“Il primo dovere di chi dà consigli a un uomo infermo che segue una dieta nociva alla salute è quello di imporgli di cambiar sistema di vita; le altre indicazioni verranno solo se egli accetta con convinzione queste indicazioni. Se, invece, non vuole lasciarsi convincere, un vero uomo e un medico che io possa stimare tali rifuggiranno dal dargli altri consigli, perché chi continuasse a fare ciò sarebbe tutto l’opposto di un vero uomo e di un esperto di medicina”[1].

 

Il Maestro Divino Platone conosce perfettamente che cosa sia la salute e come si ottiene, per cui accusa coloro che svolgono un’attività come medici dando falsi consigli salutari agli uomini, senza indurli a mutare la condotta di vita per perseguire l’autentica sanità. Coloro che danno indicazioni senza imporre al malato il cambiamento del suo sistema di vita e, più in generale, senza convertirlo alla disciplina che realizza la salute, non sono veri medici, essi indirizzano l’uomo al male piuttosto che al suo bene.

Secondo l’autentica medicina tradizionale, l’ignoranza è l’unica vera malattia che affligge l’uomo, ovvero l’animo, la sua essenza. Dall’ignoranza provengono tutte le altre malattie, perciò se non si procede a rimuovere l’ignoranza, l’uomo ri­mane fondamentalmente incurabile. I vizi dell’animo, che si evidenziano nel pensiero, nel comportamento, nel corpo, risultano irrisolvibili fintanto che permane l’ignoranza, ne deriva che non si può curare nulla dell’uomo, nemmeno il corpo, se non si cura l’ignoranza dell’animo.

Platone, e tutti i Maestri della tradizione filosofico-medica, scoraggiano la sola azione sul corpo, perché è del tutto illusoria, la filosofia, che è l’unica vera medici­na, libera l’animo dall’ignoranza e dalla soggezione alle passioni, e quindi dall’incon­tinenza e dall’intemperanza, che sul corpo hanno un effetto squili­brante e distruttivo. Il soggetto malato deve essere incoraggiato a rea­lizzare la conoscenza intelligibile del vero, su cui fonda il dominio delle facoltà irrazionali, affinché possano essere eliminate le passioni e le afflizioni che ne derivano, così come la sottomissione alla potenza dei demoni sublunari. L’animo buono e sapiente procura la condizione migliore possibile al corpo[2], se invece l’ani­mo si abbandona alla sensualità viene condizionato dalla corporeità, così gli umori e gli spiriti vitali si alterano e perturbano le facoltà dell’anima, tanto che essa, a causa di ciò, soffre diverse pene, la lassità, la tristezza, ecc[3]. La sofferenza dell’anima è una condizione disdicevole e misera, propria di chi non pratica la filosofia, e quindi non percorre la via della continenza e della temperanza. Platone condanna sia il regime di vita lussurioso, proprio delle persone che non praticano la filosofia, sia il regime delle città malate, nelle quali si diffonde la vita propria degli incontinenti.

«E non ti pare indecente dover ricorrere alla medicina non a motivo di ferite o delle malattie stagionali, ma per la nostra ignavia o per la catti­va alimentazione di cui abbiamo detto, per la quale noi ci riempiamo di umori e di gas come terreni di palude, costringendo i dotti discepoli di Asclepio a chiamare questi mali flatulenze e catarri?[4]

Nel passo viene messa in evidenza la deviazione degli uomini che non seguono il regime corporeo adeguato per mantenere la salute. Platone fa presente che gli uomini che si stabiliscono in condizioni di vita deviata vivono sempre malati, ciò comporta un’attenzione pro­gressiva alla malattia del corpo, che non fa che prolungare la malattia stessa, e dunque la vita malata. Le persone che tirano per le lunghe la malattia inutilmente, senza cambiare regime, pesano sulle altre per­sone e sulla società.

Il Maestro fa ben presente che il mantenimento della frugalità e dell’astinenza, nei cittadini della città sana, consente di conservare la salute del corpo e quindi porta all’esclusione dei medici, così come anche, indirettamente, dei giudici. Ma, per mantenere la frugalità e la temperanza, è necessaria la filosofia, la quale, agendo sull’anima intera, consente di evitare tutte quelle inclinazioni perverse che perturbano le facoltà dell’anima. Perciò la filosofia, mantenendo l’anima nella giustizia, nel suo stato di salute, evita ogni deviazione dalla norma della natura, e quindi dalla diata, perciò rende inutile le opere dei giudici e dei medici, dei tribunali e degli ospedali.

