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Scuola di Psicologia e Psicoterapia Filosofica
Integrale Tradizionale

La psicologia e la psicopatologia secondo la filosofia tradizionale integrale

La psicologia filosofica, ovvero la scienza dell’anima fondata su sophia ed orientata ad essa, in quanto scienza divina rivelata, costituisce la conoscenza integrale della psyche,  perciò in essa è compresa ogni cognizione retta e completa sull’anima. Solo una scienza integrale della psyche, comprende la natura, la funzione e il bene, dunque anche la salute, dell’anima, qualsivoglia limitazione di questa scienza, per non dire degli errori, produrranno limiti ed errori nella cura dell’anima.

L’anima ha una funzione teofanica, perciò religiosa e religente, secondo questa funzione deve essere trattata. Se la impostazione psicologica è corretta né deriva anche una corretta antropologia, nella quale si definisce una costituzione dell’anima teocentrica, perciò il senso delle sue facoltà particolari, ciascuna al suo livello è di tipo teofanico, perciò quando esse sono ordinate al loro fine sono virtuose e sane, quando non sono orientate al loro fine sono viziose e malate. È chiaro che una salute psichica non teocentrata non ha senso, tutte le fantasie oggi prodotte in merito sono forme di psicopatologia.

L’anima è una forma riflessiva irradiante, un logos prophorikos attraverso il quale Dio fa sussistere, unifica e conserva, la manifestazione sensibile, il mondo temporale inferiore,  in perpetuo divenire. Grazie all’anima, al mondo materiale è data  intelligibilità, misura e ordine, vita e bellezza, una vita partecipata e una bellezza riflessa, che altrimenti non avrebbe. Il centro riflesso dell’Anima del Mondo è la Ragione Divina, nella quale si ha la polarizzazione dell’essenza intellettuale eterna, attraverso la Ragione l’Anima è conservata nell’Unità dell’Intelletto, e il mondo partecipa di Esso, il quale è sempre in atto nella contemplazione divina e allo stesso immane, apparendo riflesso nella sua potenza riflessiva.

La costituzione del riflesso dell’Intelletto in atto, equivale alla costituzione della coscienza razionale e immaginale, ad ogni livello, la quale ha solo la natura di effetto e l’identità ad essa inerente sussiste solo fino al sussistere della riflessione. Perciò la coscienza riflessa e razionale non ha consistenza in se stessa, ma fonda il suo essere, ha la sua essenza ontologica, nel suo principio fontale, l’intelletto.

Se nell’Anima del Mondo il centro riflesso della Ragione Universale si costituisce per la durata di un mondo, per cui l’Anima del Mondo è riassorbita nel pleroma intellettuale divino una volta che si è compiuta l’intera metacosmesi, il centro riflesso della coscienza razionale e discorsiva dell’anima dell’uomo si costituisce per tutto il tempo in cui la ragione umana opera nel ciclo delle esistenze determinate, fino ad estinguersi nell’intelletto, sua fonte, al compimento della palingenesi e dunque della restaurazione dello stato originale, precedente la determinazione dell’anima stessa, una restaurazione che comporta un’uscita dal mondo e perciò anche da ogni ciclo di nascita e morte, dalla metempsicosi e dalla metemsomatosi.

Il nous proiettato ad extra, il nous logizomenos o il dianoetikon, non è sempre in atto secondo il suo modo proprio, perciò non si trova sempre in possesso della scienza intelligibile e non produce una concezione unitaria dell’idea nella sintesi del suo logos, ragione di tutti gli esseri esistenti. Quando il logos della psyche viene separato da ogni processo discorsivo sensibile, riceve direttamente la Luce Intelligibile, infusa e riflessa immediatamente dal Nous agente, il nous logizesthai parechon, perciò la sua concezione unitaria dell’idea risulta stabile, quieta e beata, perché esso fruisce del vero essere incorruttibile. In quanto assorbito nel nous, il logos è detto endiathetos, inespresso e inarticolato, in questo modo esso è reso stabile nell’unità della visione divina, secondo il modo dell’anima preesistente nell’intelletto, questo logos coglie “tutto insieme”, la molteplicità dispiegata delle ragioni nell’unità indispiegata della loro essenza.

Questo stato di perfezione dell’attività logica dell’anima costituisce la sua salute, la sua sapienza, ogni alterazione di questo stato è per essa diminuzione e perciò anche soggezione a gradi di oblio, di malia, di errore che costituiscono un pathos, una sottomissione, un sub-ferire, una riduzione alla servitù impotente.

