione degli Dei è di due tipi, l’una intellettuale, l’altra provvidente, una in riposo e l’altra in movimento, l’anima riproduce per la contemplazione ciò che ha in sé di permanente, di intellettivo, di incapace di deviazione, e per la vita della genesis, quello che ha in essa di provvidente e di mobile. E allo stesso modo che l’intellezione delle anime individuali è parziale, lo è la loro provvidenza, ed essendo parziale ella prende un corpo parziale. Inoltre, la discesa delle anime contribuisce alla perfezione del mondo, perché non deve esistere solamente il vivente immortale e intellettivo, tale quale è presso gli Dei, né solamente i viventi mortali e irrazionali, tali quali sono gli esseri dell’ultimo grado della manifestazione, ma anche tutto ciò che vi è di intermedio fra questi due domini di viventi che, né mortali né immortali, sono però capaci di partecipare all’Intelletto con la ragione. Ora, di tali esseri ne sussistono diversi, in diverse regioni del mondo, perché non c’è solo l’uomo come vivente ragionevole mortale, ma anche diversi altri esseri della medesima sorte, gli uni più demonici, gli altri più prossimi alla nostra essenza. Dunque, la discesa dell’anima parziale contribuisce alla costruzione di tutti i viventi allo stesso tempo mortali e ragionevoli[3].

Il vivente umano, in quanto corporeo e animato, è ad un tempo mortale per il corpo e longevo per l’anima ragionevole, mentre è veramente immortale per l’intelletto puro. Dunque l’uomo vivente può essere considerato composto da tre elementi, l’intelletto-mente, nous-mens, l’anima-ragione, psyche-logos, il corpo-senso, somaaisthetikon. Allo stesso tempo si può dire che l’essenza incorruttibile dell’uomo è costituita dal suo essere intelligibile, l’essere unitario e attivo che dà identità permanente all’uomo. Questo essere può anche essere definito animvs, mentre l’anima, la vera e propria psyche, pur essendo della stessa sostanza del suo principio, esprime la sua attività immanente nel singolo ente individuale. È all’animo che vanno assegnate le potenze determinate relate al corpo, come la ragione, il senso, il principio vitale e vegetativo. L’animo è essenza intelligibile ed anche intelletto, perciò esso conosce gli oggetti intelligibili puri e si dispiega nell’eternità, mentre la ragione conosce gli oggetti razionali e concettuali, che si collocano fra l’eternità e il tempo, infine il senso coglie solo gli oggetti sensibili e corporei, e si dispiega nella temporalità. Il soggetto razionale ha una natura mediana, ma può superare il suo stato determinato semplificandosi nell’intelletto, attraverso l’elevazione della ragione al suo principio, in tal modo può trascendere la sua connessione con la perpetuità, nella quale si dispiegano i diversi stati esistenziali dell’Anima del Mondo. Se invece il soggetto razionale si sottomette all’irrazionalità, e segue la sensibilità e i corpi, si disperde nella sensazione e nella mortalità della generazione e della corruzione degli elementi.

L’anima individuale è costituita divinamente al fine di dominare i corpi, mantenendoli nella necessaria continuità con la Provvidenza, affinché la teofania dell’Ordine Divino si attui appropriatamente in ogni grado dell’Esistenza. L’anima individuale è diversa dall’Anima del Mondo nel suo procedere, in quanto con tutte le altre anime deve esplicare tutte le possibilità delle forme di vita personale, forme permanentemente stanti a livello noetico nelle idee esemplari di ogni tipo di vivente.