Quando il Maestro parla del cambiamento di regime, si riferisce a quella condotta che accorda l’uomo all’Ordine Cosmico e reca salute al singolo e alla società civile, mentre la condotta disonesta e lussuriosa genera ogni tipo di malattia e di ingiustizia. Per indicare un uomo che ha un regime di vita regolato, Platone dice che è  “kosmious en diaité”[5], così il Maestro fonda in modo metafisico il senso di diaita. Diaita è dia-aitia, alla let­tera significa “attraverso i principi”, “secondo le cause”, “come i mo­delli”, questo termine, nel tempo, ha assunto il significato di “regime di vita regolato”, indicando in particolare il regime di vita che si attua secondo le cause cosmiche. La parola diaita, o dieta, definisce la condotta di vita secondo la norma dell’Intelligenza Cosmica, perciò la vita conforme a Natura, in accordo con l’ordine della Vita Universale.

Nel latino, regimen è l’insieme delle azioni che esprimono il re­gere della mens, reg-men, perciò regimen è termine che equivale a diaita, con la differenza che il termine regime mette l’accento sul principio che regola la vita ordinata cosmicamente, mentre il termine dieta espri­me la modalità attraverso cui questa vita avviene. La mens nell’uo­mo è un principio intellettivo divino, che costituisce l’elemento che regge l’in­dividuazione dell’anima dell’uomo. In quanto essenza trascendente e immortale, la mens è posta in atto dalla via filosofica. Prima il filosofo passa attraverso la contem­plazione fisica dell’Ordine Cosmico, poi giunge alla contemplazione metafisica dell’Ordine Divino, grazie all’attività della mens. Quando la mens è in atto la ratio viene illuminata da essa e il ragionamento fonda sulla intuizione intellettuale imme­diata della verità divina, la quale fonda il regimen, la diaita, ovvero la con­dotta sapiente e compiutamente giusta dell’uomo.

L’uomo e la città sani rispettano sempre l’Ordine Cosmico, che è espressione immanente dell’Ordine Divino, la condotta difforme dall’Ordine Cosmico genera nell’uomo malattie di diverso tipo e squilibrio morale, nella città allo­ra compaiono medici e tribunali e, quando la perversione dell’azione si accentua, queste presenze si moltiplicano, fino a che l’uomo e la società in cui vive si dissolvono. La medicina che si fa complice della deviazione morale e religiosa dell’uomo, prolunga indefinitamente la malattia e la vita mala­ta, allo stesso modo, l’azione giuridica che non cura le cause dell’in­giustizia favorisce la vita viziosa e superba, e consente all’ingiustizia di svilupparsi fino alla corruzione di ogni istituto sociale, causando il collasso dell’ordine civile attraverso molti penosi travagli[6].

In sostanza alla radice della decadenza dell’uomo e della città vi è l’intemperanza, la smisuratezza della facoltà appetitiva e dei desideri carnali, che causa l’indebolimento della costituzione psichica e fisica della persona e si trasmette nelle generazioni. La luxuria, che è causa immediata dell’intemperantia, produce malattie di ogni genere e grado, ogni volta che la misura di vita retta viene abbandonata per la ricerca del piacere, considerato anche nelle varianti dei vari genere di “benessere”, ogni tipo di perversione diventa oggetto di desiderio. Così l’uomo e la città giusta si corrompono e al loro posto si costituiscono i loro contrari, l’uomo malato e malvagio e la città corrotta ed ingiusta. In questa situazione alterata si ha uno sviluppo crescente della medicina esteriore e la diffusione dei falsi medici, inoltre si moltiplica a dismisura anche l’attività giudiziaria e si avviano le guerre, con tutto ciò che queste cose implicano[7].