L’anima sussiste originalmente a titolo inespresso e predistintivo nell’intelletto, il quale contempla immediatamente le essenze eterne, in questo stato l’anima si identifica essenzialmente con l’intelletto. Ma l’anima sussiste anche in modo espresso, quando si costituisce la coscienza riflessiva e discorsiva, la quale nel suo principio, ovvero nello stato costitutivo originale della psyche-anima in quanto ente immaginale determinato, è integrata e centrata nell’immediata illuminazione intellettuale, senza opporsi in alcun modo all’intelletto. L’anima, in quanto supporto di mediazione e animazione, deve sviluppare le sue potenze in modo articolato e discendere nella materia del corpo. Ad ogni passaggio distintivo la polarità e la distanza che si crea, rispetto alla situazione originaria di immediata ricezione della luce intellettuale, si accentua, fino a che la forza e la luce originaria della contemplazione intellettuale si indeboliscono, contemporaneamente l’ascendente della sensazione e della dimensione corporea si accresce, fino al punto in cui l’associazione col corpo sospende ogni ricezione della luce dell’intelletto e il relativo coglimento delle forme intelligibili. Costituita l’incorporazione si determina la coscienza sensibile, oscura e umbratile, una volta assorbito il lethe della sensazione l’anima non è più cosciente di sé, né della sua origine, né coglie più le forme in modo razionale, ma solo secondo il senso, perciò “sente” le forme immanenti negli enti corporei con il corpo. L’anima incorporata non ha più in atto l’intelletto, ma neanche la ragione è in atto adeguatamente, perduta la sua immediata attualizzazione da parte dell’intelletto agente, l’anima riceve le forme in modo capovolto, tramite il senso, attraverso il quale si trova in immediato contatto con le forme immanenti nei corpi, le icone e gli eidola.

L’intellezione diretta diventa prima razionale e poi sensibile, il riflesso dell’intelletto immerso nel corpo è sottomesso alla sensazione a causa della incorporazione. Ogni cosa cambia dallo stato dell’anima preincarnato a quello incarnato, la libertà intellettuale, così come la relativa libertà razionale, vengono perdute e si costituisce uno stato cieco di sensazione e soggezione ai determinismi corporei. Anche l’identità passa da intellettuale a razionale, quindi diviene sensibile e corporea, nel degrado la coscienza dello stato sovra determinato nell’intelletto, diviene subdeterminata nel senso.

Dalla sua prima determinazione psichica al principio costitutivo dell’anima immaginale, la coscienza viene progressivamente ridotta a stati sempre meno illuminati fino a che, al momento dell’associazione con il corpo, la sua consistenza non procede più dall’intelletto, ma viene solo dal corpo. Perciò la coscienza dell’uomo sensibile, o brotos, è determinata totalmente dal soma, dall’elemento titanico ed è accidentale e corruttibile tanto quanto il corpo che la definisce. L’ego, nel suo principio ha una consistenza intellettuale, una volta che si costituisce la polarizzazione dell’anima rispetto all’intelletto, si costituisce un egoità limitata e ridotta in senso psichico e riflesso, ma la stessa identità egoica razionale diviene sensibile e oscura, consistente solo nel corpo e dipendente dall’ombra fantasmatica della sensazione corporea.

L’anima, nella condizione carnale, è “morta”, in quanto, per essa, vivere equivale ad essere in atto secondo la sua essenza, ma il soma-tomba, alla costituzione natale del corpo, inibisce completamente l’atto della sua natura, perciò per l’anima lo stato nel corpo è stato di soggezione, chiusura in un “carcere cieco”, nel quale patisce la sofferenza radicale, la sottomissione completa ad altro da sé.

L’ego riflesso ed immaginale costituito nell’intelletto non è soggetto inizialmente ad alterità, egli si conosce come immmagine, riflesso razionale dell’intelletto, intelletto secondo un dato modo, perciò è presente al suo fondamento e ha cognizione distintiva di sé nell’unità dell’intelletto, una cognizione non separata dal suo essere ontologico. La cognizione originaria di sé che ha il principio dell’anima, è possibile perché il nous paziente, nella sua prima costituzione, è perfettamente conformato al nous agente e illuminato senza impedimento da esso. Ma la consapevolezza riflessiva della propria  identità ontologica si oscura progressivamente con l’inviluppo catabasico dell’anima, che delimita l’identità egoica al solo soggetto corporeo oscuro.

