Platone ha descritto al tiranno Dionigi quale sia stato il principale impegno della sua attività filosofica, quello volto a risolvere “il problema del male”: “Gran parte della mia attività era [stata] rivolta a chiarire questo problema”[1], per cui il “problema” dell’origine, della natura e degli effetti del male, si deve ritenere assolutamente centrale nell’insegnamento platonico, il cardine attorno a cui si svolge tutta la disciplina filosofica, che mira a risolvere completamente la soggezione al male e a realizzare perfettamente ciò che è Bene.

… Platone individua chiaramente l’origine nel male nella Diade metafisica e da essa fa procedere tutte le forme e le gradazioni del male, nell’ambito ontologico, cosmologico, psicologico, fisiologico, antropologico, morale e politico. Tutto ciò che presenta, in senso assoluto, una qualche privazione, partecipa del male, così come dell’alterità, della dualità e così via, perciò, a partire da questa definizione del male, è possibile anche definire ciò che risulta essere un bene relativo. Se l’Essere Totale e il suo atto integrale costituiscono la pienezza assoluta del Bene, un essere determinato, definito da una sua essenza, risulta essere nel bene quando è perfettamente in atto secondo il suo essere proprio, e, viceversa, partecipa o subisce un male relativo nella misura in cui il suo atto non è pienamente esercitato o realizzato.

Sussistono dunque diverse forme del male per ogni singolo essere, e dei relativi gradi del male a cui l’ente unitario determinato può essere soggetto. Come vedremo, è evidente che gli stessi principi costitutivi dell’uomo, a partire dalla sua essenza divina, che ha una natura intelligibile e intellettuale, partecipano dell’altro rispetto all’Uno e al Bene in Sé, per cui, già nella costituzione del loro essere determinato, sono in qualche modo soggetti ad una privazione, perciò essi tendono alla risoluzione di questa privazione e presentano in loro un amore originale per l’unità plenaria del Bene, che mette in moto la loro attività e la orienta all’esercizio plenario della loro funzione. È certo che per l’uomo essere pienamente in atto significa potere esercitare appieno l’attività inerente la propria essenza, quindi l’intellezione, la quale, nei suoi limiti, può cogliere l’Uno secondo l’intelligenza e perciò può vederlo come Essere Intelligibile. Risulta chiaro inoltre che qualsiasi privazione parziale o completa di questa attività costituisce un male per l’essere proprio dell’uomo, allo stesso modo tutto ciò vale anche per la ragione o per il senso o per qualsiasi altra facoltà dell’essere animico dell’uomo, così pure per il suo corpo, per le parti del corpo, per le sue proporzioni e per il suo funzionamento. La presenza del male si può trovare dunque nella mancanza del perfetto esercizio delle facoltà dell’anima, ovvero nella indisposizione delle virtvtes, le quali, nella misura in cui mancano, parzialmente o interamente, sono sostituite dai vizi e dalle sofferenze inerenti, così come dalle malvagità che accompagnano le attività viziose delle facoltà. Le mancanze relative dell’anima, e quindi i mali relativi all’essere proprio dell’uomo, vanno fatti sempre risalire al male primario che si costituisce nell’essenza dell’anima, all’anoia, cioè alla mancanza della noesis, ovvero dell’atto virtuoso perfetto dell’intelletto.

Non vi è dubbio che già Platone abbia definito la relazione precisa che esiste fra la materia prima, in quanto primo substrato della privazione e della alterità, e il male, perciò, in tutti i gradi della materiazione degli stati di esistenza, fino ad arrivare all’elemento corporeo, sussiste una certa tendenza al disordine, ataxia, e alla discordanza rispetto all’Uno; questi elementi sono causa di ogni malvagità ed ingiustizia. Nella misura in cui gli enti patiscono il corporeo soffrono il male nella sua forma maggiore. In senso generale il male di tipo fisico o cosmologico è inerente al mondo temporale, il quale, rispetto all’essere, ha una natura contingente, quindi esso è generato, ha avuto un principio di tipo causale o ontologico e non è da sempre. A causa di questa sua natura, il cosmo partecipa del divenire, dell’indefinito processo di generazione e corruzione, per cui non attinge mai all’essere nella sua pienezza. In quanto diveniente il cosmo evidenzia la sua contingenza e rinvia necessariamente ad una causa al di sopra di esso, senza la quale nulla può venire all’essere, e quindi la contingenza temporale è la ragione della presenza del male a livello fisico. Non essendo eterno e necessario, il cosmo è inferiore all’essere pieno, solo il quale è Cavsa Svi e perciò è assolutamente autosufficiente, mentre il cosmo dipende dalla causa che sempre è, non generata e autosussistente. Dunque il cosmo è derivato ed è la copia di altro, di ciò che ha una realtà paradigmatica trascendente. Nel cosmo si esprime propriamente la mimesi che fa sussistere nel divenire la copia dell’intelligibile, questa copia presenta un grado di approssimazione e somiglianza al suo modello, per cui il cosmo partecipa anche, in un certo grado, al Bene, pur partecipando anche del male, mentre ciò che è contenuto nel cosmo, a seconda che sia più o meno prossimo al Bene è più o meno buono. Il cosmo, nonostante l’azione ordinante del Demiurgo, presenta una certa partecipazione al substrato disordinato precosmico, sul quale il Demiurgo, con la sua intelligenza e con la sua volontà, impone continuamente misura. È per l’Anima del Mondo che il cosmo viene a sussistere, ma l’essere dell’Anima non si identifica con quello dell’Intelletto, perciò rimane inferiore ad esso, sia in purezza che in perfezione, pur sovrastando la dimensione infima delle cose empiriche e corporee. Attraverso l’Anima si attua una perfezione inferiore a quella dell’Essere Vero e dunque alla sua costituzione è intrinseco un certo “male psicologico”, un grado di deficienza ontologica che la colloca al di sotto del modello intelligibile, ma non nel grado infimo degli enti esistenti. Quindi, pur essendo affine al Mondo Divino, l’Anima rimane inferiore ad esso, in quanto è ente generato e non assoluto, composto e non semplice. In particolare l’anima dell’uomo non è pura nei suoi elementi costitutivi, per essa la mescolanza con il corporeo, il divisibile e il diveniente, è qualcosa di contaminante, perciò essendo così commista, essa presenta un minore grado di perfezione rispetto all’idea.