Si sarà compreso dunque che, senza dare avvio alla disciplina della temperanza, di quella virtù per la quale il soggetto misura e tempera tutti gli atti della facoltà appetitiva dell’anima, e delle connesse facoltà vegetativa e generativa, secondo ragione, non sarà possibile attualizzare l’essenza dell’uomo, l’animvs-mens e costituire la sua virtvs, ovvero la sapientia, che corrisponde alla sua vera salvs. Con la temperanza si statuisce l’ordine razionale nella vita appetitiva e corporale, ogni moto irrazionale, e perciò ogni desiderio contrario a natura o a ragione, viene dapprima contenuto, poi rettificato ed infine risolto. La temperanza consente al soggetto di conformare ogni suo desiderio animale alla ragione umana, alla natura dell’uomo, ciò avviene esercitando il dominio su ogni istinto e distogliendo l’impulso irrazionale dalla ricerca dei piaceri naturali ma non necessari, e dai piaceri contro natura, e dunque viziosi, in generale dai piaceri sensibili fini a se stessi. In particolare la temperanza ordina il desiderio alla natura specifica della persona, perciò la disciplina della temperanza non è finalizzata in alcun modo al piacere o al “benessere psico-fisico” dell’individuo ombra, ma è volta ad attuare la vita dell’anima nel corpo secondo ragione e giustizia, una vita che presenta fra i suoi effetti indiretti la conservazione della temperanza umorale e della costituzione vitale del corpo. La temperanza consente anche lo sviluppo della longevità, della forza fisica, della bellezza corporea, ecc., come conseguenze derivate, ed infine produce una certa aponia, “un piacere catastematico onesto”, “esente da dolori e pentimenti”[8], che deriva dal compiere ciò che è veramente “salutare e giovevole”[9] . Dato che questi ultimi elementi descritti sono “beni relativi”, in rapporto a ciò che è il fine della vita, ossia la sapienza divina, devono essere considerati in sé “indifferenti” per la realizzazione autentica della salute. In tal modo, tutta l’anima ridotta alla sua natura migliore, accogliendo temperanza, giustizia e saggezza, assume un contegno più dignitoso di quello che il corpo assumerebbe conquistando forza, bellezza e salute. Di tanto, infatti, l’anima supera in dignità il corpo[10].

Dunque la salute dell’anima supera in dignità la “salute” del corpo, e senza la presenza della prima non si può ottenere la seconda, che dipende dalla temperanza.

«Quindi l’uomo assennato vivrà con tutte le sue forze rivolte innanzitutto a onorare le discipline che renderanno tale [temperante] la sua anima, trascurando le altre?».

«È ovvio», rispose.

«Inoltre», dissi, «nell’orientare la sua vita in questa direzione non solo non affiderà il buono stato e l’educazione del corpo al piacere ferino e irrazionale, ma neppure penserà alla salute e si preoccuperà di essere forte o sano o bello, se ciò non dovesse contribuire a renderlo anche saggio, anzi, sarà sempre evidente che la sua cura dell’armonia fisica mira a conseguire quella spirituale [intellettuale]»[11]

Dunque senza la temperanza non si può costituire un corpo vigoroso, sano e bello, ma, allo stesso tempo, la cura del corpo non può essere finalizzata a se stessa, ma deve essere orientata alla saggezza-sapienza, perciò, in prima istanza, la via della salute richiede l’accordo del corpo all’anima, affinché il bene della seconda sia conseguito, in quanto migliore e decisamente più dignitoso di quello del corpo.

Dunque il soggetto dedito alla temperanza sceglierà una certa condotta di vita solo se compatibile con il fine ultimo della vita, con il vero e unico bene, al quale tutto il suo essere deve essere ordinato, perciò non invertirà mai l’ordine dei termini, essendo una tale inversione contraria alla realizzazione della salute. La sentenza latina “mens sana in corpore sano[12] ha una validità metodologica, ma è relativa e limitata, perché vale solo fino ad un certo stadio della via della salute. Chi ha raggiunto l’apatheia-impassibilitas, e dunque la separazione dell’anima dal corpo, conserva una mens sana anche in un corpo “malsano”, torturato, mutilato, ecc.