L’anima individuale è una proiezione riflessa, è un’“aria soffiata” dall’essenza intellettuale, la quale rimane sempre “in alto”, nello stato sovratemporale, anche “dopo” che la sua proiezione, la psyche-logos, si è svolta per animare il vivente, muovendolo e dandogli ragionevolezza al fine di reggere la vita del corpo. La visione principiale degli eidola delle anime è all’origine dell’assimilazione alla polarizzazione che si costituisce fra l’intellezione e la contemplazione immobile, stasis, e la ragione e la provvidenza mobile, kinesis. Questa polarizzazione sussiste in tutti i successivi gradi di discesa dell’anima fino al Cielo della Luna, stazione in cui, con l’assunzione del corpo, l’anima perde temporaneamente il ricordo essenziale di sé e la partecipazione all’intellezione-autoconoscenza relativa. Con l’incorporazione, la memoria divina originale dell’anima diviene latente, perciò resta presente nel fondo della ragione a titolo di possibilità e può essere restaurata quando la ragione si separa dal corpo, per risolversi nuovamente nell’intelletto, il quale permane sempre in atto, indiviso e inseparato, mentre l’anima, che procede da esso, si divide allontanandosi da esso per rendersi immanente al corpo. Nell’uomo dunque vi è un’unica sostanza distinta in tre “essenze”, l’una indivisa, che sta sempre nello stesso modo, e una divisibile, che si genera nei corpi, la terza invece sta in mezzo tra il divisibile e l’indivisibile[4]. Così un’essenza resta in alto e un’altra viene quaggiù e procede nei corpi “come un raggio [che si stacca] dal centro”[5].

Nel Primo Uomo Divino la doppia attività dell’immobilità contemplativa trascendente e dell’azione provvidenziale immanente era perfetta, unitaria e completa, la prima fondava la seconda, così l’azione retta dalla contemplazione non interrompeva la presenza dell’essere a se stesso. Nel successivo sviluppo dell’umanità questa perfezione fu prima sospesa, poi si occultò progressivamente, a causa di ciò si determinarono gradi di oblio crescenti, fino a quando l’azione si è scollegata dalla contemplazione e, allo stesso modo, la ragione rispetto all’intelletto.

La costituzione del nous si stabilisce ex Deo, in principio tutte le essenze degli enti sussistono indeterminate in Dio e coincidono con Lui, col dispiegamento del Suo Intelletto, le divine essenze vengono fatte sussistere in modo distinto ma non separato, per cui risultano unificate in Dio ma non confuse in Lui. In questo modo, attraverso il Suo Intelletto, il Nous Ipostatico, Dio costituisce la sua immanenza nel nous determinato della singola essenza animica in funzione della sua propria attività teofanica. Nell’intelletto determinato Dio si conosce in maniera modale e, allo stesso tempo, il soggetto intellettuale, costituito con la determinazione modale dell’Essenza di Dio, si autoconosce e si comprende come Dio che conosce se stesso in quel modo e secondo quell’essenza. Colui che si conosce come Dio nell’intelletto determinato vuole essere ciò che è immediatamente, perciò costituisce la sua funzione teofanica immanente senza una scelta riflessiva, né una deliberazione alterante. Dunque occorre fare attenzione quando si dice che noi siamo l’anima, o più precisamente il nous, in quanto il nous, in realtà, è Dio secondo il suo modo irraggiante. Il “noi nous” si conosce come Dio presente, perciò non esiste un “noi nous” distinto da Dio, l’alterità apparente sussiste solo fino a quando l’anima non si isola in se stessa e conoscendosi come nous si conosce come Dio, come Dio che si conosce in modo determinato nel nous, così viene risolta l’illusione di alterità e l’anima si identifica al solo vero essere di ogni identità.

In principio, la costituzione eteronoma dell’anima non può essere soggetta ad alcuna “colpa”, la quale si produce solo nel ciclo successivo della metempsicosi, per una legge necessaria, secondo la quale bisogna che vi sia un degrado dell’intellezione e perciò della conoscenza, affinché sia possibile costituire lo sviluppo di tutti i paradigmi di vita, a cui sono chiamate le singole anime nel complesso dell’esistenza universale. Il progressivo indebolimento dell’intelligenza, e il relativo oscuramento della conoscenza, hanno come scopo l’attuazione di tutte le modalità più basse dell’esistenza. Per l’anima il discendere o il costituirsi nella polarità, rispetto all’intelletto, non è propriamente un minus fino a quando mantiene la sua condizione sovrana, direttiva e impassibile rispetto al corpo, ma, nella misura in cui, per una necessità metafisica, essa subisce un indebolimento della contemplazione, come dice Proclo, allora, progressivamente, l’anima perde la sua visione razionale separata, fino alla completa sospensione dell’attività razionale pura. Così viene sottomessa all’ascendente della corporeità e del sensibile e patisce l’oscurità della sensazione e del desiderio, fino a che, attraverso questo oscuramento, vengono attuate tutte le possibilità implicite nell’alterità primitiva e nel desiderio contrario all’essere, ripetendo così, secondo il modo individuale, l’esplicazione dell’intera cosmogonia.