Con il primo atto di isolamento psichico dell’identità, si costituisce la prima forma di oscuramento della cognizione intellettuale di sé, da cui procede l’ignoranza psichica di sé e della origine della coscienza riflessa, costituita dall’essenza intellettiva. Con la costituzione originaria di questa ignoranza cessa anche la conoscenza razionale originale dell’essenza degli enti, una conoscenza esperita attraverso la luce dell’intelletto, perciò l’ignoranza psichica ha la sua origine primaria nella anoia. L’anoia costituisce la malattia essenziale dell’anima, l’unica vera psicopatologia di cui essa soffre, a causa della quale si costituiscono l’ignoranza, l’amathia, ovvero la mancanza di cognizione di sé e dell’Essere, e la mania, l’alterazione assimilativa dell’anima ad altro da sé, uno stato di “follia” originario da cui procedono tutti i successivi mali, fino ai più estremi. A causa dell’anoia cessa la conoscenza immediata che l’anima ha di sé in quanto nous e, allo stesso tempo, è perduta l’attività che deriva dalla consistenza dell’anima nel suo essere ontologico sovrariflesso, pertanto anche gli stati superiori, ontologici, della scienza vengono oscurati. Al posto della vera conoscenza di sé, come nous irriflesso, subentra il coglimento della coscienza riflessa come autocostituita e indipendente in se stessa, inoltre si produce l’illusione di sostanzialità della coscienza riflessa, mentre essa ha la natura di un’immagine inconsistente e avventizia dell’intelletto, totalmente dipendente da esso e non avente una natura perfettamente incorruttibile.

Il senso dell’ego immaginale è illusorio se isolato in se stesso,  la coscienza del “me”, di questo “io”, ovvero la coscienza individuata e delimitata di una singola esistenza formale e della relativa esperienza particolare, non ha alcuna sostanzialità permanente, è solo un effetto di una causa efficiente che la sottointende e che rimane oscura all’immagine che non si ripiega sul suo fondamento. La soggezione all’identità psichica determinata produce una visione falsata e illusoria che si sovrappone alla realtà, quando l’anima riflessa si isola in se stessa, essa sperimenta ogni cosa sub specie animae. Rinchiusa nell’illusione psichica, nella quale è assente la scienza del reale, del vero, dell’eterno, del non divenuto, ogni cosa appare all’anima “secondo sé”, determinata dal divenire coscienziale e dall’alterità del molteplice. La malia originale a cui è soggetta l’anima diviene via via sempre più grave, dopo la sua prima determinazione successivi inviluppi dell’illusione portando l’anima all’oscuramento e all’alienazione dalla realtà. La consistenza ontologica del riflesso psichico è illusoria, ciò costituisce la radice primaria della malia, ma con l’incarnazione questa illusione di consistenza viene addirittura trasferita alla coscienza somatica e al suo centro di identità corporea, così la malia subita dall’anima è completa.

In prima istanza vi è dunque la perdita della conoscenza immediata dell’anima nell’intelletto e l’isolamento illusorio dell’attività riflessa e immaginale della ragione in se stessa. Da questo punto segue una perdita progressiva della referenza dell’anima al suo principio intellettivo fino a che, quando l’anima si associa al corpo, essa perde anche la conoscenza di sé in quanto ente immateriale procedente dall’intelletto e patisce un secondo grado di oblio, una “seconda morte”. L’incorporazione ottunde definitivamente la coscienza riflessa che prima di questo evento era trasparente a se stessa, perciò essa  si intorbidisce e si spegne nella sensazione del corpo. Si costituisce così l’identità egoica sostanziata dal sentire, l’io somatico avverte di essere, perché “sente di essere”, così la sensazione, e tutta l’esperienza sensibile, divengono la sua sola “realtà”. Dal concepimento carnale in poi tutti gli atti dell’anima procedono da questa menomazione della visione originale, dall’occultamento che l’incorporazione produce.

Una volta che l’anima è completamente sprofondata nella sensazione e si è identificata col corpo, abdica alla sua naturale libertà e alla sua sovranità, l’ignoranza di sé, che è la radice, la causa prima di ogni sofferenza, inclina l’ego psichico  al di sotto di sé e lo pone sotto il giogo di altro da sé. L’anima, perduta la conoscenza, giace nell’ignoranza, essa, la cui sostanza è ragione ed intelletto, subisce l’oblio, la privazione del suo atto puro, impressionata dalla sua immagine sensibile, viene turbata dalla vita corporea che ad essa inerisce, in tal modo l’anima accoglie le passioni e patisce le afflizioni che le rappresentazioni sensibili producono. La ragione riflessiva, priva dell’illuminazione intellettuale, subisce l’ascendente dal basso, dal corpo, dai sensi, dall’esperienza sensibile, dall’immaginazione e si produce in opinioni vuote ed errate fondate sull’inganno che queste cose producono. Mancando della luce della verità, dell’illuminazione offerta dall’intelligenza in atto, la ragione viziosa dell’uomo comune si smarrisce nella rete della vita corporea mortale.