Pertanto, il perseguimento della temperanza è incompatibile con la ricerca del benessere psico-fisico e sociale, quel benessere che, secondo la definizione dell’Organizzazione Mondiale della Sanità, costituirebbe la salute. Ora, solo quell’itinerario che pone compiutamente in atto l’essenza dell’uomo, ovvero l’animo, realizza effettivamente la salute. L’itinerario che conduce alla salute, alla perfezione della virtù, ha il suo principio nella conversione dell’anima alla dimensione intelligibile, la sola condizione che le consente di intraprendere la via della ascesa, l’anabasi che la libera dalla soggezione al corpo, alla carne e alla sensazione, fino a riattualizzare la sua condizione originaria liberandola completamente dalla condizione titanica e da ogni forma del male. La conversione è indispensabile per dare avvio alla separazione dell’anima dal corpo e dai sensi, per distogliere la ragione dalla ricerca lussuriosa dal piacere, per risolvere il vizio della lvxvria, che causa ogni genere di intemperanza e perciò ogni deviazione dal regimemdiaita, la sola condotta che consente all’uomo di accordarsi al fine dell’intero universo e di assimilarsi infine a Dio, atto che realizza la sua perfetta salute.

La conversione consente all’anima di elevarsi dal fondo del mondo sensibile all’apice del mondo degli Dei, quest’ascesa costituisce il vero itinerario alla salute. Perché l’elevazione dalla terra-carne abbia inizio occorre che sia completamente eliminato ogni desiderio di piacere sensibile, ogni brama di esistenza carnale, ogni attaccamento alla vita temporale, senza questa conversione dell’appetito anche la disciplina elementare della temperantia, fondata sulla castitas, sulla separazione di ogni atto della volontà dal perseguimento dei piaceri sensibili, non sarà possibile. I desideri sensibili sono per l’anima come pesi di piombo, in quanto precipitano verso il basso gli atti della vita dell’anima, confondendola e mescolandola completamente con la carne.

Occorre tenere in considerazione che, per l’autentica medicina tradizionale, il concetto di “salute del corpo” non ha un senso, nell’ottica della sapienza medica tradizionale ha importanza solo il risultato della palingenesi dell’anima liberata dal corpo, pertanto deve essere l’anima l’oggetto principale dell’attività del medico, perché solo attraverso la rettificazione dell’anima potrà essere ottenuta la rettitudine della condizione del corpo. Ma il falso medico considera l’uomo come un corpo e perciò si preoccupa di mettere il corpo in certe condizioni esteriori, senza curare chi effettivamente deve essere curato, l’anima. Colui che si dice medico e si occupa della sola “salute del corpo”, senza alcuna attenzione alla salute dell’anima, non svolge in modo legittimo l’esercizio della medicina, essendo egli un “medico” ingannevole che svia il soggetto dalla salute. Il falso medico si rivolge al soggetto in modo materiale e corporale, anche quando utilizza mezzi “naturali” e fa ricorso alla fitoterapia, all’omeopatia o a trattamenti energetici di diversa natura, non svolge un’azione corretta, egli non considera il soggetto che deve essere curato, non lo conosce e, nella sua ignoranza, confonde l’anima col corpo. Il falso medico può essere subdolo, può dire che non si può curare una parte del corpo senza curare l’intero dell’uomo, poi finisce per limitare il suo intervento alle componenti corporali o, al massimo, a componenti umorali e vitali, perciò, di fatto, egli trascura l’interezza del vivente, e quindi l’insieme intelletto – anima – corpo e, specialmente, ciò che vi è di più importante nell’uomo, la sua essenza eterna, il suo principio divino trascendente:

«È lo stesso anche per il mio incantesimo, Carmide; lo imparai là, al campo militare, da uno dei medici traci, discepoli di Zalmosside, di cui si racconta che abbiano addirittura il potere di rendere immorta­li; ebbene questo medico tracio mi diceva che i suoi colleghi greci hanno ragione a sostenere quanto poco fa ti riferii; “ma Zalmosside, il nostro re, che è anche un dio – aggiungeva – afferma che, come non si devono curare gli occhi senza prendere in esame la testa, né la testa indipendentemente dal corpo, così neppure il corpo senza l’ani­ma e che questa sarebbe la ragione per cui ai medici greci sfugge la maggior parte delle malattie, poiché essi trascurerebbero di prendersi cura della totalità dell’uomo, senza la cui piena salute, non è possi­bile che la singola parte sia efficiente. Infatti, tutti i mali ed i beni per il corpo e per l’uomo nella sua interezza – soggiungeva – nascono dall’anima, come per gli occhi derivano dalla testa e ad essa, innan­zi e soprattutto, bisogna rivolgere la cura, se si desidera ottenere la salute sia per la testa che per il resto del corpo. E l’anima, o caro, si cura con certi incantesimi, e questi incantesimi sono i bei discorsi, da cui nell’anima si genera la temperanza; una volta che questa sia nata e si sia radicata, allora è facile ridare la salute alla testa e a tutte le al­tre parti del corpo”. E, mentre mi spiegava il rimedio e l’incantesimo: “Sta’ attento, mi disse, che nessuno ti convinca a curarti la testa con questo farmaco, senza prima averti affidato l’anima da trattare con l’incantesimo”. Di fatto, oggi, questo è l’errore che fanno gli uomini, ossia che alcuni cercano di essere medici della temperanza e della salute, ma separa­tamente l’una dall’altra. E con decisione mi ordinò che nessuno, per quanto ricco, nobile e bello, mi convincesse ad agire diversamente»[13].