Ma per quale causa le anime, pur essendo parti del mondo superiore e appartenenti completamente ad esso, si sono dimenticate di Dio loro Padre e ignorano se stesse e Lui? Per loro il principio del male fu la temerarietà e il nascere e l’alterità originaria e il desiderio di appartenere a se stesse. In tal modo soddisfatte di quella loro manifesta decisione, dopo aver abusato del loro movimento e aver corso in senso contrario, una volta allontanatesi di molto, ignorarono finalmente se stesse e il loro luogo d’origine: simili a fanciulli che, troppo presto rapiti ai loro genitori e allevati per molto tempo lontani da loro, non riconoscono più né se stessi né i genitori.

Le anime dunque, non vedendo più né Lui né se stesse, disprezzandosi, per ignoranza della loro schiatta, e stimando tutte le altre cose più che se stesse, stupirono sbigottite di fronte ad esse e si meravigliarono e si staccarono con tutte le loro forze dalle cose dalle quali si erano allontanate con disprezzo. È dunque evidente che la causa di quella totale ignoranza di Dio è la stima delle cose terrene e il disprezzo di se stessi. Infatti il perseguire e l’ammirare una cosa vuol dire, per chi la persegue e l’ammira, confessare nello stesso tempo di essere inferiore; ma chi si pone al di sotto delle cose che nascono e muoiono e si crede la più spregevole e caduca delle cose che stima, non saprà mai pensare nell’animo suo né la natura né la potenza di Dio[6].

Ciò che Plotino descrive è un ordine di cose necessario, la “grande corsa sulla via contraria” fa parte del dispiegamento integrale della processione, in modo tale che le anime progressivamente si distanziano dall’unità del loro essere intelligibile, fino al punto che non scorgono più l’Essere Intelligibile e il Bene che contemplavano immediatamente prima della loro “alterità primitiva” e, specialmente, prima della costituzione della “volontà di appartenere a se stesse”. Quando, via via, la conoscenza contemplativa sfuma, le anime accolgono gradi crescenti di ignoranza, per i quali si disistimano sempre più, fino a rinnegare completamente il loro essere proprio e il loro Principio, Dio, apprezzando invece unilateralmente ciò che è ad esse contrario. Giunte nel corpo, completamente stordite dalla sensazione, le anime appaiono come trasalite, fino ad essere completamente avvinte dalla sensualità. Questa è la katabasis dell’anima, che Plotino definisce genericamente sphalma, e la qualifica come producente l’ubriacatura fascinosa per l’ametron materiale[7]. Il degrado dell’intelligenza è particolarmente evidente nelle generazioni terminali del presente ciclo umano, caratterizzate da una carnalità irrazionale, subumana e bestiale, estrema. Negli ultimi uomini l’ignoranza deve raggiungere la radicalità, affinché sia abbandonato ogni contenimento del desiderio, così anche l’esistenza più infernale potrà essere prodotta e la manifestazione di un’umanità può giungere al suo compimento.

 

[1]  Plotino, Enneadi, IV, 2.

[2]  Platone, Repubblica, X, 621c-d.

[3]  Proclo, In Tim. 324, 4-24.

[4]  Platone, Timeo, 35 a; Plotino, Enneadi, IV, 2.

[5]  Plotino, Enneadi, IV, 2.

[6]  Plotino, Enneadi, V, 1, 1.

[7]Ibidem, II, 9, 4.

 

(tratto da L.M.A. Viola, Psyches Therapeia, vol. I)

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