L’alterità e la contingenza nel mondo fisico sono presenti anche nel mondo umano, nell’uomo individuale, esso, in quanto è compreso nel cosmo, presenta una maggiore relatività rispetto all’interezza della manifestazione sensibile e tutto ciò si riflette nella sua specifica costituzione, in particolare nella composizione dell’anima umana. Sebbene l’uomo, come il microcosmo, sia stato generato da Dio in perfetta analogia con l’universo fisico, esso è meno perfetto di quello per via della qualità inferiore dei suoi elementi costitutivi, come si narra nel Timeo, quindi l’uomo presenta un grado minore di purezza, meno stabilità di rapporti e proporzioni rispetto all’Anima del Mondo e al cosmo. Rispetto all’Anima del Mondo, l’anima umana è più impura nei suoi elementi costitutivi, inoltre presenta una maggiore indeterminazione della sua struttura matematica e quindi un minor grado di misura, perciò partecipa in maniera inferiore all’Essere, al Bene, e accoglie una maggiore presenza del male. La miscela di partecipazione al bene e al male la rende ontologicamente e moralmente instabile, l’anima partecipa dell’intelletto e della trascendenza, e dunque del bene, per ciò che è stato costituito in essa dal Demiurgo, l’intelletto, mentre partecipa del male per ciò che in essa è stato costituito dagli Dei inferiori, ovvero la “specie mortale” dell’anima[2], quella irrazionale, attraverso la quale si svolge la dinamica dell’attività sensibile e la partecipazione al divenire. A seconda della composizione e della qualità dell’anima, la parte razionale può essere più o meno forte, se è debole può subire l’ascendente dell’irrazionale, che la rende instabile e facilmente squilibrata, questa qualità caratterizza specialmente le ultime anime. Se prevale la forza della ragione, l’anima dà misura, ordine, proporzione e dunque bontà a tutto l’uomo, in tal caso l’anima si impone ai patemi che invece nell’anima debole penetrano in ogni sua facoltà. Per l’anima è fondamentale concentrarsi sul suo essere proprio, su ciò che in essa partecipa in grado maggiore del Bene, perché attraverso il suo essere intelligibile e la sua attività intellettiva essa può costituirsi nel Bene, per attuare, nella misura del possibile, il suo bene relativo, e se poi gli è concesso, può elevarsi anche alla realizzazione del Bene Assoluto.

Platone parla anche della presenza del male nelle relazioni che l’anima intrattiene con il corpo, in particolare parla delle malattie dell’anima dovute al corpo e delle malattie che si costituiscono nel corpo a seguito della condotta maligna dell’anima. La malattia primaria dell’anima è costituita dalla dissennatezza, anoia, la quale si divide nelle due specie della follia, mania, e dell’ignoranza, amathia, dall’anoia derivano tutte le altre patologie dell’anima, ovvero tutte le passioni e i vizi che su queste alterazioni fondamentali si fondano. La cura dell’anima, per la risoluzione del male che in essa è presente, deve tenere conto anche della qualità costitutiva dell’anima e di quanto in essa è stato disposto dal Demiurgo, e perciò della sua inclinazione prevalente al bene o al male. Come è noto, vi sono soggetti umani che sono incurabilmente malvagi, in essi si evidenzia il dominio incontrollato e soverchio della smisuratezza, della dissennatezza e del disordine, dunque della viziosità e dell’ingiustizia. Dai mali dell’anima derivano i mali del corpo, dalla sproporzione dell’attività dell’anima rispetto a quella del corpo vengono causati diversi squilibri, in ogni caso il principio terapeutico sarà sempre quello di comporre il bene dell’anima con il bene del corpo, perché non si può curare mai il corpo senza curare l’anima. In definitiva, il bene e il male presenti nell’uomo risultano analoghi al bene e al male presenti nell’universo, in entrambi l’ordine, l’armonia e la bellezza sono prodotti dal dominio della ragione, mentre laddove la ragione è carente predominano il disordine, la disarmonia e la bruttura. Attraverso la sua ragione l’uomo deve farsi uno e conformarsi all’Uno, così l’Uno si rende presente in tutta la sua anima e in tutto il suo corpo, così come in tutta la condotta della sua esistenza, rendendo la sua vita compiutamente buona.

 

 

[1]  Platone, Lettera II, 313 b.

 

[2]  Platone, Timeo, 69 c.

 

(tratto da L.M.A. Viola, Psyches Therapeia, vol. I)

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