Coloro i quali cercano di essere medici separatamente dell’anima e del corpo, e dunque della temperanza e della “salute del corpo”, sono sempre nell’errore, specialmente se si occupano del corpo senza curare l’anima, come pressoché tutti i falsi medici, in quanto tutti i beni e tutti i mali vengono al corpo dall’anima. Per cui l’anima deve essere posta al centro della cura, solo in essa risiedono la salute e la malattia, dunque la filosofia, che si occupa della cura dell’anima ed insieme del corpo, è la vera arte della salute che rimuove ogni malattia. Separare anima e corpo, filosofia e medicina, è cosa decisamente sbagliata, specialmente è gravemente erroneo ritenere che la medicina del corpo possa operare indipendentemen­te dalla filosofia. Il sophos autentico, originale e regolare, è anche il vero medico, il medico eminente, egli non si affianca come curatore della sapienza al curatore della “salute del corpo”, ma lo include in sé, dato che la sa­pienza e la vera salute coincidono. Il perfetto medico sapiente è il modello dell’uomo sano, esente da ignoranza, errori, passioni, è l’uomo nella sua interezza e normalità, egli è perfettamente giusto e buo­no, perciò è privo di ogni difetto, quindi risulta incorruttibile, invulnerabile e autarchico.

Dunque è la malattia dell’anima che deve ricevere la prima attenzione, le cure che si rivolgono al corpo hanno solo un ruolo secondario e subordinato, in ogni caso costituiscono solo un mezzo per favorire il risanamento dell’anima, il quale, a sua volta, va subordinato alla realizzazione intellettiva della sapienza. L’anima è malata se è asservita al corpo, se è dominata dalla concupiscenza, se soggiace al desiderio di piacere o “benessere”, e all’insaziabilità illimitata che procede dalla epithymia, dalla facoltà appetitiva. Disponendo i suoi atti lungo la linea dei piaceri, l’anima viene completamente soggiogata, fino al punto in cui la brama di libidine si fa radicale, costituendosi come una vera e propria tirannide che le impedisce, sotto ogni profilo, l’atto virtuoso della sua essenza, il ragionamento separato dal sensibile conforme all’intelligenza del vero. Essendo condizionato dal falso ragiona­mento, il soggetto kakos disprezza la continenza, la temperanza e la forza, in quanto elementi che impediscono di soddisfare il desiderio di piacere, in esso la superbia, che si è installata a causa dell’oblio di sé che si è costituito all’atto dell’incarnazione, dirige ogni azione, perciò la licenza sensuale lussuriosa viene scambiata con la libertà e la temerarietà con il co­raggio.

I falsi medici sono condizionati da falsi ragionamenti, come il soggetto kakos, essi non hanno alcuna pratica corretta della continenza e della temperanza e si guardano bene dall’avviare i malcapitati che si rivolgono a loro, pagando laute somme, alla via della virtù, la sola che conduce alla salute. I falsi medici perderebbero immediatamente i loro “pazienti” e finirebbero presto in rovina, perciò essi, mossi dalla ignoranza e dalla paura, rimangono compromessi con la vita viziosa e lussuriosa, anzi, attraverso i loro sedicenti “rimedi”, contribuiscono a fomentare il vizio, non sollecitando alcuna conversione, come un vero medico dovrebbe fare. Lasciando che la vita del soggetto trattato si svolga in senso vizioso, il falso medico non si occupa minimamente di indurre in esso un completo cambiamento del regime di vita nel senso della vera salute, il solo risultato che interrompe il ciclo perpetuo della vana sofferenza, che lo stolto malato patisce rimanendo soggetto alla condizione carnale. Il falso medico dà i suoi sedicenti “consigli” anche se chi lo consulta non vuole cambiare sistema di vita, egli, pur di non rinunciare al denaro di cui è avido, rimane complice della malignità e lo lascia nella sofferenza del vizio.