Le opinioni false circa la natura di sé, della realtà, degli oggetti, degli eventi, dell’insieme della vita della persona umana, rendono il soggetto incapace di esercitare un atto morale libero, in quanto esso è afflitto dall’ignoranza del vero e dall’illusione che ne deriva.

La ratio soggetta ai sensi, alla malia-illusione, è  ammaliata-ammalata, giace sottomessa alla sensvalitas e alla passio che ne deriva e può essere sanata solo dalla sua completa liberazione dal sensibile e dall’opinione fondata sui sensi.

Ma il malato, nella sua ignoranza, presume di sapere, perciò è afflitto anche da superbia, a causa della quale non crede di aver bisogno della Scienza Divina, la sola che possa liberarlo dal male e dall’inganno a cui è sottomesso. Il giudizio fondato sul sensibile è sempre afflitto da errore, ogni sottomissione della ragione al corpo e alla vita corporea è maligna, perciò il soggetto che dipende dal corpo e dalla vita corporea deve essere considerato malato, asservito, condizionato, quindi sofferente in diverso grado. La ragione in un soggetto malato è adoperata per la ricerca del piacere e per fuggire il dolore, in quanto il soggetto è condizionato dall’appetito sensibile irrazionale, proprio anche agli animali, a causa del quale persegue la conservazione della vita carnale, col piacere statico o dinamico ad essa connessa, come scopo primario o esclusivo della esistenza. Ma l’uomo ha un fine diverso dall’animale, se l’uomo ignora la sua natura, lo scopo per cui è stato costituito, il suo fine, il disegno a cui deve essere ordinata la sua vita, se ignora il suo bene, giace nell’errore, nell’illusione, perciò non può, in nessun modo, risanare il suo giudizio, non può acquisire la scienza oggettiva della giustizia, perciò non può attingere al bene, e dunque non può nemmeno essere libero, a qualsiasi titolo.

Il superbo scambia le opinioni false, sorte dall’ignoranza, per conoscenza, queste opinioni si radicano nel soggetto e si fissano come convinzioni. Ma dalle convinzioni false, reputate erroneamente vere, derivano i giudizi erronei e i moti deviati della volontà e dell’appetizione, atti che fanno sprofondare stabilmente l’anima nella malattia. Quando il soggetto non dispone della scienza del Vero Bene, egli scambia il male per bene e viceversa. A causa di ciò si stabiliscono gradi di sudditanza, via via maggiori, rispetto al corpo e alla sensazione, fino a pervertire completamente l’anima e la sua azione, e dunque anche il fine della vita della persona. Le passioni e i vizi, piuttosto che l’impassibilità e la virtù, vengono fatti fine di ogni azione, nella più completa ignoranza. Nella presunzione e nell’illusione di essere libera guida della propria persona, il soggetto malato si sottomette a potenze inferiori a lui estranee, che via via lo asservono, fino a pervertirlo completamente in senso maligno.

Quando la ragione è malata, la volontà ne subisce le conseguenze, quando il soggetto autentico si è assimilato all’ego sensibile, fantasmatico ed effimero, determinato dal corpo, e lo serve con tutto se stesso, la volontà abdica al desiderio e alla concupiscenza, finendo sovrastata, fino ad essere spossata e ridotta a serva del vizio. Una volta indebolita alla radice, la ragione perde il tono, a causa dell’ignoranza il soggetto va incontro al suo male senza nemmeno accorgersene, essendo persino convinto di perseguire il suo bene. Così sprofonda sempre più nel corpo e si assimila ad esso, fino a dipenderne pressoché totalmente e in modo estremamente grave. Se la ragione abdica, le potenze inferiori assumono il comando, se la volontà è abbandonata il soggetto viene trascinato senza opposizione dal desiderio, così si sviluppano passioni, vizi in diverso grado, così ogni potenza irrazionale, senza misura e ordine, esercita sull’animo la sua padronanza a capriccio.