Il falso medico opera in mezzo ad adulatori che gratificano il suo vano amor proprio, egli non resiste ai vari complimenti che gli fanno i vari soggetti trattati, i quali sono stati da lui persino peggiorati, a causa di un falso trattamento medico, ma nella loro ignoranza, soggetti alla lussuria, non se ne possono accorgere.

Il vero medico tradizionale ha una natura filosofico-religiosa, e svolge una funzione ben precisa, innanzitutto induce con ogni mezzo, in coloro che deve riorientare alla salute, un’effettiva conversione, al fine di permettere a loro di recuperare lo stato retto, beato e virtuoso, dell’anima e quindi la vera salute. Egli non si cura di risultati economici, né di vane gratificazioni, opera solo in nome della Provvidenza Divina, condizione indispensabile per dare legittimità all’opera del medico. Certamente non accetta alcun compromesso con il vizio e l’ignoranza e rifiuta adulazione e adulatori. Essendo egli la presenza dell’Uno-Apollo, svolge sempre un’azione unificante, misurante, ordinante, egli è vero amante dell’uomo e conosce il suo vero bene, perciò quando si rivolge a lui “lo ama veramente”, lo riporta all’amore, alla misura, all’armonia, lo rimette pace con tutti gli enti. Il vero medico è Luce Divina operante, ma non è lui in quanto individuo che agisce, ma è l’Uno-Apollo stesso, Dio in lui: “La Medicina è la scienza dei fenomeni d’amore. (…) È per avere saputo far nascere fra i vari elementi corporali l’amore e la concordia che Asclepio ne fu il fondatore”[14]. La scienza dell’amore non può essere lasciata a coloro che, secondo Paracelso, non sanno o non capiscono nulla della vera salute, o che, avvelenando e deviando la Medicina autentica, sono la disperazione delle creature di Dio[15].

Pur essendo generalmente  in buona fede, perché “nessuno volontariamente si volge a ciò che è o ritiene un male volontariamente (…)”[16], i falsi medici sono purtroppo ignoranti e superbi, perciò mancano della modestia e della temperanza che sono proprie solo del vero medico. Ogni uomo è essenzialmente animo e solo il saggio, che conosce l’essenza dell’uomo, sa vedere il suo vero fine, il suo vero bene, perciò è il solo che può fare una diagnosi causale della vera situazione dell’uomo, delle malattie che vengono espresse a causa dello stato spirituale dell’animo. Solo valutando correttamente il suo grado di purità religiosa, la presenza o meno della virtù in lui, il suo grado di conoscenza e coscienza, ecc., è possibile avviare una vera cura dell’uomo. Più l’esame medico procede verso i bassifondi del corpo, più si allontana dall’Amore Divino e perciò dall’Uno-Apollo, più si cala l’azione medica nella esteriorità del corpo, più si accentua la soggezione alla contesa dei contrari a causa della dismisura. Ogni malattia, e la relativa afflizione-dolore che produce, sono sempre il frutto di un allontanamento da Dio, da cui derivano le infrazioni, in modo sempre più grave, delle leggi religiose, morali e naturali. Nella vita carnale le afflizioni compaiono in forme più basse e degenerative, le passioni sono più intense e furiose, gli squilibri psichici più degradanti e devastanti.

Una volta che l’anima si è “separata” dalla sua Fonte Divina, essa vaga nella pena e nel dolore, cerca di compensare la mancanza di pienezza dell’Essere, che fruiva prima della sua discesa nel corpo, ma compie solo azioni errate, passionali e impure, procurandosi continuamente male e dolore. La vita empia e viziosa dell’anima non può evitare le punizioni e le purgazioni che le Erinni, e anche le Moire, determinano attraverso la Nemesi: “Ogni malattia è un purgatorio, ecco perché nessun medico può guarire se Dio non lo grazia di questo purgatorio”[17].

Il vero medico deve essere puro e retto, deve essersi purificato e reso compiutamente pio, altrimenti non può agire in nome di Dio e della Sua Provvidenza, in quanto le disposizioni divine, riguardo al momento e al modo della guarigione, dipendono dalla Volontà Divina: “Nessun malato può guarire se non quando l’ora della raccolta è giunta (…) Il medico è servitore, ministro della Natura (…) non può guarire nessuno se Dio non lo manda proprio al momento giusto (…)”[18].

Solo chi ha realizzato l’unione con la Provvidenza Divina può agire come se fosse la Sua Presenza operante, solo la quale può liberare realmente dal male. Il vero medico dispone di MinervaProvidentia, egli è il solo che può vedere, a partire dalle cause trascendenti, il destino dell’anima, egli solo sa se è corretto intervenire nella malattia, nell’afflizione, il suo intervento sarà dunque sempre coordinato allo stato dell’anima, alla sua disposizione nei confronti della Volontà Divina. In ogni caso, fintanto che nell’anima non si produce la conversione filosofico – religiosa, nemmeno il medico saggio può operare la cura, nemmeno Dio stesso. Tutto quello che viene fatto in assenza di questa condizione è solo una cura illusoria, una falsa cura, che mira solo alla conservazione del corpo in un certo stato e non alla salute.

Il vero medico deve essere sempre la presenza del Divino Amore, colui che volge i cuori al Dio, alla vera salute. Egli non deve mai lusingare il vizio, non deve mai essere complice delle passioni, non deve mai essere come il cieco che accompagna altri ciechi, per finire tutti nel baratro. Purtroppo oggi la situazione della tradizione medica divina è ampiamente degenerata e, per lo più, i veri medici, così come i veri maestri di medicina filosofico-religiosa, sono assai rari. Già Galeno affermava al suo tempo:

Cosa manca dunque ancora perché il medico non sia filosofo, il medico che esercita l’arte in modo degno di Ippocrate? Infatti se per scoprire la natura del corpo e le varietà di malattie e le indicazioni di rimedi occorre essere esercitati nella teoria logica; se, perché persista l’amore delle fatiche nell’esercizio di tali cose occorre disprezzare le ricchezze e coltivare la temperanza, avrà già tutte le parti della filosofia, la logica, la fisica e l’etica. Non c’è timore infatti che disprezzando le ricchezze e coltivando la temperanza commetta qualche ingiustizia: infatti tutte le imprese che gli uomini osano ingiustamente le fanno convinti dell’avidità di ricchezze o affascinati dal piacere.Perciò è necessario che abbia anche le altre virtù: esse vanno tutte assieme e non è possibile che, se se ne conquista una, non si abbiano di seguito tutte le altre come legate ad una sola corda. Pertanto se ai medici è necessaria la filosofia per l’apprendimento iniziale e per il successivo esercizio, è chiaro che chi è un vero medico è sempre anche filosofo. Sul fatto che ai medici abbisogni la filosofia per adoperar bene l’arte non credo abbia bisogno di dimostrazione chi ha visto spesso che gli avidi di ricchezze sono spacciatori di droghe, non medici, e usano l’arte per fini opposti a quelli a cui [la medicina] è destinata per natura[19].

Purtroppo ora, dopo quasi duemila anni, e anche dopo le rettifiche operate da Paracelso nei confronti dei falsi medici che avevano smarrito la vera arte della salute, ci troviamo in una degenerazione estrema, a causa della quale sedicenti “medici”, che non conoscono più l’arte, hanno sviluppato un’azione contraria rispetto a quella che dovrebbero svolgere. Essi non sono filosofi, né mirano a esserlo, essi sono solo “avidi di ricchezze, sono spacciatori di droghe”, e “… usano l’arte per fini opposti a quelli a cui è destinata per natura …”, in effetti esercitano una contromedicina volta alla controsalute. Chi vuole diventare vero medico deve produrre una vera conversione dell’anima, che è condizione indispensabile per avviare la formazione filosofico-religiosa del suo animo ed acquisire veramente l’arte medico-salutare reale. Questo risultato richiede la completa eliminazione di ogni tipo di lussuria e avidità di denaro, ma, specialmente, occorre eliminare ogni disposizione ingannevole, per la quale il falso medico è volto ad illudere il povero malcapitato che si rivolge a lui alla ricerca della salute.