A questo punto il soggetto non può governare con giustizia la sua persona, perché non può stabilire in alcun modo l’isonomia delle potenze della sua anima e del suo corpo. La passione e l’afflizione penetrano sempre di più nella sua anima, l’equilibrio psichico viene prima alterato, poi destabilizzato e completamente perduto. La debolezza di fronte alle contingenze corporee della vita sensibile si accresce così giorno dopo giorno e con essa le paure e le afflizioni di ogni genere. Se l’anima ritiene un bene abbandonarsi alle passioni e ai vizi, questi penetrano sempre più profondamente in essa e la devastano, in tal modo perde ogni ordine e ogni misura, l’ametria si fa spazio e la capacità di condurre una vita sociale e civile giusta viene del tutto meno.

La piena disposizione libera della ratio equivale ad un preciso stato di hvmanitas, quando la persona non dispone della hvmanitas, che comporta il dominio completo della ragione sulla sensazione e sul corpo, si consegna alla bestialitas, all’irrazionalità e alla concupiscenza. Il soggetto che presenta una decisa dipendenza dal corpo manifesta uno stato di malattia già molto grave, quando tutta l’anima del soggetto presenta i diversi vizi, l’abitudine inveterata al male e l’approvazione di esso, oltre all’assenza di ogni moto tendente a virtù e ragione, la malattia è allo stadio terminale. Quando la malignità e la malattia si sono aggravate a tal punto, l’anima può risultare incurabile e con essa tutta la persona.

Una volta che nell’azione è subentrata l’intemperanza, e perciò anche l’incontinenza, il corpo stesso ne subisce le conseguenze, l’ametria e la dismisura dell’anima raggiungono anche quest’ultimo. Esiste una diretta relazione fra il principio direttivo dell’anima, le sue facoltà (razionale, volitiva, sensibile e vegetativa) e gli spiriti vitali, gli umori, gli organi e i sistemi del corpo, per cui un’alterazione delle facoltà, causata dalle passioni, delle quali il soggetto malato soffre di continuo, più o meno coscientemente, come ad esempio le afflizioni, le paure, le ansie, ecc., indebolisce la costituzione vitale e determina uno squilibrio del flusso degli spiriti e degli umori. Per questa via si corrompe la fisiologia degli organi, dei sistemi e l’equilibrio della costituzione e del temperamento generale della persona, a cui segue la corruzione concreta del corpo.

Quando non sussiste la piena attività dell’intelletto, l’uomo è in pena, la anoia è una privazione di atto del suo essere, perciò costituisce una riduzione della sua dignità e della sua virtù, una limitazione ontologica equivalente ad una debolezza, ad una infermità. Più l’atto d’essere dell’ente è limitato, più la pena che patisce è grande, quando l’attività dell’intelletto è compiutamente occultata nell’anima ed essa si affida alla sola sensazione corporea, l’uomo si trova nel massimo della sua pena. Il male e la malattia che derivano dalla soggezione alla falsa identità carnale sono radicali, perciò il pathos e le patologie psicofisiche si presentano nella loro completezza.

Per il vero essere dell’uomo, l’intelletto, il piacere sensibile non è un bene, così come la sensazione di “benessere” inerente alla vita corporea, ma ogni orientamento dell’uomo al piacere sensibile è un male, perché il suo bene è costituito dalla beatitudine eterna, che inerisce alla sua essenza in atto, la quale non ha alcuna relazione con la sensazione contingente, e si costituisce quando ogni relazione dell’anima con il sensibile, di qualsivoglia tipo, è cessata. L’uomo deve orientare ogni suo atto alla beatitudine non al piacere, ogni atto che non attualizza la sua essenza è maligno e produce pena. Va da sé che è insensato parlare di uomo in “salute” se questa “salute” equivale ad uno stato di “benessere fisico, psichico e sociale”, ovvero ad uno stato di piacere sensibile dell’uomo somatico, dell’ego carnale, questo  stato costituisce invece la negazione della vera salute, la quale non inerisce al piacere e non conosce accidentalità, perché non dipende da circostanze, esistenza, tempo, corpo, ecc.

L’anima imprime nel corpo diversi segni che indicano la sua vita deviata, la sua mancanza di rispetto per se stessa, conseguenza della ignoranza di sé. Sprofondata nei suoi veicoli di espressione, l’anima è inclinata a compiere il suo male, sviata da falsi filosofi, falsi psicoterapeuti e falsi medici, che non fanno che mantenerla nell’alienazione di sé e inclinarla al vizio, non ha scampo, la degenerazione finale, epilogo drammatico di una condotta contraria al bene, sopraggiunge, fra afflizioni e dolori inutili. Questa è la fine inevitabile di un’esistenza condotta superbamente nell’ignoranza, mancante di ogni giustizia, felicità  e salute.

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