Sicché bisogna che la persona che vorrà diventare tale [medico-filosofo], non solo disprezzi le ricchezze, ma che sia estremamente amante delle fatiche. Non è mai possibile che sia amante delle fatiche uno che si ubriaca o si riempie di cibo o si dà ai piaceri venerei o, per dirla in breve, serve ai genitali e al ventre. Si è trovato perciò che il vero medico è compagno della temperanza come della verità[20].

Chi vuole percorrere un’autentica via di risanamento non può rivolgersi ai falsi medici, i quali oggi dispongono di molti mezzi per agire sul corpo, ma sono ancora più subdoli di un tempo. Essi possono vestire anche l’immagine del “medico alternativo”, il quale dovrebbe condurre in una direzione “più corretta” e “più buona” il malato che prima di consultarli si era rivolto alla “medicina convenzionale”. In realtà il falso medico avvia il malato in una direzione erronea, anche se offre “cure alternative” a base di alimenti naturali, erbe, integratori, omeopatia, omotossicologia, e vari altri generi di ingannevoli cose, o sedicenti “trattamenti naturali”, energetici o persino “spirituali”. Nel malcapitato viene alimentata una grave illusione, il falso medico non lo pone di fronte alla sua malvagità, alla sua ignoranza, alla sua vita viziosa, non lo invita all’immediata conversione, non gli “impone di cambiare vita”. Il malcapitato conserva lo stesso orientamento malvagio di vita, la stessa visione distorta della salute, tutto ciò è per esso un male, uno sviamento, un inganno, egli continuerà a patire l’illusione e le pene che ne derivano, senza fine.

Colui che vuole veramente perseguire l’autentica salute deve ben guardarsi dalle figure dei falsi medici, i quali, anch’essi vittime del sistema, versano nell’ignoranza e nella presunzione del loro potere, non hanno intenzione di abbandonare gli interessi economici e l’avidità che muove la loro attività. Essi non sono capaci di attuare l’amore divino apollineo e perciò non possono disporre dell’arte salutare di Esculapio nel modo dovuto. In ogni caso colui che vuole percorrere la via della salute deve sapere che essa non potrà essere intrapresa se non sarà attuata una vera conversione completa dell’anima alla virtù-sapienza, una condizione ineludibile per perseguire la salute, alla quale occorre rivolgere ogni atto della propria vita. Qualsiasi altro indirizzo “medico”, che non produca la conversione dell’anima, non fa che accrescere l’illusione, la malattia e la pena, ricollocandole in varie dimensioni. La sofferenza non viene mai rimossa veramente, nonostante i sofismi, di un tipo o dell’altro, elaborati dai falsi medici. Al di fuori della disposizione dell’anima alla perfetta unione-identificazione con l’Uno-Apollo, nessuna vera cura può essere esercitata, e perciò nessuna autentica salute può essere realizzata.

 

L.M.A. VIOLA

[Tratto dall’opera: Il medico religioso tradizionale e la figura malefica del falso medico attuale][1] Platone, Lettera VII, 330c-330d.

[2] Platone, Repubblica, III 403 d.

[3] Platone, Timeo, 86b-97c.

[4] Platone, Repubblica, III 405 c-d.

[5] Platone, Repubblica, III, 408b.

[6] Ibidem, III, 406 a-407 c.

[7] Ibidem, II, 372b-373e.

[8] Platone, Timeo, 59d.

[9] Plutarco, Precetti igienici, 26.

[10] Platone, Repubblica, IX, 591b.

[11] Ibidem, IX, 591c.

[12]Giovenale, Satire, X, 356.

[13] Platone, Carmide, 156d-157b.

[14] Platone, Simposio, 186c,d.

[15] Paracelso, Il labirinto dei medici.

[16] Platone, Protagora, 358a-359a.

[17] Paracelso, Il mondo magico di Paracelso, Roma 1982.

[18] Ibidem.

[19] Galeno, Il miglior medico è anche filosofo, III, 60-61.

[20] Ibidem, III, 59.

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